“Mai un peccato di arroganza o di presunzione” Pastorin ricorda Garella
La morte di un portiere è come la morte di un poeta: svanisce la fantasia, la follia, la purezza, la bellezza.
© “GARELLA” – FOTO MOSCA
La morte di un portiere è come la morte di un poeta: svanisce la fantasia, la follia, la purezza, la bellezza.
Claudio Garella fu un anarchico del ruolo, uno che “parava senza mani”. Vinse uno scudetto con il Verona e uno con il Napoli, e siamo alla vigilia di Verona-Napoli, amava Torino e il Toro.
Lo ricordo a Chivasso, con il poeta Maurizio Cucchi, commuoversi per la poesia, in dialetto piemontese, dedicata da Giovanni Arpino al Grande Torino. Era un uomo buono, mite, generoso.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo nei miei giorni da cronista: mai un peccato di arroganza o di presunzione. Mai. Fu campione con Maradona e con Galderisi, fu per tutti un buon compagno, fuori e dentro il prato verde, e in porta riusciva a compiere miracoli da racconto di Osvaldo Soriano.
Era un numero uno per davvero. Un eterno, solare e malinconico ragazzo.