Mondiali, come aggirare i «biscotti» dei gironi: la formula perfetta non esiste, però…
Nell’epoca del Var, dei monte-premi schizzati a livelli lunari, non sarebbe più corretto sorteggiare gli incroci degli ottavi subito dopo la fine dei gironi?

Quando si trasloca dalla fase a gironi all’eliminazione diretta, si entra in un altro mondo: non solo in un altro – e nell’unico, vero – Mondiale. Come, nei matrimoni, dal lancio del riso allo scambio degli anelli. Ogni tanto, qualche chicco può finire nell’occhio di un invitato, tipo Belgio e Germania, ma è difficile, molto difficile. Se mai, il problema che gli ottavi ereditano coinvolge la trama delle terze partite. Le ultime. Prigioniere delle due precedenti. Se la classifica è liquida, evviva: ci si morde e ci si graffia, hasta la victoria siempre. Ma se viceversa una squadra è già qualificata, ecco avanzare la falce dei calcoli. E i calcoli, con vista sugli altri gruppi, portano ai sospetti. E i sospetti, negli interessi di bottega, ai «biscotti».
Ricapitolando: la Francia, già regina, perde con la Tunisia (al di là del gol di Antoine Griezmann, cancellato dal Var attraverso una procedura estrema ed estremista). La Spagna, promossa, si fa rimontare dal Giappone ed esclude i tedeschi. Il Portogallo, satollo, emula le furie, toglie Cristiano Ronaldo e «premia» l’orgoglio dei coreani, da 0-1 a 2-1. Il Brasile – ripeto: il Brasile – ha la pancia così piena da schierare la formazione di scorta, e i leoni (finalmente) indomabili del Camerun lo beffano al 92’. Senza però ricavarne, almeno loro, benefici palpabili.
Se tre indizi fanno una prova, quattro cosa fanno? La formula perfetta non esiste, e questo non è un distinguo marginale. Sino al 1° dicembre, Luis Enrique era considerato un cavaliere immacolato, un hombre che più vertical non si può, capace di tifare per l’Italia dopo averla dominata ed esserne stato pugnalato ai rigori, un gentiluomo vessato dal fato ma lontano dall’umanità ambigua che si dondola tra l’utile e il futile. Possibile che si sia abbassato al rango dell’infimo sensale, farsi battere per evitare la Croazia e, nello stesso tempo, «tradire» la Germania? Possibile che, d’improvviso, sia evaso dallo splendido ritratto che Giancarlo Dotto gli ha dedicato sulla «Gazzetta dello Sport»?
Agli Europei del 2012, un’altra Spagna, la Spagna di Vicente Del Bosque, onorò la storia fino alla fine, battendo proprio la Croazia. Cosa che permise all’Italia di Cesare Prandelli di toccare, in extremis, la sponda dei quarti. I campionati domestici pullulano di «ultimi chilometri» maliziosi, se non addirittura imbarazzanti. I bookmakers stanno sempre all’erta, il loro fiuto ha pochi eguali, di ogni Paese conoscono pregi e dispetti. Agli Europei del 2016, furono le riserve di un Antonio Conte in panciolle ad affrontare l’Irlanda. Naturalmente, persero (0-1); naturalmente, passarono (anche) i vincitori. Per tacere dell’edizione del 2004, in Portogallo, quando la «torta delle torte» tra Danimarca e Svezia (2-2) cacciò gli opliti di Giovanni Trapattoni. Antonio Cassano pianse lacrime amare. Ne sarebbe uscito dandosi all’apologia di «beato»: Leo Messi.
Descritto il «male», urge la terapia. Ho trovato interessante la proposta di Leonardo Iannacci su «Libero». Nell’epoca del Var, dei monte-premi schizzati a livelli lunari, «non sarebbe più corretto, e quindi sportivo – chiosa – sorteggiare gli incroci degli ottavi subito dopo la fine dei gironi?». E continua: «Mettendo dentro l’urna i sedici nomi delle nazionali qualificate si affiderebbero alle palline, quindi al destino che è sempre cinico ma mai baro, il disegno della nuova mappa. La Champions League, da anni, compone gli ottavi in questo modo». Magari sorgerebbero intoppi geografici legati ai trasferimenti «last minute», ma non conoscere in anticipo gli incroci, in maniera da non potersi subdolamente regolare, è un’idea. Ed essendo tale, temo che all’infantile Infantino non freghi una mazza.