Gernot Rohr, il “papà adottivo” di Osimhen

Gernot Rohr è l’eroe silenzioso del calcio africano, e considera Osimhen il possibile nuovo imperatore del calcio.

Gernot Rohr
Articolo di Luigi Guelpa02/11/2021

Gernot Rohr è l’eroe silenzioso del calcio africano, ma anche una sorta di “papà adottivo” di Osimhen, il bomber che fa impazzire Napoli. In una Nigeria devastata dal conflitto tra realtà cristiana e islam irredentista sotto la minaccia dei Boko Haram, lui è riuscito a mettere tutti d’accordo. Ha unito le due anime di una squadra da sempre divisa in altrettanti clan religiosi. Ha smussato angolature caratteriali, è stato l’artefice di una convivenza sportiva che andrebbe analizzata e adottata anche nella stanza dei bottoni della politica nigeriana. Era già accaduto ai mondiali in Russia, e si è ripetuto con la medaglia di bronzo nella Coppa d’Africa del 2019 in Egitto.

Rohr, 68 anni, è l’eroe che non ti aspetti, uomo saggio, umile, maniaco del proprio lavoro. Se dovessimo soffermarci sui paragoni potremmo dire che un po’ ricorda Enzo Bearzot. Ha messo il gruppo davanti a ogni cosa, la serenità mentale prima della forza fisica o dell’educazione dei piedi, ha risolto con il sorriso sulle labbra problematiche che da sempre ostacolano un qualsiasi percorso virtuoso nel calcio e in generale nello sport dei paesi dell’Africa Nera.

Sangue teutonico e sentimenti francesi, ha vissuto una prima esistenza sportiva da gregario di Maier, Beckenbauer, Muller e Breitner nel Bayern e di Giresse, Tresor, Battiston e Chalana a Bordeaux. Ha rubato il mestiere a compagni di squadra e allenatori e si è costruito una carriera importante negli ultimi quindici anni in Africa tra Tunisia, Gabon, Burkina Faso e Niger. Sulla panchina della Nigeria è approdato nella primavera del 2016 come consulente della federcalcio di Abuja dopo una bocciatura in Guinea.

Il suo approccio con le Super Aquile è avvenuto dietro le quinte, lontano dai clamori e dai posti di comando. Proprio come gli esordi di un Bearzot eclissato dalla figura ingombrante del totem Bernardini a metà degli anni settanta. Nello spazio di pochi mesi gli è stata affidata la bacchetta da direttore d’orchestra, senza che i suoi musicisti lo tradissero con qualche stonatura di troppo o con assoli non autorizzati.

In una Nigeria abituata a cannibalizzare i commissari tecnici (20 in altrettanti anni), lui è diventato l’eccezione che conferma la regola per longevità. Ha saputo mediare tra Federazione e ministero dello Sport, le due entità che da sempre in Nigeria imponevano dall’alto liste di giocatori e il pagamento di un pizzo sullo stipendio. Rohr dal 2016 può disporre serenamente dei suoi 47mila dollari mensile. Parte del denaro va alla famiglia che vive a Mannheim, un’altra quota viene investita per i corsi universitari a distanza della facoltà di scienze politiche.

Lo stregone bianco, come viene soprannominato dalla stampa africana, vorrebbe infatti tornare in patria ed entrare in politica dopo la toccata e fuga del 2004. Ha ancora voglia di pallone e in Africa rimarrà di sicuro fino ai mondiali del Qatar, poi si occuperà della cosa pubblica in una Germania che guarda con curiosità al dopo Merkel.

La sua Nigeria applica il 4-3-2-1 per via dei pochi attaccanti a disposizione e per l’abbondanza di trequartisti. “Sarebbe un insulto snaturare in nome di una rigida e personale concezione tattica le qualità dei miei atleti – racconta – meglio dar loro la possibilità di esprimersi liberamente”. E tra i tanti talenti che solitamente la Nigeria offre al calcio mondiale, ecco appunto Victor James Osimhen.

Rohr lo fece esordire il 1° giugno del 2017 contro il Togo. Saltò i mondiali in Russia per via delle poche presenze raccolte a Wolfsburg, ma lo richiamò per la Coppa d’Africa in Egitto, dove la Nigeria conquistò il terzo gradino del podio. In vista della prossima edizione del torneo continentale (a gennaio in Camerun), Rohr regalerà un dispiacere ai tifosi del Napoli. Il tecnico tedesco considera Osimhen imprescindibile per il suo gioco, esattamente come Spalletti. Lo ritiene il possibile erede di Drogba nel mare magnum di un calcio africano che non ha ancora incoronato il suo nuovo imperatore. 

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