La Premier è ripartita con un prigioniero di lusso: Cristiano Ronaldo
La Premier è cominciata venerdì sera con un prigioniero di lusso: Ronaldo, un re nudo, incazzoso, alla caccia perenne di sudditi e di scalpi.

©️ “RONALDO” – FOTO MOSCA
La Premier è cominciata venerdì sera con un prigioniero di lusso: Cristiano Ronaldo. Il 5 febbraio compirà 38 anni, gioca (gioca?) nel Manchester United che Erik ten Hag, scuola Ajax, sta cercando di «olandesizzare».
Auguri: subito un k.o. casalingo, domenica, con il Brighton (1-2). Entrato al 54’, sullo 0-2, Cristiano è un re nudo, incazzoso, alla caccia perenne di sudditi e di scalpi, con il Mondiale d’autunno a incarnarne l’ultima tentazione, se non, addirittura, l’estrema (f)unzione. Leo Messi è un genio della pittura, Cierre un genio della scultura. Alla Pulce basta la leggerezza del pennello, come documenta la rovesciata-carezza al Clermont. Il cannibale ha bisogno di martelli, di scalpelli. Dunque, di muscoli: come ribadì la rovesciata-cannone allo Stadium. Anche se scivolato in periferia, il duello continua a scuoterci, a dividerci.
Nel 2021 Leo lasciò Barcellona dopo una vita e si sistemò al Paris Saint-Germain, una sorta di clinica «off-shore» nel panorama internazionale. Sempre nel 2021, Cristiano, più coraggioso, mollò la Juventus dopo la prima di Udine e tornò alla sua Itaca di Old Trafford. L’Inghilterra sta al calcio moderno come l’America ai migranti dell’Ottocento. Un sogno. Un romanzo. Cristiano vi approdò giovane, dallo Sporting Lisbona, e vi è tornato maturo, stampando 24 gol in 37 partite, bottino che non gli ha garantito né la zona Champions in classifica né i quarti sul campo.
Ostaggio di un’età che rende mostruoso lo stipendio (35 milioni netti a stagione), non vorrebbe smettere di spaccare quel mondo che, viceversa, sta spaccando lui. Il mercato chiude il 1° settembre e Jorge Mendes, il suo impresario, non sa più a chi offrirlo. Vuole la Champions. Ma l’Atletico del Cholo l’ha mandato a quel paese e l’accostamento al Napoli è durato lo spazio di un mattino (e un mandolino). I media lo accerchiano, pronti a sbranarlo e a fargli pagare i graffi e i morsi di un ventennio. Gabriele Romagnoli scriveva il 24 ottobre scorso: «E’ da 18 anni che [Cristiano] Ronaldo arriva puntuale all’appuntamento con la Storia per «soddisfarla e placarla» con l’orgasmo provocato dal gol decisivo. Ci riesce solo lui. E un altro [Leo Messi]». Il 14 luglio, in compenso, lo stroncava così: «Con la furbizia dei grandi è rimasto un giocatore decisivo per momenti non decisivi. Il tizio che si presenta in smoking all’assemblea di condominio. E adesso, ricco uomo?».
Già, e adesso? Ha saltato le tournée, ha snobbato le amichevoli: la dittatura dei numeri lo consuma e lo titilla, in attesa che gli ozi del mito, suggestivi ma barbosi, lo catturino e disarmino. Brutto segno, quando la soluzione diventa il problema. Specchiarsi nei record che ha demolito non lo aiuta a guarire. Lo sport è sfida che non dà tregua, specialmente se decidi di avventurarti oltre le celle e le cellule del tuo Ego.
Mentre a Messi è sufficiente sculettare, Cristiano se non segna non si sente nessuno e non serve a nessuno. Sono ruoli diversi, mappe e caratteri opposti: l’argentino fedele a una società sola, il Barça che lo recuperò dal nanismo («pensione» parigina a parte); il portoghese, in viaggio da Lisbona a Manchester, poi dal Real alla Juventus, e di nuovo allo United. Il primo ha raggiunto la pace dei sensi; il secondo, il senso di una pace così piatta, così rozza, da renderlo furioso. Cristiano è il marziano di Ennio Flaiano che, sbarcato a Villa Borghese, le famigliole, stufe, trattano come un vecchio bavoso.
Che differenza, fra il crepuscolo di Zlatan Ibrahimovic e il tramonto di Cristiano. Per Charles Bukowski, «la faccia è la prima cosa che si butta via quando la fortuna ti abbandona». Fortuna è magari riduttivo, ma siamo lì. Arrogante, solitario y Qatar.