Daniel Bertoni, scaricato con leggerezza
Fu scaricato dal Napoli , che pure ne deteneva il cartellino, senza un perchè, un valido motivo. La sua faccia da scugnizzo faceva quà e là capolino tra i pensieri di Maradona.
Fu scaricato dal Napoli , che pure ne deteneva il cartellino, senza un perchè, un valido motivo. Trascorse un’estate d’inferno ad allenarsi da solo, aspettando una chiamata di un club italiano dopo cinque anni, tre alla Fiorentina e due al Napoli, dove aveva dimostrato tutto il suo enorme valore tecnico. Se ne andò a Montecatini Terme, come un eremita, quando Bianchi gli comunicò che non faceva più parte del progetto Napoli. Era l’estate del 1986, quella in cui fu costruita la squadra che nel maggio successivo doveva far impazzire un’intera città. Scelse la Toscana perchè la casa gliela regalò la Fiorentina quando aveva fatto ferro e fuoco coi gigliati diventando un idolo della Curva Fiesole. La sua firma era D.R.B., Daniel Ricardo Bertoni.
Quando smetteva di allenarsi in solitudine, tutti lo avvicinavano e gli chiedevano, ancor increduli, “Daniel, dove andrai?”. Sembrava impossibile che un giocatore come lui fosse disoccupato. Lui rispondeva, senza peli sulla lingua, “Non so, non mi è mai capitato, non è proprio una bella esperienza”. Poi l’immancabile tifoso partenopeo lo stuzzicava con un “Perchè sei andato via?”. E lui, di rimando, “Veramente non è stata una mia scelta…ma dimmi, che si dice a Napoli? Salutatemi Diego, Carmando e tutti i ragassi ( con due ‘esse’, alla Pesaola )”. In realtà a qualche amico confessò che l’aveva cercato anche il River e l’Independiente ma aveva preferito restare in Italia perchè al nostro paese si era sinceramente affezionato. Fortunatamente per lui, che si accontentava di chiudere la carriera anche con una squadra che avrebbe lottato per la salvezza, arrivò la chiamata dell’Udinese ed in terra friulana Daniel chiuse la sua parentesi italiana e la sua carriera da calciatore.
A sedici anni giocava già nella massima serie argentina, nel Quilmes, poi il grande amore, l‘Independiente, con la quale fece 80 gol in 180 partite diventando un’istituzione del club biancorosso. Nell’estate del 1978 vince il Mondiale ‘casalingo’, quello della tensione e del fervore patriottico, mettendo a segno la rete del definitivo 3 a 1 nei supplementari contro l’Olanda dopo la doppietta di Mario Kempes. Con la vittoria del Mondiale arrivò anche la chiamata dall’Europa e fu il Siviglia a spuntarla con una cifra enorme, 70 milioni di pesetas. Purtroppo il suo rendimento fu altalenante ma il valore del giocatore non fu mai messo in discussione. Così, con la riapertura delle frontiere, fu Ranieri Pontello, il presidente viola, a dare il primo straniero del nuovo corso alla Fiorentina. In poco tempo Daniel Bertoni, che ritrovò anche il connazionale Passarella, divenne un idolo della torcida fiorentina che lo soprannominò “Puntero”. In tre anni il ‘gaucho’ argentino segnò 27 reti in 97 partite ma fu anche fermato da una fastidiosa epatite virale che lo tenne lontano dai campi da gioco per 4 mesi.
La sua faccia da scugnizzo, da ragazzo cresciuto nella strada e con una famiglia di origine molto modesta alle spalle ( il papà era lattaio ), faceva quà e là capolino tra i pensieri di Diego Maradona. “Perchè non portarlo al Napoli?” si chiese “El Pibe”. La cosa si fece ed in tempi anche abbastanza rapidi perchè, dopo l’acquisto di Maradona, Juliano prese in sequenza Bagni, De Vecchi, Penzo e Bertoni. Stava nascendo un grande Napoli. Marchesi, confermato alla guida tecnica della squadra, dichiarò : “Questa squadra giocherà all’attacco, ha quattro giocatori da zona-gol”. Il riferimento a Maradona, Penzo, Bertoni e Caffarelli era abbastanza lapalissiano. Purtroppo gli azzurri finiranno ottavi, dopo aver rischiato la retrocessione nel girone di andata, ma Bertoni andò a segno 11 volte, senza rigori. Un bottino decisamente buono in un campionato a sedici squadre. Daniel marcò la sua prima rete col Napoli proprio all’esordio, nell’ 1 a 3 contro i futuri campioni d’Italia del Verona. Da segnalare anche le due doppiette, la prima nella famosa partita della Befana del 1985, il 4 a 3 sull’Udinese dopo il ritiro di Vietri sul mare, e la seconda, nel 3 a 1 contro l’Inter in casa. Quella che probabilmente resta ancora impressa nella memoria dei napoletani fu, però, la rete segnata all’Olimpico contro la Roma il 28 aprile del 1985, un gol che condensa tutta la classe che i due argentini riuscivano ad esprimere. Volata di Maradona sulla destra, palla in mezzo, di esterno sinistro, sulla quale si avventa come un falco Bertoni che, di destro, insacca. A seguire l’inevitabile balletto sudamericano a suggellare un’intesa che solo chi sa dare del tu alla palla può fare.
Daniel Bertoni possedeva raffinate doti tecniche, sapeva dialogare nello stretto ( e qui si trovava a memoria con Maradona ) e calciava con entrambi i piedi con una certa naturalezza. Quando poi vedeva lo spiraglio dove poter far passare il pallone, il suo tiro diventava anche potente e preciso. Quando il Napoli lo scaricò lo fece per prendere Carnevale, un giocatore più giovane ed in piena esplosione. Ma, col calcio di oggi, con le rose allargate, uno come Bertoni avrebbe fatto comodo anche a quel Napoli. E chissà, festeggiare uno scudetto con due argentini in rosa come sarebbe stato bello.
Bertoni fu in campo sia all’andata che al ritorno contro la Fiorentina nel suo primo anno napoletano. Il gol di Maradona in una gara giocata con la neve ai bordi del campo a Firenze resta impresso nella memoria popolare. Il tiro che beffa Galli, l’abbraccio del giovane De Simone ( toh, un frattese! ), l’esultanza di Diego in un clima siderale, una vittoria che rilanciava gli azzurri dopo le difficoltà iniziali. Tutta altra musica al ritorno, a Napoli, con le due squadre che veleggiavano a metà classifica. Ne viene fuori la classica partita di fine stagione, senza eccessivi tatticismi e con occasioni da rete che fioccano da una parte e dall’altra. Pecci fa ‘amicizia’ con quello che sarà il suo stadio, Gentile intende ripetere il duello con Diego che ha già affrontato nei Mondiali del 1982, Passarella è un argentino orgoglioso di giocare nel tempio che è già di Maradona & Bertoni. Finisce, dopo una gara schioppettante e piena di episodi, con la vittoria di un Napoli che ci teneva a chiudere in bellezza davanti al suo pubblico. Due reti annullate ai padroni di casa, un palo dei viola e poi il gol di Caffarelli che suggella un buon predominio della squadra di Marchesi, anch’egli ai saluti finali. ll gol nasce proprio sull’asse Bertoni-Maradona. Quest’ultimo imbecca il giovane centravanti napoletano con una piroetta delle sue e a Gigi non resta che scaraventare la palla alle spalle di Galli. L’anno dopo arriva “Orso” Bianchi e purtroppo inizierà la parabola discendente di Bertoni.