Esclusiva – Salvatore Bagni: “Voi giovani vi siete persi qualcosa che non accadrà più”
Il 10 maggio 1987 Napoli non brillava più solo per via del mare. Una data che ha cambiato la storia della società, nonché della città. Abbiamo rivissuto quelle emozioni con Salvatore Bagni, eroe di quella indimenticabile squadra.
© “SALVATORE BAGNI – NAPOLI” – FOTO MOSCA
Non era facile la vita, per i meridionali, negli anni ’80. Sì, la sappiamo tutti la storia. C’era molta spaccatura tra nord e sud, ed il Napoli più di qualche salvezza sicura non ottiene in quel periodo. Senz’altro una storia di riscatto sociale, di vita, ma si parla molto (anche se giustamente) di questo e poco di calcio. Quello con cui il Napoli ha conquistato il suo primo, nonché storico, scudetto. Il calcio non si racchiude solo nel perimetro del campo, e ci mancherebbe, ma soffermandoci su quello stavolta: quanto era forte e bella quella squadra? Era la squadra più forte del paese. La stessa che che sarà capace, per giunta, di vincere tutte e tredici gare in Coppa Italia, comprese le due finali con l’Atalanta.
Era il Napoli di…
Ottavio Bianchi, per esempio, un allenatore spigoloso che fondeva il pragmatismo classico ad una impregnata visione moderna; per l’epoca ovviamente. Un allenatore che aveva del materiale molto interessante, poi, da modellare. Di Garella, portiere che, in stile poco ortodosso, fu così d’impatto in quegli anni che si guadagnò una battuta dell’Avvocato Agnelli, privilegio a non molti riservato: “Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però“. Di Bruscolotti, intenso e trascinante. Renica, giocatore di piede: molto preciso al lancio e che si staccava molto dalla linea difensiva sia indietro sia in avanti. Sta emergendo dalla pancia della città Ciro Ferrara, c’è la gigantesca figura di Moreno Ferrario. Volpecina, suo l’indimenticabile gol al Comunale di Torino, contro la Juventus. Partita che, tra l’altro, segna una tappa fondamentale del campionato di quell’anno.
A centrocampo c’è un centurione: “Ciccio” Romano. Elemento determinante sul piano tattico e del dinamismo è De Napoli, giocatore che fa l’ala destra tornante ma anche di sostanza. E se in attacco c’era un imperatore che giganteggiava con la dieci affiancato da Giordano e Carnevale, leader e fulcro della mediana era Salvatore Bagni: forse il più olandese degli italiani. Bagni è l’antesignano in pectore e precursore nell’interpretazione del ruolo di regista arretrato. In ossequio al concetto di calcio totale così caro agli Oranje. Uno dei centrocampisti più amati e apprezzati dell’epoca, non che ora non lo sia.
Ed è proprio lui che SportDelSud ha intervistato: l’uomo che veniva ritenuto fondamentale da Diego Armando Maradona, non uno qualsiasi.
L’intervista a Salvatore Bagni
Una grande squadra, come lo era anche quel Napoli, inizia la stagione pensando già alla possibilità di vincere lo scudetto o ci arriva partita dopo partita all’idea di poterci riuscire?
“È arrivato dopo. Assolutamente. Non eravamo una squadra costruita per vincere lo scudetto. Non eravamo nemmeno nella lista delle pretendenti, c’erano Juventus e Inter, chi ci dava per favoriti a noi? Eravamo lontanissimi anche solo al pensiero di poter fare qualcosa del genere”.
Quali sono stati, se ci sono stati, dei momenti chiave che vi hanno dato la consapevolezza di essere i più forti e di andare a vincere
“Ci sono stati due momenti chiave: quando abbiamo vinto a Torino 1-3, perchè capimmo che potevamo giocarcela alla pari con tutti. Dominammo nel campo di una Juventus fortissima. La seconda invece è stata la partita contro il Milan, alla ventisettesima giornata. Eravamo in crisi, avevamo perso contro il Verona tre a zero e mancavano quattro giornate dalla fine del campionato. Quella gara la vincemmo due a uno: fece la differenza la cattiveria, il carisma, la personalità e la mentalità. Nel momento decisivo, abbiamo tirato fuori il meglio di noi. Ed è quello che, probabilmente, è mancato quest’anno”.
Il suo nuovo libro si chiama si intitola “Che vi siete persi”. Noi, nuova generazione, assaporiamo solo i racconti e le emozioni di quella festa. Ma effettivamente, cosa ci siamo persi?
“Quando non ti aspetti qualcosa che poi arriva è una gioia immensa. Una gioia che nessuno si aspettava. Poi è tutto legato a Diego: nonostante fosse arrivato il più grande giocatore del mondo, nessuno si aspettava che avesse potuto trasmettere a tutti la sua mentalità e la sua voglia. Noi saremmo stati una buona squadra ma senza di lui non avremmo vinto. Vi siete persi una cosa che non si ripeterà più. Gioia inaspettata e immensa che viviamo oggi ormai da più di trent’anni. Adesso, quando scendo a Napoli, ancora le persone ricordano quei tempi. Dal bambino di cinque anni alla signora più anziana. Era una festa, una volta, andare allo stadio.
Se nei prossimi anni il Napoli arrivasse a vincere lo scudetto, sarebbe una festa paragonabile?
Vincere di nuovo sarebbe davvero importante. Soprattutto per chi non ha vissuto quei festeggiamenti. Secondo me si farebbe una grande festa, basta pensare il modo in cui in città hanno esultato a seguito delle recenti vittorie di Coppa Italia. Nel nostro caso, però, aver portato il primo scudetto, dopo sessant’anni, e dopo che sono passati grandissimi campioni che non sono riusciti a vincere, è impagabile come emozione. Oggi, quando vengo a Napoli, le persone ancora mi dicono della gioia che siamo riusciti a portare grazie a quella stagione. Se dopo tutto questo tempo porti ancora questa gioia nel cuore delle persone, vuol dire che hai fatto qualcosa di veramente importante. È quello che ci rende orgogliosi. A Napoli questa vittoria rimarrà per sempre”.