Pasolini, il Napoli da scudetto e la brutta figura di Bachlechner
Oggi, come nel 1975, la strada per il tricolore del Napoli passa per Verona. Allora lo scontro fu a novembre e il Guerin Sportivo titolava "Un Napoli da scudetto". All'ombra del Vesuvio ricordano ancora quella partita come la "vendemmiata di Verona".

Il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, in calendario il 5 marzo scorso, e la presunta voglia di scudetto del Napoli, che sembra ancora attuale nonostante il passo falso col Milan in casa, mi riportano alla mente una famosa copertina del Guerin Sportivo del 1975. Una ‘prima pagina’ che ebbe un’eco molto forte perché fu l’ultima intervista concessa dallo scrittore friulano prima di essere ammazzato sul litorale di Ostia in circostanze ancora oggi oscure. Sono note le connessioni di Pasolini col mondo del calcio. Tifoso del Bologna dai tempi della squadra che “faceva tremare il mondo”, partitelle con gli amici sempre e comunque, la teoria del “calcio come l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” e del “calcio come spettacolo che ha sostituito il teatro” ne fanno un intenditore a tutto tondo. Un esperto. Ma su quella copertina, alla sinistra dell’immagine del regista di Casarsa del Friuli, c’è una inequivocabile foto di La Palma che buca Ginulfi nella gara che gli azzurri disputarono a Verona la domenica precedente. Titolo: ” E’ un Napoli da scudetto”.

Sembra un film già visto, attuale, per niente nuovo. Allora ci si esaltava dopo solo quattro giornate di campionato caricando la squadra e l’ambiente di tante aspettative ( ricordiamo che è il primo anno di Savoldi in maglia azzurra ), oggi i tifosi appaiono speranzosi come allora anche dopo 28 giornate di campionato e si chiedono ancora se è “un Napoli da scudetto”. Quindi corsi e ricorsi storici, analogie tante, la Storia fa un lungo giro e ritorna. Certamente la gara di Verona fu la più bella giocata in trasferta, insieme a quelle dell’Olimpico dove Boccolini stese la Lazio e Sperotto e due volte Savoldi abbatterono la Roma. Guarda caso, un Napoli più bello fuori casa che in casa. Dice niente?
E’ il giorno dei morti, qualcuno recita “‘A livella” di Totò, una folla composta va ai cimiteri per omaggiare i cari defunti in attesa dei collegamenti con la radiolina e “Tutto il calcio minuto per minuto”. E’ il 2 novembre 1975 quando gli azzurri stracciarono i gialloblu per 4 a 2 con reti di Juliano, La Palma, Braglia e Savoldi dopo essere stati in svantaggio per un rigore trasformato da Luppi concesso con benevolenza dall’arbitro Menicucci ( si sussurrò addirittura che il direttore di gara fosse compagno di tennis di Valcareggi, allenatore di quel Verona ). A segno un difensore, un centrocampista e due attaccanti. Calcio totale. In un’atmosfera scura, con un campo pesante per la pioggia caduta in mattinata ed un cielo coperto da un manto di nubi minacciose, il Napoli del ‘collettivo’ e della personalità ben definita salì sulla giostra ed annichilì l’Hellas.

Fu uno spettacolo di straordinaria bellezza, il calcio totale di Vinicio sembrava aver raggiunto il punto più alto, la squadra aveva trovato un suo equilibrio nonostante l’allenatore brasiliano continuasse a tenere nascosta una verità che rivelerà solo molti anni dopo. La realtà era che lui non era mai stato d’accordo sulla cessione di Clerici al Bologna e lo avrebbe voluto tenere come spalla di Savoldi. Ferlaino, dal canto suo, aveva bisogno di abbonamenti e alla fine il blitz dell’ingegnere ebbe la meglio sulla volontà dell’allenatore. Nonostante questo pensiero tormentasse l’anima di Vinicio, il Napoli era partito benissimo. Due vittorie in casa con Como e Cesena ed un pari in trasferta a Firenze, prima della trasferta al “Bentegodi”.
L’istantanea più bella di quella gara rimane, dunque, quella di La Palma che buca Ginulfi in uscita sul palo basso alla sinistra del portiere dopo una splendida triangolazione con Juliano, una sorta di miracolo di precisione e tempestività. Cori unanimi, tutti iniziarono a parlare di scudetto, perché il Napoli aveva dominato, la squadra di Vinicio sembrava imbattibile e pronta a dare fastidio alle torinesi che avrebbero lottato fino alla fine per il campionato. Il Napoli esplose in una poderosa e significativa partita mettendoci ardore e combattività, fece una rimonta esaltante che in undici minuti lo portò dallo 0 a 1 al 3 a 1 ( senza dimenticare due traverse di Boccolini ). Una rete ogni quattro minuti, un babà per gli occhi ed il cuore.

Non vi dico Mimmo Carratelli cosa combinò con le pagelle, esaltandosi. ‘Nove’ a due giocatori con l’argento vivo addosso, Boccolini e Orlandini, polmoni di un centrocampo che oggi farebbe arrossire Demme, Elmas e compagnia bella, ‘Otto’ a Burgnich e Carmignani, splendidi baluardi difensivi a dimostrazione che nel calcio all’olandese si può fare bene anche la fase arretrata e ‘Sette’ a tutto il resto della squadra. Non da meno anche la pagella del Guerin Sportivo con un solo 6,5 a Braglia tra una miriade di ‘otto’ e ‘sette’. Quel Napoli sembrò recitare una parte imparata a memoria dando vita ad una partita che ancora oggi resta memorabile ed è ricordata come la “vendemmiata di Verona”. In quella gara il centrocampo gialloblu fu chiaramente alla mercè di quello napoletano e all’attacco veronese pensarono Bruscolotti e La Palma, quest’ultimo autore di una partita monstre. La difesa dei veneti, con Bachlechner e Nanni, poté poco e fece una figura barbina. I due si scambiarono prima Braglia e poi Savoldi ma non beccarono palla.

Eppure Bachlechner, in quel Verona di anziani ed esperti ( Zigoni, Luppi, Busatta, Sirena, Ginulfi e tanti altri ) sembrava un predestinato, un giocatore destinato ad un grande club e forse alla Nazionale. Il giocatore alto atesino, un anno anche all’Inter, rappresentava un caso più unico che raro in ‘quel’ calcio fatto di indigeni così come oggi può diventare un esempio diametralmente opposto avere in squadra un italiano tra tante etnie diverse. Ricordare oggi un nome così ci fa capire quanto sia cambiato il calcio, le sue dinamiche e il modo in cui oggi viene gestito il rapporto tra italiani e stranieri presenti in squadra.
Se oggi tutte le compagini di serie A hanno al massimo tre o quattro italiani su una rosa di quasi tutti stranieri allora si capisce quanto sia stato esotico e stravagante negli anni ’70, con le frontiere chiuse, avere in formazione uno che si chiama Bachlechner. Non si poteva non notare un giocatore così che, dopo il bando agli stranieri, sembrava averle riaperte per un attimo in mezzo ai signor Rossi e Bianchi che popolavano il campionato italiano, all’epoca il più autoctono d’Europa.
Negli anni ’70 bastava essere nati a Brunico, in provincia di Bolzano (Italia), poco più di 15000 anime, per essere considerato una sorta di ‘straniero’. Infatti Bachlechner era chiaramente bilingue, parlava correttamente il tedesco e l’italiano sebbene quasi l’85% dei suoi concittadini si esprimessero con la lingua dei Sassoni. Nel cuore delle Alpi nascono italiani, a Brunico c’è perfino un monumento all’Alpino, ma si respira in tutto e per tutto un’atmosfera da tipico paese teutonico. Lì, nella Val Pusteria, nacque nel 1952 questo biondone che ha incrociato spesso il Napoli nella sua carriera al Verona, dove ha giocato dal 1972 al 1978 tranne una breve parentesi al Novara nel 1974-5. Magari oggi il distinto signor Bachlechner ricorda ancora quando fu mandato allo sbaraglio, a prendere farfalle tra i due attaccanti del Napoli. Perché quel giorno Savoldi e Braglia si erano reincarnati in due Ira di Dio.