Perché l’addio di Giuntoli non sarebbe un dramma

Cristiano Giuntoli ha completato anche l'ultimo livello del videogame, ed ora vuole cambiare gioco. Stringersi la mano e salutarsi è la scelta migliore.

giuntoli de laurentiis
Articolo di Luca Paesano13/05/2023

©️ “GIUNTOLI” – FOTO MOSCA

È stato un viaggio fantastico quello che ha portato il Napoli alla vittoria dello scudetto. Il terzo della sua storia a trentatré anni di distanza dall’ultimo, il primo per tante generazioni anagraficamente sfortunate. È stata una festa immensa. Lo è ancora. Lo sarà fino alla fine del campionato, e forse oltre. È iniziata mesi fa e non accenna a terminare. E non importa nulla di quello che pensano gli altri, di quello che dicono gli altri. “Napoli balla!”, come gridano gli ultras del Maradona, e non hanno intenzione di fermarsi.

Ne son cambiate di cose negli ultimi anni e ne son passati di calciatori. Qualcuno ha lasciato un segno, qualcun altro meno. Alcuni sono entrati a far parte della storia di questo club, hanno battuto record su record, hanno regalato emozioni e ricordi impareggiabili. Altri son stati più anonimi, impalpabili, contestati, addirittura odiati, tanto per scelte di campo (ma perchè Michu non ha tirato?) quanto per scelte professionali (Higuain sì ‘na ***). Un uomo invece è sempre stato lì, composto, equilibrato, in attesa del suo riconoscimento. Negli ultimi 8 anni Cristiano Giuntoli li ha visti passare tutti, li ha portati e poi li ha accompagnati all’uscita, pensandoli quasi sempre come dei buoni fruttiferi. Le ha vissute tutte. Ha vissuto il cambiamento. Anzi, lo ha generato.

Anche la sua figura ha subito una profonda evoluzione nel corso di questi anni. La sua crescita è andata quasi a braccetto con quella della società. Il direttore sportivo degli esordi sembrava essere ancora troppo legato alla mentalità di provincia. Con il Carpi aveva fatto un miracolo, ingaggiando giovani calciatori da categorie inferiori, riducendo drasticamente le spese della società, e addirittura conducendola fino al palcoscenico della Serie A. Ma la realtà di Carpi non è quella di Napoli: sono diversi i bisogni, le aspettative, le pressioni, ma anche le possibilità.

Ci ha messo un po’ Giuntoli per capire che poteva spingersi oltre ai vari Grassi, Regini, Gnahorè, Machach, Malcuit, Leandrinho o Ciciretti. Tutti acquisti che avrebbero fatto comodo ad una squadra da media o bassa classifica, ma non ad una che ambiva ai vertici del calcio italiano e, magari, anche del calcio europeo. Con un occhio alle finanze ed uno al progetto tecnico, Giuntoli è cresciuto e ha fatto crescere il Napoli. L’ultimo calciomercato è stato senza alcun dubbio il capolavoro, quello che ha finalmente messo il suo lavoro sotto gli occhi di tutti, quello che lo ha elevato tra i migliori direttori sportivi del panorama attuale, quello che ha riportato finalmente lo scudetto a Napoli. Ed è forse proprio questo uno dei fattori che lo spinge a voler cambiare aria.

Salutare da vincente, con la consapevolezza di aver raggiunto l’apice e di non potersi spingere oltre. Appagato da un risultato storico, sazio dopo un’impresa che viene riconosciuta come (in buona parte) sua. Perché questo è il Napoli di Giuntoli, plasmato interamente da lui, liberato in estate degli ultimi residui della mente di Benitez (Insigne, Ghoulam, Koulibaly, Mertens).

E se allora il tifoso riuscisse a scindere la parte emotiva e passionale, portando avanti un ragionamento puramente professionale, riuscirebbe a comprendere che probabilmente si è davvero chiuso un cerchio. Giuntoli ha concluso il suo lavoro, ha portato a termine la sua missione, ha portato a casa il massimo obiettivo possibile, e più di questo non può fare. Ha raggiunto l’ultimo livello del videogame e lo ha completato, ma anche il più bello dei giochi ad un certo punto stanca. È tempo di cercare nuovi stimoli, e la separazione non va accolta come un tradimento, come invece sembrerebbero pronti a percepirlo alcuni tifosi. Il percorso è tracciato.

Lo ha lasciato intendere chiaramente nella pomposa cerimonia al termine di Napoli-Fiorentina, dove il presidente ha fatto l’ennesimo tentativo per trattenerlo. Lo ha messo spalle al muro, pubblicamente, di fronte a 50 mila presenti e a qualche altro milione collegato da casa. Ha fugato ogni dubbio, ha messo in chiaro la situazione e passato la palla nelle mani del direttore sportivo. Un tipo di gestione che per De Laurentiis è ormai diventato prassi nelle questioni mediaticamente e passionalmente care alla piazza. Scopre le sue carte e scarica tutte le responsabilità di un eventuale addio sulla controparte.

Lo ha già fatto con Insigne, Koulibaly e Mertens, sbandierando le offerte contrattuali che erano state avanzate loro per rinnovare. Si è ripetuto ora con Giuntoli e Spalletti, le cui risposte si sono mostrate piuttosto evasive. Il fine però sembrerebbe differente, perché se agli ex azzurri era disposto a rinunciare, anche e soprattutto per questioni anagrafiche e di peso economico, il tecnico e il ds se li vorrebbe godere ancora un po’. Se nel primo caso si intravede uno sfondo di captatio benevolentiae che lascia trapelare di chi sia la decisione di abbandonare Napoli, il secondo appare più simile ad un tentativo estremo per convincere i destinatari del messaggio a non abbandonare Napoli.

Se Spalletti ancora tentenna e valuta, Cristiano Giuntoli è rimasto glaciale. Interrogato sul suo destino, il direttore sportivo ha glissato, e dopo aver fatto un ampio giro di ringraziamenti ha chiosato: “L’ultimo pensiero va al popolo napoletano: non vi preoccupate del futuro, sono qui da otto anni e sento sempre parlare di chi va via e chi rimane”. E quella palla, che il presidente aveva messo nelle sue mani pochi secondi prima, ritorna diritta ad Aurelio: “Nelle mani di De Laurentiis, non ci sarà mai un problema e sarà sempre un grande Napoli”. Poche parole, semplici e concise, come quelle che ha sempre adoperato nelle sue interviste. Poche parole e qualche cenno di commozione che sanno di un saluto non ancora formale, ma già definito.

Il suo ciclo sembra essersi concluso ed è tempo di voltare pagina. È tempo di nuove sfide, ma anche per il Napoli, che avrà il delicato compito di dare continuità a quanto fatto negli ultimi anni senza mandare in frantumi il lavoro del direttore sportivo. Una base di partenza importante già c’è: Giuntoli lascia in eredità un complesso sistema di conoscenze e metodologie assimilate nel tempo dai suoi collaboratori (Micheli e Mantovani, che rimarranno), un database ricco di profili per il futuro, una rete di scouting certamente più matura ed efficiente rispetto a qualche anno fa. Insomma, una perdita notevole, ma non c’è da far drammi. Il recentissimo passato ci ha insegnato (eccome!) che, in certi casi, stringersi la mano e salutarsi è la scelta migliore.