Calcio italiano: tra rigori da telenovela e lacrime di coccodrillo in Europa
Un rigore negato al Napoli scatena l'ennesima polemica. Ma c'è un problema più profondo che affligge il calcio italiano: la cultura del "rigorino".

Un rigore negato al Napoli in Champions League scatena l’ennesima polemica. Ma c’è un problema più profondo che affligge il calcio italiano: la cultura del “rigorino”.
Ieri sera, al Camp Nou, il Napoli ha sfiorato l’impresa contro il Barcellona. Ma a far discutere più del risultato è stato un episodio in area di rigore: Osimhen cade dopo un contatto con Cubarsì, l’arbitro non fischia e le proteste dei partenopei si fanno veementi.
Non è la prima volta che le squadre italiane si sentono penalizzate dagli arbitri in Europa. Ma cosa si cela dietro queste continue polemiche? Un complotto internazionale contro le italiane o, forse, una verità più scomoda e meno romanzesca? La frustrazione nasconde un problema più radicato: in Italia, il VAR ha trasformato il calcio in una telenovela sudamericana, con rigori assegnati per il minimo sfioramento e attaccanti che si lanciano a terra come novelli Ofelia al minimo contatto.
Un calcio da operetta
Basta guardare le partite di Serie A per vedere scene tragicomiche: attaccanti che si contorcono per minuti come se avessero subito una coltellata, urla strazianti che farebbero impallidire Maria Callas, e rigori assegnati per sguardi languidi o carezze non gradite. Basta un soffio, un lieve contatto, perché l’attaccante di turno esibisca la sua migliore interpretazione di una tragedia greca, cadendo a terra in un misto di dolore e arte. Grida che si propagano come onde radio, in cerca di un arbitro sensibile alla loro causa. Ma quando questi gladiatori dell’area di rigore mettono piede in Europa, si scontrano con una realtà ben diversa, una realtà dove il contatto fisico è parte del gioco e non un peccato mortale.
Un malcostume che danneggia tutti
Questa cultura del “rigorino” non solo danneggia lo spettacolo del calcio, ma mina anche la credibilità delle squadre italiane in Europa. I nostri giocatori, abituati a facili penalty in patria, si ritrovano spiazzati quando gli arbitri stranieri non cadono nella trappola e applicano il regolamento con maggiore severità. Questo continuo appellarsi al VAR per contatti minimi è diventato una vera e propria piaga, una sceneggiata che non solo mina l’integrità dello sport ma alimenta anche una narrativa pericolosa: quella di un calcio italiano incapace di competere senza l’aiuto “tecnologico”. E così, quando i riflettori internazionali illuminano le nostre stelle del pallone, queste ultime sembrano smarrite, incapaci di adattarsi a un contesto in cui la teatralità lascia spazio al talento puro. Gli arbitri internazionali, meno inclini a lasciarsi trascinare in questo teatro dell’assurdo, non concedono con la stessa leggerezza quei “rigorini” ai quali siamo abituati. Ed ecco che si alzano cori di protesta, accuse e lacrime di coccodrillo.
E’ tempo di dire basta!
Serve una seria riflessione sul tema. Bisogna educare i giocatori a un calcio più virile e corretto, e gli arbitri a utilizzare il VAR con maggiore oculatezza. Solo cosi potremo liberarci di questa pantomima che sta rovinando il calcio italiano. Il calcio, con la sua bellezza intrinseca, non ha bisogno di maschere o di artifici per incantare. Ha bisogno di verità, di scontri leali, di talento che si esprime nei metri di campo e non nelle cadute più o meno studiate.
Ma non perdiamoci d’animo
Forse, è tempo che il calcio italiano faccia i conti con se stesso, riscoprendo l’etica sportiva che sembra essersi dissolta come uno di quei rigorini al vento. Solo così potremo sperare di vedere le nostre squadre competere ad armi pari sui grandi palcoscenici europei, perché, alla fine, quello che resta è il gioco, la passione, l’emozione di un gol non macchiato da polemiche o da dubbi. Dopotutto, il calcio è uno sport meraviglioso, e non possiamo permettere che venga soffocato da lacrime di coccodrillo e sceneggiate da telenovela.