La rivolta silenziosa contro l’egemonia dei ricchi del calcio
Le squadre che spendono di più non sono necessariamente quelle che rendono meglio. Le big del calcio appaiono in difficoltà di fronte all'emersione di squadre giovani, con progetti innovativi, gioco moderno e spese sostenibili.

©️ “CALCIO – AGNELLI” – FOTO MOSCA
Siamo sempre stati soggiogati dall’idea che a vincere siano i club più potenti, quelli con più influenza e maggiori disponibilità economiche. Quelli che, per ovvi motivi, possono permettersi il lusso di sperperare denaro senza risentirne e che possono affrontare spese folli per costruire formazioni da sogno. I padroni del calcio, oseremmo dire. Per molti versi è normale aspettarsi che sia così.
Un’equazione, quella soldi=vittorie, che non sempre ha funzionato, ma che certamente detta legge da diversi anni a questa parte. Prendiamo in considerazione i campioni dell’ultimo decennio: in Italia ha vinto 8 volte la Juventus, così come il Paris Saint Germain in Francia, o Barcellona e Real Madrid in Spagna; in Inghilterra, 5 titoli sono andati al Manchester City e altri 4 a Chelsea, Manchester United e Liverpool; in Germania, invece, en plein da 10 su 10 per il Bayern Monaco. Solamente in pochissime occasioni a trionfare alla fine della stagione nei campionati nazionali non sono stati i rispettivi “ricchi”.
Oggi, però, il monopolio sta cominciando a dare qualche cenno di cedimento. Le pareti del castello all’interno del quale sono arroccati – e volevano arroccarsi con la creazione della Superlega – mostrano le prime crepe. Alcuni non riescono più a sostenere gli esorbitanti costi di mantenimento; altri sono alle prese con cicli in fase calante; altri ancora sono stati incapaci di attuare un ricambio generazionale adeguato, tanto in campo quanto in panchina. E annaspano, quasi tutti, di fronte alla freschezza dei progetti degli outsider, fatti di idee, gioco, programmi e costi sostenibili.
L’ultimo report settimanale del CIES ha analizzato i costi d’acquisto dei calciatori impiegati fino ad ora nelle formazioni titolari dei Top 5 campionati europei. In base ai dati ricavati, ha organizzato le squadre secondo il prezzo medio per partita dell’undici sceso in campo. Ebbene, le classifiche che ne vengono fuori sposano in pieno la tesi per cui una spesa maggiore non è necessariamente sinonimo di risultati migliori.
La Juve spende e spande… e perde
Il Napoli spadroneggia in Serie A e, per ora, anche in Champions League grazie a un calcio spumeggiante. Secondo le stime del CIES, gli azzurri sono attualmente la seconda formazione italiana per costo dei calciatori impiegati, nonché la quattordicesima in Europa. Il valore dei cartellini degli uomini di Spalletti si attesta ad una media di 228 milioni di euro per partita; tanti, ma neanche troppi se si considera che solamente i prezzi di Victor Osimhen (70 milioni) e Hirving Lozano (40 milioni) contribuiscono al 50% del totale.
Più costosa della formazione del Napoli c’è solamente quella della Juventus, che arriva ad una media di 300 milioni netti. Eppure, le ingenti spese non hanno assicurato risultati: oggi, i punti di distacco tra le due squadre sono già dieci. I bianconeri sono allo sfascio, fuori ai gironi di Champions League, con la rosa decimata dagli infortuni, con una tifoseria delusa, con i bilanci in rosso e con un apparato dirigenziale indagato per frode.
Il Napoli ha speso meno e meglio della Juventus negli ultimi anni. Ha investito cifre ragionevoli su giocatori giovani, da poter rivendere dopo qualche anno e ricavare profitto necessario a tenere i bilanci in positivo. Ha operato sul mercato con acquisti e cessioni ponderate in base alle esigenze della squadra, evitando gli sperperi. E soprattutto, si è affidata ad un progetto ed un calcio innovativo. Una gestione economico-sportiva malsana, invece, ha portato la Vecchia Signora nelle condizioni in cui si trova oggi, inerme, all’angolo, ansimante e senza forze per reagire.
Nella classifica aggiornata alla dodicesima giornata di Serie A, la costosissima Juventus è dietro a squadre come Inter, Roma, Milan e Atalanta, che per comporre le proprie formazioni titolari hanno speso meno della metà dei bianconeri. La squadra di Allegri, inoltre, è indietro anche alla Lazio di Sarri, il cui undici di partenza è stato pagato addirittura 220 milioni in meno. Tra le squadre sovraperformanti del campionato italiano troviamo anche l’Udinese e la Salernitana. Viceversa, tra le più grosse delusioni ci sono la Fiorentina e la Sampdoria. Ultimo classificato in questa speciale graduatoria è il Lecce, che ha investito appena 4 milioni per la propria formazione ideale.

Ricchi e poveri del calcio estero
Dando un rapido sguardo alle classifiche degli altri quattro maggiori campionati di calcio europei, ci si accorge subito che, anche lì, qualcosa non quadra.
In Premier League, inutile dire che i paperoni del Manchester City sono quelli che hanno investito di più e che, con un esborso medio di 605 milioni, sono anche i primi nelle graduatorie di tutta Europa. Eppure, non basta: in testa alla classifica del campionato c’è l’Arsenal (382), che ha speso 220 milioni in meno della squadra di Guardiola e che sta brillando proprio come il Napoli. Solamente quinta e sesta posizione per gli spendaccioni dello United (480) e del Chelsea (393), e addirittura nona per il Liverpool (409). Nel mezzo, ci sono i “tirchi” (180 milioni in due) del Brighton e del Fulham.
In Liga è rimasto intatto il dominio di Barcellona e Real, ma stupisce vedere il Betis appaiare l’Atletico Madrid al terzo posto nonostante i Colchoneros abbiano investito il triplo dei Los Verdirones. La quinta rosa spagnola più costosa è quella del Siviglia, che in campionato, però, è incredibilmente penultimo. Mentre i 10 milioni investiti dal Rayo Vallecano e i 16 dell’Osasuna stanno fruttando meglio dei 43 spesi dal Valencia di Gattuso, che è attualmente al decimo posto.
Il caso più clamoroso è sicuramente quello della Bundesliga. In vetta al campionato c’è l’Union Berlino, costato appena 16 milioni, che precede di un punto i supercampioni del Bayern Monaco, che per allestire la propria formazione ha speso circa 300 milioni. Segue il Friburgo al terzo posto, che di milioni ne ha investiti appena 27. Inseguono il Borussia Dortmund, il Lipsia e l’Eintracht Francoforte. Come i colleghi spagnoli del Siviglia, stupisce in negativo il percorso del Bayer Leverkusen, che, nonostante i 156 milioni spesi, si trova al penultimo posto.
Le sorprese non mancano neanche in Ligue 1, dove ci si aspetterebbe di trovare Marsiglia, Lione e Monaco alle spalle dell’irraggiungibile Paris Saint Germain – 510 milioni in media. Ed invece no, perché al secondo posto c’è il Lens, rivelazione del campionato con già 30 punti conquistati e soli 48 milioni investiti. Dopo il Rennes, al quarto posto c’è il Lorient con 27 punti, che di milioni, invece, ne ha investiti appena 16.
Conclusioni
Siamo solamente ai primi scampoli della stagione e non è detto che questo moto d’orgoglio resista. Ma c’è una rivoluzione silenziosa che sta prendendo piede in Europa, che in pochi hanno notato e che forse sta timidamente bussando alle porte di una nuova epoca. Una mutazione genetica, magari estemporanea o magari duratura, sta modificando dall’interno i connotati dei campionati e ne sta riscrivendo le pagine. Un verdetto provvisorio ci dice che qualcosa nel mondo del calcio sta cambiando, che i ricchi sono in difficoltà e che la forza delle idee sta prendendo il sopravvento sulla prepotenza del denaro.
Magari è solamente pura illusione, e tra poche giornate l’ordine economico delle cose tornerà a regnare incontrastato. Per ora guardiamo la realtà, le classifiche, ci compiacciamo e sogniamo. Ci piace credere che Napoli e Arsenal possano trionfare dopo anni di insuccessi e metter fine allo strapotere dei soliti noti; che il Lens possa tener vivo un campionato privo di significato; o che l’Union Berlino e il Friburgo possano dare del filo da torcere agli intoccabili bavaresi. A pensarci pochi mesi fa, ci avrebbero dato dei folli. Oggi, però, il lavoro e l’umiltà si stanno prendendo la propria rivincita, mentre la moneta sta perdendo valore. I soldi non fanno la felicità; e forse, neanche più le vittorie.