Guida galattica ai problemi del Napoli. Capitolo 2: gli esterni
La classifica ha nascosto per troppo tempo i sintomi di una squadra in cortocircuito. Il Napoli ha un disperato bisogno di riabilitare i propri esterni.
© “NAPOLI-INSIGNE-DI LORENZO” – FOTO MOSCA
Se il Napoli non fa paura a nessuno, la ragione la si rintraccia anche nella stagione fallimentare delle catene esterne dello scacchiere di Spalletti. Mai, negli ultimi anni, si era assistito ad un disastro simile. Neanche quando un rivoluzionario Ancelotti provò a confutare secolari principi calcistici, sperimentando prima Zielinski e poi, follemente, Fabian Ruiz come ali fluidificanti. Il Napoli di Mazzarri volava sulle spinte di Maggio e Zuniga; quello di Benitez scopriva Insigne e rilanciava Callejon; quello di Sarri li ha resi maestosi, scrivendo nelle pagine di storia il “lancio alla Insigne” e il “taglio alla Callejon”: precisi come un orologio svizzero; e proprio gli esterni, gli stessi che stanno mancando oggi, hanno retto la baracca del Napoli di Gattuso.
Manca il pepe, manca il brio, manca quel guizzo che possa generare spazi, illuminare giocate, o creare superiorità. Non ci si concede più il lusso di un dribbling che apra le speranze di gol o di una rapida triangolazione che premi l’avanzata indiscreta del terzino. Un po’ causa e un po’ effetto di un cortocircuito che il Napoli rende sempre più evidente ogni giornata. Tagliati fuori i giocatori di fascia, estromessi da un sistema che ruota costantemente attorno al proprio sole, Victor Osimhen, e finiti a fare la parte di semplici satelliti. Attira tutto a sé il nigeriano. Anche gli esterni, trascinati da un’inopponibile forza di gravità, li si ritrova spesso più vicini al centravanti che alla linea di bordo campo.
La stagione degli esterni del Napoli in numeri
La stagione di Lorenzo Insigne è impietosa dal punto di vista realizzativo. Se escludiamo i gol su rigore, il capitano del Napoli ha trovato solamente due reti su azione, di cui una in Europa League. In campionato, invece, il “tiraggirometro” si è smosso dallo zero solamente dopo 27 partite, con la perla dell’Olimpico contro la Lazio. Sarà la testa a Toronto, sarà l’animo tormentato o forse l’età che avanza, ma le sue giocate hanno perso di imprevedibilità ed efficacia. Mai stato un velocista, per carità, ma la rapidità nel breve e l’estro di chi è cresciuto giocando per strada gli consentivano di essere sempre una mina vagante. Lo smalto si è sbiadito e per una ragione o per un’altra il capitano lavora a marce basse.
Analogo è il buio che avvolge gli esterni dell’altra fascia. Matteo Politano, con il gol al Barcellona, ha messo a referto appena il terzo centro in ben 31 partite. L’ex Inter, come un’anima fuoriuscita dall’Inferno Dantesco, pare condannato a ripetere in eterno la stessa giocata: un paio di tocchi in avanti, stop e cambio di direzione verso il centro del campo. In loop. E l’epilogo della “fatica” è un pallone perso.
Impercettibilmente meglio Hirving Lozano, che in 29 partite ha raggiunto quota 5 reti. Anche la sua stagione è ampiamente al di sotto delle aspettative ma soprattutto dei 40 milioni sborsati da De Laurentiis per acquistarlo. Perpetuamente in bilico, come un equilibrista su un filo a mezz’aria, con la sola differenza che i suoi piedi poggiano su circa 170 metri quadrati di prato verde. Spesso scoordinato, impreciso, caotico. Anche i più ottimisti hanno dovuto ricredersi, nonostante le buone cose mostrate la scorsa stagione.
E poi c’è lo strano caso di Eljif Elmas, che continua a girare come una trottola nello schieramento azzurro. Dove serve, lì lo si schiera. Quest’anno le esigenze lo hanno portato ad esibirsi sulle corsie laterali, talvolta a sinistra e talvolta a destra. È un ruolo che non ha nelle corde, non ha il passo o la gamba di un’ala, né tantomeno il dribbling ubriacante o il piede da crossatore provetto. Giocatore da tener d’occhio, invece, se impegnato tra le linee. E la prestazione maiuscola da subentrato con la Lazio, oltre alle prove da leader con la Macedonia, lo attestano. Lo score della sua stagione racconta di 6 gol in 37 presenze, di cui solamente 2 in campionato.
Infine c’è l’ultimo – gerarchicamente – degli esterni del Napoli: l’indisciplinato Adam Ounas, tanto bravo quanto capace di annullarsi nel vortice di egoismo di cui è vittima. Le potenzialità ci sarebbero anche. I guizzi nello stretto, gli strappi nel lungo, la velocità palla al piede, sempre attaccata al suo mancino, sono caratteristiche interessanti. Ma se tanti prestiti non gli hanno fornito la scolarizzazione necessaria per convivere in un sistema composto da 11 elementi, allora forse conviene rassegnarsi. La sua stagione ha fruttato solamente 2 gol, entrambi in Europa.
Un sistema accentratore
Tirando un po’ di somme, il Napoli ha prodotto 18 gol – solo 8 in campionato – con ben 5 calciatori. Numeri bassissimi, che fanno ancor più riflettere se si pensa che nella scorsa stagione, a questo punto dell’anno, i soli Insigne, Politano e Lozano ne avevano già realizzati 29, di cui 21 in Serie A. Giocare una stagione in queste condizioni è un handicap non indifferente: agli azzurri manca una quota corposa di marcature, oltre che una fondamentale risorsa per il gioco. E non è mica un problema delle ultime giornate, ma la ricca posta in palio è stata in grado di nascondere sotto al tappeto polvere che ora sembra strabordare.
Sicuramente sul dato raccapricciante incide anche il carattere accentratore del Napoli Spallettiano, che certamente non favorisce gli esterni. Nel concreto, Insigne costeggia la linea laterale solo in sporadiche situazioni, dopodiché converge fino a stazionare in una posizione da mezz’ala. Sorte quasi analoga sull’altra corsia quando giocano Politano ed Elmas, anche loro avvezzi a stringere il raggio d’azione. Discorso differente quando c’è in campo Lozano, che per caratteristiche è l’unico a prediligere l’ampiezza. Ma non basta.
Un sistema simile va incontro alle esigenze difensive nemiche, convogliando la manovra proprio nelle zone in cui vengono erette le barricate, dove c’è più densità ed è logicamente più ostico imbucarsi. Eppure, da qualche mese, questa sembra essere l’unica strada percorribile. Sia chiaro: di per sè non è errato, ma bisogna farlo con criterio.
Il declino dei terzini
E soprattutto, che fine hanno fatto i terzini? La crisi degli esterni del Napoli si riflette anche sulla difesa. Di Lorenzo è quello che nutre più libertà di sganciarsi, e lo fa quasi esclusivamente tagliando internamente. Per modesta osservazione di chi scrive, il suo posizionamento alto in fase di possesso azzurro rappresenta un punto a sfavore, in quanto la presenza mette già in preallarme la retroguardia avversaria. Al contrario, riuscirebbe ad operare sottotraccia ed essere più pericoloso partendo dalle retrovie, dalla sua classica posizione di terzino. Sull’out mancino, invece, Mario Rui viene quasi esentato da compiti offensivi. L’unica occupazione è quella di fungere da appoggio ad Insigne o ai centrocampisti, ma di spingere non se ne parla. È emblematico vederlo scegliere, con metri e metri di campo a disposizione, di fermarsi, rallentare, e cominciare uno sterile fraseggio con i compagni piuttosto che tentare un affondo.
Ad ogni modo, i terzini non creano più quella superiorità che tanto bene aveva fatto a Sarri con Ghoulam e ad Ancelotti e Gattuso con Di Lorenzo. E che è il motore del calcio moderno, aggiungerei. Che fine hanno fatto quelle belle sovrapposizioni? E quegli scambi che permettevano al laterale di difesa di arrivare indisturbato a creare pericoli? In questa stagione, Mario Rui ha portato a termine solamente 8 cross; Di Lorenzo, invece, appena 3. Dati miseri, soprattutto se si considera che Victor Osimhen ha dimostrato ottime capacità nel gioco aereo e meriterebbe di esser cercato più frequentemente con spioventi al centro dell’area.
Un’evoluzione in contromano
Insomma, gli esterni non funzionano e i terzini non spingono più. In un calcio che valorizza sempre più lo strapotere dei giocatori di fascia, è possibile che il Napoli si muova in direzione opposta? Lo dimostra il Milan con l’accoppiata Theo Hernandez-Leao, ce lo ha fatto capire l’Inter con Hakimi o l’Atalanta con Gosens, il Barcellona è rinato con Adama Traorè e il reintegro di Dembelè. Giusto per citare i casi più vicini a noi, senza scomodare i vari Robertson, Alexander Arnold e Joao Cancelo.
Ad oggi e per il finale di stagione, il Napoli ha un disperato bisogno di riabilitare i propri esterni. La fase offensiva di Spalletti è interamente nelle mani della corsia centrale, affidata al talento di Zielinski e all’intraprendenza di Osimhen, o all’esperienza di Mertens quando chiamato in causa e al mancino chirurgico di Fabian Ruiz quando in zona tiro. E se uno di loro non è in giornata o non indovina la giocata…