Psicoanalisi applicata ad una frangia di tifosi del Napoli
Le proteste nei confronti di De Laurentiis nell'anno dello scudetto sono sintomo di atavici atteggiamenti autolesionisti di una frangia di tifosi del Napoli.
©️ “TIFOSI NAPOLI” – FOTO MOSCA
Mettiamo il caso che non siate mai stati in analisi, né tantomeno ad una seduta psicoanalitica. Avete, però, un amico psicologo e vi trovate a conversare del più e del meno. Ad un certo punto il discorso verterà su di voi. Racconterete che spesso il vostro umore non è stabile, agite impulsivamente e le vostre relazioni sono molto intense, estremamente coinvolgenti, ma finiscono quasi sempre male. Provando a razionalizzare, tendete ad idealizzare o a svalutare l’altro. Generalmente scegliete come oggetto d’amore ciò che vi sembra inconsciamente buono e poi si rivelerà cattivo, al contrario tenete lontano chi in realtà buono lo è davvero ma consideravate cattivo. A conti fatti vi accorgerete di praticare autolesionismo.
Soggetto Napoli
Stiamo parlando di una serie di fattori di disregolazione emotiva che incidono drammaticamente sulla stima di sé e degli altri, sulla felicità individuale, cosi come sulle relazioni e, in qualche modo, sul futuro, le vittorie e la soddisfazione di un popolo (una parte): quello napoletano, calcisticamente parlando.
Se la suddetta conversazione dovesse verificarsi, il vostro prima citato amico vi direbbe: “Caro ci sono gli estremi per considerarti affetto da un disturbo borderline di personalità”.
Immaginiamo che da un terapeuta ci andasse una fetta del tifo partenopeo, una “frangia”. In uno stato di pura confessione raccontasse tutte le contraddizioni che lo distinguono. Raccontasse gli eventi che ne hanno caratterizzato gli umori negli ultimi anni, le persone ritenute perfette e sulle quali si è riversato amore che poi si sono rivelate sbagliate, quelle che hanno avuto un valore positivo senza mai riscuotere la stima dovuta, la sofferenza, nonostante le molte risorse personali e sociali, l’autocommiserazione, le molteplici visioni di mani invisibili.
Si fregiassero di essere la piazza più fedele e calda sulla faccia della terra, senza tener conto di una media di spettatori che li vede in quinta posizione in Italia e 29esimi in Europa per presenze (fonte Transfermarkt), della mancanza di incitamento vero e proprio, e delle spalle girate ad una squadra che sta prendendosi il tricolore dopo trentatré anni grazie ad un cammino straordinario.
La Diagnosi
Uno del mestiere che quadro si farebbe di tale fetta di supporter? Diagnosticherebbe un disturbo?
Ci sono varie caratteristiche che accomunano il collettivo preso in esame e ci aiutano ad arrivare ad una diagnosi. La prima è l’alternanza tra gli estremi di iper-idealizzazione e svalutazione, nella quale ricondurre l’instabilità delle relazioni “amorose” riguardanti chiunque entri a far parte dell’universo azzurro.
Il caso Sarri, dapprima “comandante” figura di un coinvolgimento esistenziale, capace di superare le distanze, e poi uomo gretto tacciato di tradimento, è uno dei più eclatanti episodi recenti. In precedenza lo furono Altafini, da magnifico centravanti brasiliano a core n’grato. Ferrara, da napoletano verace a juventino. Quagliarella, da Odisseo contemporaneo a traditore. Higuain, da stra-amato Pipita a 71.
Se facciamo un passo indietro e, dal particolare, spostiamo la nostra attenzione sull’insieme, abbiamo già abbastanza materiale per accennare un disturbo borderline di personalità di massa per i soggetti chiamati in ballo.
Il disturbo borderline di personalità
Il disturbo borderline di personalità è fondamentalmente un disturbo della relazione, che impedisce al soggetto di mantenere rapporti di amicizia, affetto o amore duraturi. Parliamo di individui costantemente in stato di estrema confusione, i cui legami sono destinati a fallire e/o risultare distruttivi.
Questo tipo di persone conducono gli altri – giocatori, allenatori, presidenti, in questo caso – in una spirale di emotività infinita, che trasporta dalla passione alla maniacalità, dall’amore all’irragionevolezza.
Per non far apparire quest’attribuzione (di una patologia ad una tifoseria) un mero esercizio stilistico ci affidiamo al Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, così da elencare alcuni dei requisiti primari che caratterizzano gli individui soggetti a tali disturbi.
Leggiamo:“Il disturbo borderline è caratterizzato da una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, nonché una marcata impulsività”. Dell’instabilità abbiamo già detto. I rapporti amorosi tra i supporter del Napoli presi in questione e gli oggetti d’amore finiscono male dopo aver attraversato picchi idilliaci di affinità, spesso dopo essersi accorti che l’amato non era in grado di soddisfare lo spirito di rivalsa e rivendicazione del quale era stato investito.
Capita che, il calciatore, o tecnico, di turno diventi scrigno delle proprie speranze, nella convinzione (errata!) che queste non possano trovare risoluzione in nessuno altro modo. Persuasione, quest’ultima, che potremmo sintetizzare in “sindrome di Masaniello”: solo un individuo ritenuto idoneo può guidare la lotta, e ad esso val bene subordinarsi. L’addio di Mertens, ad esempio, tanto criticato non lo era affatto per il contributo oramai nullo che il belga poteva assicurare alla causa, bensì solamente allo status acquisito di “Ciro”, capopopolo.
La precarietà, inoltre, possiamo agevolmente rintracciarla anche nelle percezioni distorte avute durante le stagioni della qualità della propria squadra (bovarismo sospetto): forte da poter ambire alla Champions o piena zeppa di mediocrità a seconda del risultato di una singola partita. Abbiamo ancora negli occhi bagni d’acqua e di gioia nelle fontane della città, festeggiando uno scudetto non ancora arrivato, lo stadio disertato durante il primo anno di Ancelotti (l’allenatore più vincente mai seduto sulla panchina azzurra), i settori vuoti del Maradona in un big match nell’anno dello scudetto, con tanto di cori intonati insieme ai tifosi avversari contro la propria società.
Il paradosso De Laurentiis
“Comportamento automutilante o autodistruttivo”: le idee, le emozioni e gli schemi comportamentali di natura distruttiva diretti a se stessi.
In pratica la tendenza inconscia ad opporsi e ad allontanarsi da tutto ciò che potrebbe rivelarsi positivo e il legarsi, invece, a quello che più potrà indurre a disparate forme di dolore. Il più grande paradosso all’ombra del Vesuvio ruota intorno a De Laurentiis e alla teoria del “papponismo”.
Il Presidente – che non ha mai aspirato ad un ruolo da demagogo – ha il merito di aver fatto le nuove fortune del Napoli dal suo arrivo in città, guadagnandosi per ciò il rifiuto della frangia in questione. Il Napoli dell’era De Laurentiis è quello con la maggiore continuità di risultati mai vista nella storia della società, ma ciò non è apprezzato.
Sotto la gestione ADL sono arrivate: tre Coppa Italia e una Supercoppa Italiana; quattro secondi posti in Serie A – degli otto totali nella storia; tredici accessi all’Europa consecutivi – unica squadra italiana a riuscirci; la prima qualificazione ai quarti di Champions; e, matematica volendo, è atteso un tricolore che solo Maradona è riuscito a cucire prima sulla maglia azzurra.
Gli rimproveravano di non voler vincere, durante gli ultimi anni in cui vinceva solo e soltanto la Juve, alla quale almeno il Napoli ha strappato tre trofei al pari del Milan e subito dopo la Lazio. In un Belpaese in cui dal 1898 il campionato ha visto un club del Sud al primo posto solo 8 volte (Roma, Lazio, Cagliari e appunto Napoli).
E senza considerare che questi numeri e posizionamenti sono figli di una situazione che prima del produttore romano vedeva il club partenopeo prossimo al fallimento, perché nemmeno uno degli imprenditori del Sud “tifosi” era pronto a sborsare un euro per attuare un salvataggio.
Evasione bovarista e autolesionismo
Le condizioni alla base del rifiuto del Presidente, sono cadute col tempo, come dei petali da un fiore appassito.
La convinzione “non si vuole vincere” è venuta meno questo anno. Insieme ad essa gli inviti a percorrere l’A16, legati agli addi di Koulibaly, Insigne, Ospina e Mertens, sostituiti da sconosciuti come Kim e Kvara, oggi rispettivamente ritenuti il miglior centrale della Serie A e una delle stelle più brillanti del firmamento calcistico europeo.
Per resistere nell’opposizione si è ricorsi alle bandiere, tolte dalle mani, per lo spirito del Presidente di cacciare dalla propria casa chi il Napoli è. Dimenticandosi, oggettivamente, che il Napoli è di De Laurentiis, ed è De Laurentiis. Tralasciando volutamente che i vessilli della discordia sono permessi previa autorizzazione, ma è la previa autorizzazione che fa storcere il naso. “Perché devo dirti chi entra cosa e cosa entra?”
Per quanto, poi, si possa disquisire sulla forma e l’opportunità delle dichiarazioni del “Pappone”, quest’ultime si mostrano quasi sempre e profeticamente vere. Gli si è accreditato di svendere i giocatori, quando in realtà ha ceduto raramente a valore di mercato, costantemente ad uno maggioritario se consideriamo le operazioni: Cavani, Lavezzi, Jorginho, Higuain, Fabian, Koulibaly, ma anche Gabbiadini e Zapata, Inglese e Vinícius.
È tacciato di incassare i soldi delle cessioni. Negli ultimi cinque anni ha speso circa 100 milioni in più di quanto incassato (450 circa a fronte di 350) e gli azzurri statisticamente dopo aver ceduto un pezzo importante hanno fatto meglio dell’anno precedente.
Potremmo continuare la rassegna di diacronie intorno alla figura presidenziale, ma bastano questo a condurci all’estremo “svalutazione”.
L’ideazione paranoide
Abbiamo un ultimo tratto da prendere in considerazione quello dell’ideazione paranoide.
“Con ideazione paranoide ci riferiamo alla convinzione infondata e pervasiva che altri abbiano intenzioni malevole, ostili e dunque dannose, nei nostri confronti (Garety e Freeman, 2013). Questa modalità di pensiero è caratterizzata da alterazioni sia della forma, con un aumento della frequenza e del ritmo di comparsa, che del contenuto dei pensieri, il quale è monopolizzato da temi di pericolo imminente.”
Ecco questo non è un atteggiamento poco comune alle tifoserie ma chi vive a Napoli e di Napoli lo sa. In città quando le cose non vanno per il verso giusto nel 90% dei casi la colpa è delle mani invisibili, anche se la stagione sta andando bene o se un risultato in “pericolo” è portato a casa. L“errore umano” non è contemplato.
Circolano nella mente pulsioni provinciali, con l’inesorabile cupidigia di risolvere tutti i fallimenti con le ingiustizie subite. Il vittimismo e la dietrologia sono gli elementi che rispetto a tutti gli altri più hanno frenato la crescita della squadra e di una città negli anni precedenti, perché portatori di negatività e abbandono capaci di influenzare calciatori, innestando in loro la sensazione che l’impegno non avrebbe mai potuto contrastare il volere dei poteri forti, che l’aspirazione massima non poteva essere altro che sentirsi fantastici perdenti ma diversi rispetto ai nemici vincenti.
Il risorgimento parte dalla mente
Il risorgimento azzurro, da questo punto di vista, non è partito certo dal campo, o dagli spalti, ma dalla mente, e di questo va dato merito a Spalletti. Capace di tenere la squadra lontana dagli umori della piazza, costruendole un’identità su misura, concreta a differenza di quella esterna alienata. Un’identità che va oltre il campo e ha rappresentato l’intera esperienza del club, oramai lontano dal vittimismo e dallo spreco di energie per questioni inutili.
Si è cullata la consapevolezza di ciò che si è, con la serenità di questa si è trovata nel bicchiere mezzo pieno l’acqua per mandare giù la tirannide delle conseguenze, l’abbandono dello sconfittismo e del lamento. Uomini forti, destini forti, è ciò che ha impresso Luciano nelle menti dei suoi ragazzi. I destini deboli sono degli uomini deboli che gli vanno incontro.
È stata tracciata una strada scevra di disturbi mentali e inferiorità, percorrendola si è raggiunto quel primo posto che a breve si trasformerà in scudetto, il massimo della soddisfazione.
Chi non riesce a goderne non minacci di abbandonare lo stadio, lo faccia e basta. Vada ad autocommiserarsi, o percorra un percorso di crescita, ma lasci stare un Napoli che ne è finalmente venuto fuori. Un Napoli che si è salvato dall’autolesionismo della piazza. A pensarci questo è il trofeo più importante dell’era De Laurentiis.