Un tempo bello

Un ritorno al passato della pallacanestro degli anni sessanta, anni d'oro del basket a Napoli.

Articolo di Luciano Scateni08/04/2023

©️ “NAPOLI BASKET” – FOTO MOSCA

In fase di recensione mi permetto di integrare le emozioni regalate dal libro “Un tempo bello” a noi che siamo soci del club di No Vax, di renitenti a debellare il virus del basket, con cui conviviamo felicemente e per motivi anagrafici purtroppo distanti dalla data di nascita dell’autore Giuseppe Farese, autore dell’impresa letteraria che non a caso ha titolato “Un tempo bello”.

Dedico una parentesi alla pallacanestro degli anni sessanta, quando il Napoli basket si esibiva sul campo alle spalle dello stadio Collana dove opera il Tennis Vomero. Campo in terra battuta, strisce del perimetro in polvere di gesso, tabelloni in legno mezzo disconnesso, cerchi del canestro in ferro, formazioni in campo schierate come il calcio a cinque: due terzini, due ali, un centro; tiri dei personali a due mani partendo con il pallone tra le gambe divaricate, piegate per dare forza al lancio. Variante del tiro con i piedi ben saldi in terra, esecuzione dei tiri dalla distanza a due mani dalla testa.

I dilettanti allo sbaraglio napoletani, che ambivano ad apprendere i segreti dello sport nato negli States, potevano provarci solo nel cortile dei salesiani, dove il calcio, dominante con le storiche sfide Internapoli-Milanboys, comprimeva lo spazio dello sport emergente in un angolo dotato di un canestro molto artigianale. La svolta per dare inizio a una nuova era della pallacanestro (basket era ancora un termine esclusivo degli Usa) si deve a un vomerese ‘visionario’, a Nicola Diasparro che fonda l’Oriens, recluta i pochi giovani cestisti in circolazione e dopo l’indispensabile rodaggio, partecipa a campionati regionali minori. Che tempi.

In trasferta con mezzi di fortuna, in un centro della provincia di Salerno, sfuggimmo all’ira funesta dei tifosi locali, imbestialiti per la sconfitta della loro squadra. Fuga in tenuta di gioco e sotto il braccio il vestiario non indossato, per sfuggire all’aggressione.
Finalmente ‘paradiso in terra’, la palestra Coni dei ‘Cavalli di Bronzo’, in fine degli anni settanta, coincidente con la nascita della Partenope: ginnastica, rugby, scherma e basket affidato al mitico Ennio Nociti. L’impianto si inaugura con una sfida della nazionale italiana ai cugini francesi. In campo anche il vomerese Mario Germano, chioccia di noi sui giovanissimi nipoti contagiati dal virus della pallacanestro. Prima della palla a due delle nazionali, ci esibimmo in una partitela ‘familiare’.

Il tempo delle scuole superiori ci regalò una stagione entusiasmante, scandita dal torneo scolastico tra licei napoletani. La palestra dei Cavalli di Bronzo era sempre stracolma di studenti, soprattutto del Sannazaro e del Giambattista Vico, scuole dominatrici del torneo. Partecipava anche la scuola militare della Nunziatella e cadetti presi di mira per il suo tifo da primi della classe.

Conclusa la fase ‘attiva’ di giocatore, non è venuta meno la febbre basket e molto più in là nel tempo lo ha scoperto la Rai. Al ruolo di conduttore del Tgr3 Campania e di inviato per le testate nazionali, il Tg Sport sovrappone anche il compito del racconto radio televisivo del basket di serie A (‘Tutto basket’) e in occasione degli Europei di Atene degli incontri della nazionale. Emozione indescrivibile: durante la conduzione di un Tg, ho fatto dirottare in studio, per commentarle in diretta, gli ultimi minuti della finale Milano-Juve Caserta di Oscar, che assegnò l’unico scudetto a una squadra del sud.

Canestro della vittoria: il mitico Gentile conquista il pallone in difesa, avanza fin quasi alla lunetta dei tiri liberi sempre con un americano che lo marca stretto. In elevazione, manda il pallone nella retina. Credo di non aver rispettato il principio dell’equidistanza da tv pubblica e di aver urlato: “Campioni d’Italia, Caserta, campione d’Italia”. Ma poi, il tempo fantastico del Pala Argento, l’inaugurazione per i Giochi del Mediterraneo, protagonista il giovanissimo Meneghin e il Napoli Basket di De Piano il racconto a bordo campo di stagioni esaltanti, il portfolio di immagini indelebili, storie di atleti divenuti amici, di arbitri, l’ultra simpatico Montella, l’arbitro donna di una partita in quel Pozzuoli, la stima di là dei meriti sportivi di giocatori e dirigenti, di arbitri, fantastici colleghi qual è stato Lello Barbuto.

E il testimone passato a mia figlia Marcella, che ha raccontato il basket per l’emittente ‘Teleoggi’ e non solo, la bella avventura di Canestro, iniziativa editoriale di Sergio Civita, strumento di diffusione dello sport narrato per passione da generosi colleghi che ho diretto con passione. Il bel libro di Giuseppe Farese è un colto, esauriente omaggio alla pallacanestro napoletana e lo rendono prezioso gli autori dei testi, le immagini di Ciro De Luca, che evocano forti emozioni, le testimonianze dei giocatori che hanno fatto grande la squadra, gli aneddoti.

Ne aggiungo uno mio: un pomeriggio in via Toledo ho incontrato l’amico e gigante Tonino Fuss. Abbiamo parlato di letteratura, di musica classica, mentre i passanti osservavano con sorrisi ironici l’articolo ‘il’ dei due metri del giocatore e dell’uno e sessantacinque del sottoscritto. Eravamo amici, come con tanti altri giocatori. Nomi legati a piacevoli ricordi. Nicola Del Piano, Sandro Di falco, Paolo Barbuto, Gianluca Vigliotti, Walter Cecere e Roberto Di Lorenzo, Enzo Caserta, Marco Marchionetti; Tonino Zorzi, Antonelli, Bonamico, Dalla Libera, D’Orazio, Manfredo Fucile, Fuss, Gelsomini, Lottici, Morena Ragazzi, Pepe, Sbarra, Lucio Cillo, Fossati, Kunderfranco, Sbaragli, Taurisano, Lee Johnson, Mark Smith, il funambolico Walter Berry.

Tre mini capolavori in controcopertina. L’elogio di Marco Bonamico a Napoli, “Città dove ciò che appare insormontabile diviene per incanto possibile”, la sintesi piena di saggezza di Lucio Cillo: “Quella del Napoli basket è stata davvero una grande famiglia” e l’emozionate tributo di Maurizio Ragazzi: “Ricordo ancora i brividi che provavamo quando nei minuti finali i diecimila che affollavano gli spalti, ormai certi della vittoria, ‘intonavano in coro ’O surdato nnammurato. Ricordarli, con il racconto di Farese, somiglia molto a una giravolta per il ritorno al passato remoto, che induce a sperare in un futuro prossimo all’altezza di tanti anni fa, da raccontare con il prossimo libro sul basket di Partenope.

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