Il nuovo figlio del vento
Kvaratskhelia è la Disney, la Nutella a prima mattina, è il buon calcio che si manifesta. È colui che che ci riconcilia con il pallone, consentendoci di innamorarcene ancora.
© “KVARATSKHELIA” – FOTO MOSCA
Qual è la differenza tra Kvicha Kvaratskhelia e Kakà? O tra lui e qualsiasi altro grande colpo della Serie A come Salah, Milinković Savić, Pato, Pogba? Mentre i più attenti conoscevano questi nomi, o comunque sono affari concretizzatisi in modo roboante -“Paul via da Manchester a 0?!”, tuonavano, ad esempio, in Inghilterra -, con il funambolo azzurro sono tutti partiti dalla stessa domanda: “E come lo chiamiamo? Kvara? Kvicha? Come si pronuncia?”
Giornalisti, allenatori, addetti ai lavori, si sono preoccupati – e occupati – di tutto, tranne che del suo modo di giocare. Il sottoscritto, addirittura, appena il 10 settembre, s’interrogava in questi termini: “Kvaratskhelia è l’estro del genio, o la fantasia dell’artista?“. Ebbene, a distanza di qualche mese, e non poche prodezze, ecco finalmente la risposta messa nero su bianco: Kvaratskhelia è un film Disney, la Nutella a prima mattina, un gatto che si diverte a giocare con un gomitolo, un bambino che, la mattina del 25 dicembre, scarta i regali sotto l’albero affianco al camino.
Khvicha è chimerico: è una farfalla con lame al posto delle ali, bello da vedere ma pungente da morire. In lui c’è tutta la fantasia che aveva in mente proprio Walt Disney: dribbla come un ragazzino per strada che non ha voglia di crescere come Peter Pan, con l’obiettivo di vivere continuamente nel suo idillio adolescenziale. La sua inconsueta capigliatura richiama la gloriosa e impareggiabile criniera di Simba nel Re Leone. Con il pallone tra i piedi è in grado di compiere magie ed esaudire desideri come il Genio della Lampada in Aladdin. Ma nonostante tutta questa bizzarra immaginazione, chi lo rispecchia di più è Topolino: la bellezza della semplicità, un eterno richiamo al passato, la dimostrazione che la tradizione avrà sempre una marcia in più sull’innovazione. In Mickey Mouse c’è tutta la voglia di favole di cui l’essere umano vorrebbe incessantemente nutrirsi.
Se volessimo staccarci da tutta questa fantastica visione, che a tratti può sembrare un delirio, come potrebbe, Kvaratskhelia, non rappresentare Willy Wonka, colui che più di tutti crea piacere ed endorfine, come scrive anche Carlo Iacono. Khvicha, scomodando stavolta Eduardo Galeano, è il buon calcio che si manifesta, e chi se ne frega del colore della maglia che indossa o da che Paese arriva, lui è la pietra miliare dal quale prende le mosse la meravigliosa corazzata azzurra, della quale è indiscutibilmente il leader tecnico.
Kvaratskhelia è un fenomeno, non solo nel terreno di gioco ma anche sociale: lui è la risposta liberatoria alla tirannia delle scuole calcio, agli allenatori che prediligono un fisico scolpito all’immaginazione, al talento costruito in serie. Ricorda i pionieri del calcio, quello puro e incontaminato, quello di cui ci siamo innamorati, il gioco più bello del mondo. Lui reincarna e scarta, ed è il numero uno nell’attuarle contemporaneamente: rispecchia perfettamente il calcio caucasico, o quello che originariamente voleva essere, ossia un dribbling a tutto ciò che richiamasse Lobanovski e la sua Dinamo Kiev. Un futebol, più che un football. E lui, Khvicha, lo fa perfettamente, lui scarta, scarta tutti: Lobanovski, i difensori, gli arbitri, i tifosi, le regole, la modernità, il vento.
Gambeta, come direbbero in Sudamerica, ma in un modo unico quanto semplice; sembra che non s’ispira a nessun grande dribblatore, nonostante ne sia innamorato, del dribbling. È uno stile asciutto -scrive l’Ultimo l’Uomo-, quello che inscena, come se non avesse mai guardato su YouTube i video skill di Neymar o Ronaldinho, che hanno arricchito il dribbling di pazzia, follia, e fantasia. Il suo calcio è primordiale, pasoliniano, fatto di corpi e movimenti, sregolatezza e amore per il gioco.
Fin quando nasceranno calciatori del genere, capaci di realizzare questi gol, e finché impazziremo davanti all’esecuzione, ci sarà speranza per le future generazioni di conoscere l’essenza del calcio, composto di fantasia, estro e istinto. Per questo lo amano tutti, perché ci riconcilia con il pallone, e ci consente ancora di amarlo.
Tu, che -come compone il Maudit Francesco Ricciardi- “sei bellezza che si incarna e diviene calciatore”, tu che sei unico e manifesti superiorità: continua a dribblare qualsiasi cosa, continua a volare, figlio del vento.