Forte come l’acciaio di Excalibur
Al pari delle stelle nel cielo, la sua grandezza è stata ammirata senza mai essere raggiunta. Si ritira l'idolo di una generazione che non smetterà mai di amarlo.

© “IBRAHIMOVIĆ” – FOTO MOSCA
È difficile perfino trovare le parole. Zlatan Ibrahimović si è ritirato, ed ogni bambino cresciuto con le sue giocate mozzafiato oggi è un uomo. A lasciarci è un mito popolare che ha incantato, stupito, emozionato, sbalordito. E, a lui, va soltanto detto grazie. Non importano niente i numeri, per quanto quelli che ha registrato sono incredibili, a loro lasciamo il compito di aiutare a disegnare un calciatore, non qualificarlo. Perché su Ibrahimović possiamo scrivere tante, tantissime parole. Perché lui è stato speciale, qualcosa di spettacolare, è stato il primo idolo di un’intera generazione. Forse anche più di una.
Se lo ricorderanno i padri di parecchi ragazzi perché, con un colpo realizzabile soltanto da chi applica il taekwondo al calcio, ci ha presi e sbattuti fuori da Euro 2004. E gli stessi padri, raccontando e rivivendo quella giocata, restano impassibili, perché probabilmente ancora oggi non capiscono come sia stato possibile compiere un gesto del genere. E lo ricordiamo noi, per tantissime giocate. Chi scrive, ad esempio, s’è completamente innamorato del calcio grazie a lui. Perché in un normale pomeriggio all’Euronics, ammirando le gigantesche televisioni, comparve un gigante con gli occhi iniettati di sangue esibirsi in un finissimo gesto: un gol di tacco, uno dei suoi marchi di fabbrica, contro l’Atalanta.
Spazza via l’avversario, segna il quarto gol della partita dell’Inter, il telecronista si destreggia in un urlo che fa percepire la caratura dell’azione. È, e non poteva non essere, una sorta di colpo di fulmine. Al pari delle stelle nel cielo, la sua grandezza poteva essere soltanto ammirata ma mai raggiunta, e probabilmente questo ha voluto far capire, per l’ennesima volta, ai codardi veronesi. Perché fischiare Ibrahimović, nel giorno del suo addio al calcio, è da villani. Ma lui ha la pellaccia talmente ruvida che, nonostante preso da mille emozioni, riesce a sfoggiare l’ennesima grande giocata della sua carriera con un forte: “Fischiate, è il momento migliore della stagione per voi“. A Ibra non lo danneggi, è impossibile. È come provare a danneggiare il sole con uno sguardo.
Non interessano trofei, statistiche, non m’interessa nemmeno ripercorrere la sua carriera, oltre perché sarebbe difficile in questa sede, ma perché non è questo l’obiettivo: tu, Ibra, hai sparso emozioni e magia nei cuori e negli stadi, e dunque l’unica cosa giusta da fare è -ripeto- dirti grazie. Hai dimostrato che la parola “impossibile” sarà sempre preceduta da “nulla è”. Ed in ogni tuo gol c’è questo concetto: come in quello contro il Bologna, su assist di Adriano, o con la maglia della tua Svezia contro l’Inghilterra; negli Stati Uniti, in Francia esultando prima di segnare. Quanto ci hai fatto divertire. E quanto hai spaventato i tuoi avversari soltanto con uno sguardo.
Ma non si riduce tutto ai gol o ai trofei, perché ci sono delle imprese che seppure non puoi vantarle in bacheca, o non ti verranno mai assegnate ad una cerimonia ufficiale, ti verranno riconosciute per sempre dai tifosi più sensibili ed innamorati. Non di te, ma del calcio. Perché Ibra non lo si odia se si ama il calcio. Ritorniamo a bomba su un trofeo astratto che probabilmente solo il granitico svedese può vantare: ricordate i primi anni ’10 del nuovo millennio? Il calcio era monopolizzato da Messi e Cristiano Ronaldo. I due erano all’apice non solo del gioco, ma dei social, brand, pubblicità, gli occhi del mondo erano inchiodati su di loro. Esternare la preferenza era il proprio bigliettino da visita. Tertium non datur avrebbero detto i latini.
Zlatan ha derogato questa norma. E soltanto lui ci è riuscito. Il suo nome veniva fuori dalle bocche di tanti ragazzi e senza vergogna, anzi con grande decisione perché, effettivamente, chi mai avrebbe avuto il coraggio di negare il trono ad Ibrahimović? Chi mai era in grado di replicare le sue giocate? Nessuno. E chissà se, un giorno, qualcuno ci riuscirà. Sapete chi, forse, qualche volta ha compiuto quest’impresa? Tutti noi ragazzi innamorati di questo sport dopo aver allacciato gli scarpini. In ogni colpo di tacco volante c’era Ibrahimović, in ogni rovesciata, in tutte le sforbiciate riuscite bene quella volta su un milione. Ibra era in ognuno di noi quando, dopo aver segnato un gol bellissimo, ci sentivamo dei giganti e sprigionavamo tutta la nostra megalomania.
Ibra ha dominato grazie alla sua incredibile forza, ed oggi (ma non solo), con il cuore gonfio di gratitudine, è giusto rendergli omaggio per tutto ciò che ha fatto. Con Ibrahimović se ne va la componente fanciulla del nostro essere, segno indiscutibile dal fatto che il tempo sta passando. E forse lo sta facendo anche troppo in fretta. Grazie ancora, condottiero di mille battaglie. È stata una corsa meravigliosa.