© “SALERNITANA” – FOTO MOSCA
A volte si festeggia per un pareggio e non bisogna meravigliarsi. Per anni, quando il Napoli era una “provinciale” del calcio, in città si facevano caroselli per un punto strappato a Torino o Milano.
Nessuno scandalo perché nel calcio, specchio della vita, non è raro trovarsi nella fastidiosa situazione di provare invidia o persino dispiacere se si percepisce benessere e successo da parte di un’altra tifoseria o comunità. Molte volte risulta difficile rallegrarsi della felicità altrui, nonostante l’amore che si prova per il football, ma in questo caso potrebbero esserci dei disturbi psicologici soggiacenti.
A tal proposito forse la filosofia popolare è saggia: come può essere felice per gli altri una persona che non trova da tempo la sua felicità?
Gli psicologi dichiarano che questa tendenza a mostrarci restii al benessere emotivo altrui potrebbe essere catalogata come una condotta sociale disfunzionale: i sintomi depressivi sono spesso correlati a una bassa qualità delle relazioni personali.
Uno stato d’animo povero è spesso associato anche all’erosione dell’autoconcetto. Un impoverimento della visione di sé stessi che con frequenza si ripercuote anche sulla sua vicina più prossima: l’autostima.
In questo senso, ci troviamo in presenza di un fenomeno curioso: gravi danni al nostro autoconcetto ci rendono più propensi a risaltare negli altri quello che possiedono, o riteniamo che possiedono, in maggiore misura o consistenza. E sovradimensionarne gli attributi causa, naturalmente, un sentimento di avversione e un atteggiamento negativo in tutte quelle circostanze e qualità positive che implicano il ricordo e la convalida degli stessi.
È, in altri termini, un riconoscimento sofferto di superiorità.
D’altro canto, l’ostilità tacita, osservabile nelle persone con caratteristiche tipiche della personalità passivo-aggressiva, è relazionata all’invidia; sarebbe questo sentimento a mediare tra uno stato psico-affettivo incrinato e la tendenza a valorizzare in negativo quello che gli altri possiedono in positivo.
Attenzione, però, perchè l’invidia isolata non è il sintomo di una patologia. Richard Smith, docente presso l’Università del Kentucky e specialista nello studio del fenomeno dell’invidia, sottolinea infatti che parte della nostra sopravvivenza si basa sull’invidia: impieghiamo il confronto come unità di misura del nostro status e come forza motrice verso il miglioramento personale. L’invidia “fisiologica” è necessaria.
Se, invece, venire a conoscenza della felicità altrui produce un malessere troppo intenso o interferisce negativamente con la nostra vita, allora, sì, che possiamo parlare di un problema. E andare dallo psicologo.
Solo poche ore di attesa e gli studi di psicologi, psicoanalisti e, forse psichiatri, saranno in overbooking.
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