Il Napoli ringrazi Sarri per la lezione
Presuntuosa la scelta di acquistare Natan, affidarsi solo ai lanci lunghi e credere di essere ancora nel passato.
©️ “ZIELINSKI-JUAN JESUS” – FOTO MOSCA
È arrivata ieri sera al Maradona la prima sconfitta del Napoli di Garcia, alla terza di campionato contro la Lazio, ed è suonata come un segnale di caccia nemici nel cielo di una città sotto assedio. La bomba l’ha sganciata un vecchio alleato, mister Sarri. L’ex Comandante ha edotto i suoi nel portare il verbo agli azzurri: “In verità, vi dico che la passata stagione, è passata, rasa al suolo, c’è un mondo nuovo li fuori”.
Ed è un’alba in cui il Napoli scopre che deve rendersi conto delle sue mancanze e delle sue fragilità, venute a galla a suon di schiaffoni. Non c’è da essere disfattisti, il campionato è lungo, e il Napoli ha tra i motori migliori, ma bisogna averlo bene a mente, la sconfitta è molto più larga di quanto dice il tabellino. È finita 1 a 2. L’ha aperta Luis Alberto di tacco in uno dei momenti migliori degli azzurri, l’ha pareggiata Zielo – tra le note più positive dei padroni di casa -, chiusa chirurgicamente Kamada, con una rasoiata orientale al termine di un’azione corale di finissima fattura.
La Lazio, in realtà ne ha messi dentro quattro, si è ritrovata ad esultare e strozzare l’urlo in gola per due volte nel secondo tempo (sull’1 a 2), la prima volta alla rete di Zaccagni, che finalizzava un contropiede da “difese da incubo” e poi al gol di Guendouzi – a giro bellissimo – quando oramai gli azzurri erano sfilacciati come pulled pork.
- Nota: Il francese, ex Marsiglia, ha avuto un impatto devastante sul nostro calcio. È il centrocampista che manca a Sarri dai tempi di Allan.
Ci ha pensato Colombo insieme al Var a non rendere la serata partenopea lacrime e sangue, annullando le reti, giustamente.
Ma oltre le marcature c’è di più. Il Napoli ha giocato un buon primo tempo, intenso, ha macinato. Kvara sembrava poter fare sconquassi. La Lazio pareva non aver armi per superare il pressing azzurro. In realtà era semplicemente una fase della partita. Sarri tatticamente ha massacrato Garcia. I biancocelesti erano un mid-hybrid, un po’ blocco di difesa basso, un po’ possesso, un po’ contropiede. Gli azzurri non si sono accorti di essere chiusi in una trappola. Si specchiavano e si piacevano, senza affondare con cattiveria, come i boxer che pensano non arriverà mai il giorno in cui perderanno la cintura. La Lazio ha colpito con Luis Alberto, lasciato inspiegabilmente solo in area: dov’era il centrale di riferimento?
C’è stato un moto d’orgoglio e Zielo – migliore tra i suoi – dalla distanza ha beffato Provedel, ingannato anche da una deviazione. Nel secondo tempo Sarri ha calato le carte. Il Napoli ha subito il 2 a 1 ed è diventato piccolo piccolo. Zielinski ha perso una brutta palla a centrocampo, Anderson ha avviato l’azione, Kamada l’ha conclusa. Velocità d’esecuzione e precisione. Chapeau. A quel punto gli azzurri volevano recuperarla ma senza avere le idee chiare, non c’era alcun disegno. È uscito Kvara, per Raspa. È entrato Simeone per Zielinski. Si era in 4 in linea e palla lunga. Un po’ alla Oronzo. La difesa pestava la linea di centrocampo, ha concesso le occasioni di cui parlavamo poc’anzi. È finita senza una vera reazione. È finita con una sconfitta. Una lezione inflitta da Sarri a Napoli e al Napoli.
Parlando di tattica, cercare ossessivamente la verticalità e Osimhen è un ottimo piano. Il nigeriano è un giocatore differente, sposta gli equilibri, ma non sposta lo spazio. La Lazio non ha dato profondità da prendere. Serviva un piano b, ragionare, ritornare a fare il Napoli. Verticalità e aggressività bisognano di una linea difensiva alta, dunque di interpreti capaci di correre all’indietro velocemente. Non si può credere possa farlo JJ. Natan probabilmente sarà il futuro titolare, ma è una colpa grave non aver sostituto Kim con un centrale pronto. Si è campioni d’Italia, non una delle tante.
Anzi forse è meglio che la sconfitta lasci questo negli azzurri, essere una delle tante. Lo scudetto sul petto è un onere, non una garanzia di eccellenza. Si è sbagliato sul mercato, si è sbagliato in campo. C’è tempo per recuperare, almeno per il secondo errore.