De Laurentiis contro i tifosi, una battaglia che sa di harakiri
Napoli oggi vive una frattura insanabile. De Laurentiis lo sa e poco gli importa. La sua è una battaglia che non ha intenzione di perdere, ma che rischia di trasformarsi in un clamoroso harakiri.
©️ “DE LAURENTIIS” – FOTO MOSCA
Da quando il football esiste, il motore principale è sempre stato il pubblico, dapprima attratto dalla curiosità e poi animato dalla passione campanilistica. Napoli ha conquistato negli anni un posto d’onore nella graduatoria delle tifoserie più calde del panorama calcistico, in Italia e non solo. Negli ultimi tempi però qualcosa è cambiato. Il grado di partecipazione è calato, così come l’affluenza allo stadio. È un fenomeno che riflette sicuramente l’evoluzione dei tempi digitalizzati, che preoccupa i vertici della FIFA e che incoraggia iniziative come quella della Superlega. A Napoli, però, la situazione è ben più articolata, perché a questa disaffezione congenita si aggiungono anche delle aggravanti. I motivi sono pressoché riconducibili in toto alla figura controversa del presidente Aurelio De Laurentiis, che impersonifica il club in tutto e per tutto.
Oggi il tifo, o almeno una buona parte, non si riflette più nella società che li rappresenta. Ed è probabilmente il sintomo più allarmante che si possa verificare in un rapporto in cui identità e identificazione dovrebbero essere due vere e proprie condizioni d’esistenza.
I tifosi dovrebbero essere il principale referente a cui una società di calcio deve rivolgersi. Di conseguenza, bisognerebbe prendersene cura, ascoltarli, coinvolgerli e coccolarli. Farli sentire parte integrante del tutto. A Napoli invece la situazione è surreale. Le politiche adottate dal club da qualche anno a questa parte fanno decisamente discutere ed il risultato è stato un progressivo distacco dalla squadra. Tanto da parte dei cosiddetti “occasionali”, quanto di quelli più assidui, fino ad arrivare agli irriducibili gruppi del tifo organizzato.
Diverse gocce hanno fatto traboccare il vaso. Un vaso che negli anni si è riempito di tanti piccoli episodi, conflitti, esternazioni, modi arroganti e irriverenti, che cumulandosi hanno raggiunto l’orlo. Quella tensione che trattiene l’acqua in superficie è stata rotta.
C’entra il nuovo regolamento d’uso dello Stadio Maradona varato dalla SSC Napoli nell’agosto 2021. Norme stringenti, sorveglianza, multe salate per i trasgressori. Divieti su tutti i fronti: per lo sventolio delle bandiere, per il cambio di posto, per chi occupa le gradinate o per chi non staziona nello spazio assegnato dal proprio biglietto. In poche parole, una castrazione dei principi del tifo organizzato, da sempre libero e guidato dalla passione. Ed in risposta, i gruppi ultras hanno deciso di disertare gli spalti del Maradona e seguire il Napoli solamente in trasferta.
C’entra l’aumento dei prezzi dei biglietti, tutto sommato in linea con quelli delle altre big in Italia, ma pur sempre in netta crescita rispetto a quelli delle stagioni passate. Fuori portata per un ambiente sociale quale è quello napoletano. È la morte dei settori popolari, considerando che i prezzi per accedere alle Curve sono praticamente raddoppiati rispetto a quelli di qualche anno fa.
C’entra la campagna abbonamenti partita in larghissimo ritardo e annunciata dalla radio ufficiale come una delle più convenienti in assoluto. Scandagliando sommariamente le alternative italiane, però, si scopre che solamente le big del nord offrono prezzi più alti. Il dato che spicca è che il rincaro si è concentrato quasi esclusivamente nei settori popolari: le Curve e i Distinti registrano un aumento del 13%, a fronte del 3% per le due Tribune. Intanto la Roma, che per analogie è sicuramente la piazza che più si avvicina a quella napoletana, registra 36mila abbonati grazie a tariffe realmente convenienti. E la questione della squadra rivoluzionata c’entra relativamente, perché la Sampdoria senza proprietà e senza mercato viaggia verso i 14mila abbonati e il Lecce che lotterà per la salvezza ne conta 19mila.
C’entrano i prezzi sconsiderati per le amichevoli precampionato, con una rosa per larghi tratti incompleta e contro delle avversarie decisamente modeste. 20 euro per assistere alla sgambata con l’Anaune a Dimaro, tra i 30 e i 40 euro per vedere il Napoli a Castel di Sangro. E pensare che per Napoli-PSG, nell’estate 2014 al San Paolo, bastavano appena 10 euro per accedere in Curva e 18 per i Distinti. O che per la sfida del 2017 contro l’Espanyol servivano 8 euro per le Curve e 14 per i Distinti. Oggi ne serve almeno il triplo per assistere alla stessa sfida dagli spalti del Teofilo Patini.
C’entra la copertura televisiva assente, se non esclusivamente in pay per view: 10 euro per seguire il Napoli su Sky o dal profilo Facebook della società. Risultati miseri in termini di guadagni e ascolti. Il Milan invece ha offerto tutte le amichevoli in chiaro su Sportitalia, facendo registrare oltre 2 milioni di telespettatori per la gara contro il Marsiglia. L’Inter ne ha trasmesse alcune su Sportitalia e altre su DAZN, la Fiorentina gratuitamente in streaming sul proprio sito ufficiale, mentre ancora su DAZN si è potuto assistere alle gare internazionali di Juve, Roma, Atalanta, Lazio e Sampdoria.
C’entrano le maglie a 125 euro, il prezzo più alto in tutta la Serie A per la seconda stagione consecutiva. Come pure l’azzurro che scompare sempre più per lasciar spazio a mille fantasticherie a tema Halloween, San Valentino, Maradona, Natale e chi più ne ha, ne metta. Così belli i tempi in cui si indossava sempre il colore di rappresentanza, quello che ti identifica e ti rende riconoscibile e che per chi segue il calcio significa una seconda pelle. Ed intanto, il Como in Serie B lancia le divise biennali, per tendere la mano “ai genitori i cui figli si aspettano di indossare l’ultimo modello ogni anno”, specificando anche che i proventi saranno destinati interamente a progetti per lo sviluppo della comunità.
Napoli oggi vive una frattura insanabile. De Laurentiis lo sa e poco gli importa. La sua è una battaglia che non ha intenzione di perdere, forte della sua posizione dominante. È una lotta ad una cultura che vive di calcio per 24 ore al giorno, che organizza la propria giornata in base agli appuntamenti degli azzurri, che non attende altro che “la domenica alle tre”. E si sta distruggendo una passione. Si sta annullando quell’unico divertimento dei “tifosi vessati dalle mogli, dai figli, dalle amanti, dai padri e dai capiufficio”. Il tutto, senza neanche un reale motivo e senza neanche contare l’immenso danno di immagine che tutti questi comportamenti arrecano alla società. È una battaglia che rischia di trasformarsi in un clamoroso harakiri, un gesto temerario e sconsiderato che alla fine finisce per ledere solamente sé stessi.
Regge fino ad un certo punto la teoria del voler ripulire il pubblico che popola gli spalti del Maradona. Selezionare la propria clientela, estromettendo la porzione più cruda del tifo, quella più verace e sanguigna, più chiassosa e indisciplinata, che normalmente coincide con i gruppi ultras. È il famoso teatro che De Laurentiis evoca quando si parla del fantomatico nuovo stadio. Ma una cosa è fare battaglia al crimine, alla violenza, al razzismo, tossici non solo per Napoli ma per tutto il mondo del calcio. Ben venga ed è fondamentale intervenire con efficienza, anche di sistema, in tal senso. Un’altra cosa, invece, è generalizzare la lotta ad una tifoseria intera e, più nello specifico, al tifo organizzato, il vero cuore pulsante. E purtroppo a poco servono gli striscioni, le contestazioni o la propaganda A16, perché nulla di tutto ciò può neanche minimamente scomodare il presidente dalla sua poltrona.
Un primo passo allora lo hanno fatto gli Ultras 72 della Curva B, che hanno annunciato a sorpresa la sottoscrizione dell’abbonamento per la prossima stagione: “Non rinneghiamo la battaglia di trincea fatta in questi lunghi 13 anni, ma è giunto il tempo di uscire da esse ed andare all’assalto frontale, affrontando il fuoco nemico di leggi ancora più dure”. Un gesto che sa più di sfida che di mano tesa. È ora di uscire allo scoperto e giocare le proprie carte. Perché oggi la società, De Laurentiis, è il nemico. E chi ne paga le conseguenze, alla fine, è sempre e solamente il Napoli.
A chi gli chiede della cessione del club, risponde di essere il primo tifoso.
I fatti, però, dimostrano tutt’altro.