Burgnich e Vinicio, storie di flop e rigenerazioni
Ci sono storie di intrecci che si rincorrono sul filo di maglie azzurre e a strisce nerazzurre, quelle di Burgnich e Vinicio.
Tarcisio Burgnich ci ha lasciati l’anno scorso, nel suo “buen ritiro” di Forte dei Marmi. Con lui se n’è andato un uomo schivo e di poche parole, come gli altri friulani che hanno frequentato Napoli, vedi Zoff, Ronzon o Micelli, tanto per citarne qualcuno. Persone che sono agli antipodi del carattere e della gestualità tipica dei napoletani ma che hanno piantato un ricordo indelebile nella mente di ogni tifoso che li ha visti giocare al San Paolo.
Onesto, professionista serio, gli occhi di Burgnich si illuminavano quando parlava del Napoli di Vinicio, anche a distanza di anni. Certo, è rimasto interista, vista la collaborazione con la società nerazzurra in veste di osservatore, ma ricordava sempre quanto si sia divertito a giocare da “finto” libero con gli azzurri. Quella squadra lo rigenerò e tutti dimenticarono il roccioso marcatore dell’Inter quando lo videro comandare la difesa partenopea negli anni ruggenti del “Lione” allenatore. Tra l’altro, diversi anni dopo, il taciturno Tarcisio rischiò anche di sedersi sulla panchina del Napoli da allenatore quando nel 1980 il neo manager napoletano Juliano lo contattò prima di arrivare a Rino Marchesi. Ma questo fu il classico colpo di fulmine mancato.
C’è un “fil rouge”, ci sono storie di intrecci e “relazioni pericolose”, corsi e ricorsi che si rincorrono sul filo di maglie azzurre e a strisce nerazzurre, quelle di Burgnich e Vinicio, prima giocatori e poi allenatori. Il calcio non è una scienza esatta, lo dicono i fatti e la sorpresa è sempre dietro l’angolo. Fu imprevedibile, infatti, il flop di Vinicio con la maglia dell’Inter dopo le stagioni “monstre” al Vicenza ma anche la rigenerazione, dopo aver cambiato pelle, di Burgnich che venne a comandare la difesa di Partenope con il cuore ancora bardato con la bandiera meneghina. In un periodo in cui si parla giustamente di “bel calcio” a Napoli ed in cui si continua a tirare in ballo la favolosa squadra di Vinicio del biennio 1973-5, una serie di considerazioni in ordine sparso vengono alla mente proprio alla vigilia di Napoli-Inter.
Sliding doors, porte che si chiusero con le grandi squadre, nel caso di Vinicio in nerazzurro, ma anche porte che si aprirono con chi voleva far diventare grande la sua nuova squadra, nel caso di Burgnich quando passò al Napoli. L’esperienza milanese di Vinicio fu un fallimento completo ma fu lo stesso “Lione” a spiegare cose successe 55 anni fa. Otto presenze ed un solo gol. “All’Inter feci un anno da turista, anzi quello fu l’anno in cui imparai a sciare perché Helenio Herrera mi confinò a Folgaria con mia moglie Flora e mi dava sempre appuntamento al martedì successivo per gli allenamenti. Compresi presto che quello sarebbe stato un anno difficile per me, io che dovevo fare da spalla a Mazzola mi ritrovai con qualche scampolo di partita e poco più perché il Mago improvvisamente mutò opinione sul sottoscritto. Quando l’anno dopo l’Inter venne a Vicenza, dove ero ritornato a giocare, la battemmo per due a zero. I due gol li segnai proprio io e quando, dopo la gara, andai a salutare i miei ex compagni, vidi Herrera che scappò nella toilette per non venire a stringermi la mano. Furono due reti importanti anche in chiave salvezza perché quella vittoria ci aiutò a restare in serie A”.
Certo, una figura barbina per l’allenatore argentino, anche i “grandi” a volte sbandano e si nascondono dalle brutte figure. Il mago Herrera, che ebbe la sua consacrazione con gli scudetti e le coppe vinte con l’Inter negli anni ’60, fin troppo legato ai suoi uomini fidati, aveva in effetti chiesto l’acquisto di Vinicio dopo la stagione boom al Vicenza in cui Luis da Belo Horizonte fu capocannoniere della serie A con 25 reti. Non si comprese, all’epoca, perché, in fretta e furia, lo accantonò. D’altronde con un attacco formato da Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez e Corso ci chiediamo a cosa poteva servire un attaccante già avanti con l’età se non a fare la panchina.
Probabilmente Vinicio fu abbagliato dalle parole del presidente Moratti che lo caricò di responsabilità quando lo presentò alla stampa ma a conti fatti c’era una bolla di sapone dietro l’angolo ad attenderlo. L’uomo di Belo Horizonte non se la prese più di tanto e tornò a Vicenza dove concluse un’altra ottima stagione. Un’annata che gli fece comunque maturare l’idea di chiudere col calcio giocato e a rifiutare il prolungamento del contratto. L’anno dopo era già a Coverciano. A studiare tattiche che poi avrebbe modificato fino a farle sue, fino a capire come voleva far giocare le proprie squadre. Internapoli, Brindisi, Ternana ed ancora Brindisi prima dell’esplosione a Napoli. Pochi hanno sottolineato come Corrado Viciani, l’allenatore che lo sostituì alla Ternana, famoso per il suo “gioco corto”, continuò l’opera già iniziata dall’ex centravanti del Napoli.
Quando poi Vinicio spiegò come e quando nacquero le idee per il tipo di calcio che voleva far praticare alle sue squadre viene naturale il collegamento con Tarcisio Burgnich. “Quando a 37 anni decisi di smettere avevo già la testa a Coverciano, al Supercorso, avevo deciso, volevo fare l’allenatore. Le idee che poi ho sviluppato quando mi sono seduto in panchina nascono proprio dalla mia esperienza da calciatore. Infatti, quando giocavo, ero sempre nei pressi del libero e mi bastava poco, una sua distrazione, per metterla dentro. Quindi pensai che, eliminando il libero e tenendo tutti in linea avrei creato più difficoltà agli avversari”.
Fu questa l’idea che fece nascere il famoso gioco all’olandese, spumeggiante e frizzante, fatto di ritmo indiavolato e dinamismo feroce in tutte le zone del campo dove tutti aiutavano tutti. Il primo anno da allenatore del Napoli Vinicio si ritrovò con Mario Zurlini, un battitore classico, uno spazzatore d’area forte e senza troppi fronzoli. Nonostante gli ottimi risultati raggiunti, questo non gli bastò e chiese a Ferlaino di comprargli Burgnich, all’epoca già trentacinquenne. Ma come, avrà pensato Don Corrado, vado a prendere un fedelissimo nerazzurro, uno che ha fatto le fortune della grande Inter, per farlo svernare qua a Napoli? Ed invece Luis ci aveva visto giusto.
Burgnich la “Roccia” ebbe una seconda, seppur breve, giovinezza nella nostra città ed ebbe a dichiarare a più riprese di non essersi mai divertito tanto a giocare a calcio. In effetti il difensore udinese arrivò tardi a Napoli lasciandosi dietro un passato glorioso. Ci restò tre anni e furono anni fantastici. Un secondo, un quinto ed un settimo posto prima della malinconica chiusura con l’ultima di campionato con la Fiorentina in casa. Era “de maggio”, due anni prima Burgnich aveva segnato il suo unico gol in maglia azzurra, proprio contro la Viola in Coppa Italia. Gli azzurri, ormai scioltosi come neve al sole dopo la delusione della mancata finale di Coppa delle Coppe, persero in casa e un invasore solitario cercò in tutti i modi di prendersela con l’arbitro. Anche Tarcisio, furlan doc e vino rosso, quel giorno si immalinconì e forse prese la definitiva decisione di lasciare il calcio. E pensò a quando segnò nella semifinale con la Germania nel 1970. Lui, difensore roccioso, non sapeva nemmeno come si esultava.