Meglio Conte di Inzaghi: ma all’Inter meglio Inzaghi di Conte

Se mi buttate lì, Antonio Conte o Simone Inzaghi?, vi risponderò di getto: Conte. Ma se mi chiedete, chi ha fatto meglio, tra Conte e Inzaghi all’Inter, nessun dubbio: Inzaghi.

Simone Inzaghi
Articolo di Roberto Beccantini13/06/2022

© “INZAGHI” – FOTO MOSCA

Il confine fra tutto e niente, nello sport, può essere sottile, impalpabile, come una bava di vento o un ricciolo di terra, dopo 100 metri o dopo 38 giornate. E’ la differenza eterna che coinvolge vittorie e sconfitte, «questi due impostori» che Rudyard Kipling citava al figlio per metterlo in guardia (anche) da noi guardie.

Prova ne sia la prima finale di Conference League, disputata a Tirana il 25 maggio: Roma uno, Feyenoord zero. Da una parte, il gol di Nicolò Zaniolo. Dall’altra, due pali e le parate di Rui Patricio.

Ergo: ave Mou, daje Mou, 150 mila al Circo Massimo, il Colosseo pavesato di giallorosso, «Grazie Roma» a reti unificate, metà urbe in estasi, l’altra metà agli arresti domiciliari. Da Zemanlandia sono piovute pallottole, da Fusignano il silenzio di Arrigo Sacchi aveva il rumore assordante dei nemici, dello sdegno. Guerre di religione, «calcio feo y aburrido», da vate a vate.

Se mi buttate lì, Antonio Conte o Simone Inzaghi?, vi risponderò di getto: Conte. Il martello. Ma se mi chiedete, reso onore al Milan di Stefano Pioli, chi ha fatto meglio, tra Conte e Inzaghi all’Inter, nessun dubbio: Inzaghi. Già immagino le obiezioni, le sollevazioni. Ma sei fuori? Inzaghino si è in pratica suicidato, tanto era dato favorito nei pronostici, nelle griglie, nei sondaggi.

Al tempo. Conte, gran seminatore, vinse lo scudetto al secondo anno e stop. Fuori da tutta Europa già a dicembre (ripeto: da tutta); k.o. nelle semifinali di Coppa Italia contro la Juventus di Cristiano Ronaldo; niente Supercoppa.

L’Inter di Inzaghi, gran raccoglitore, è arrivata seconda per un pelo (e per un Radu) dietro al Milan; ha raggiunto gli ottavi di Champions, traguardo che l’Inter non toccava da dieci anni, espugnando Anfield: non bastò per eliminare il Liverpool, bastò e avanzò per entrare nella storia (di alcune testate, almeno); ha conquistato Supercoppa e Coppa Italia, strappandole entrambe alla Juventus, dettaglio che da Calciopoli in poi proprio marginale non è.

Non dovrebbero esserci dubbi, a meno che il campionato «poco allenante» (Fabio Capello), domato per cinque anni «da una squadra senza allenatore» (Lele Adani, Antonio Cassano), un torneuzzo «che sta alla Champions come miss Quartiere a miss Universo» (Sacchi), non sia diventato d’improvviso una preda tale da azzerare l’intero indotto. Sono mancati i gol di Romelu Lukaku, più che le visioni e le intemerate di Conte. La rosa dell’Inter rimaneva la più forte, anche se meno forte della stagione precedente.

Pane al pane: il Diavolo di Pioli ha compiuto un’impresa, ma la fuga di Cierre lo collocava subito alle spalle dei cugini, in posizione d’attesa, di agguato. Dei quattro derby disputati, coppa inclusa, ne ha pareggiati due (1-1, 0-0), perso uno (0-3) e vinto per 2-1, in rimonta, quello che, gira e rigira, ha scavato la piccola, cruciale, differenza.

Altra obiezione: ma se la corona vale così poco, figuriamoci i gingilli di scorta. Dipende dai gusti. Infatti. Rammento, allargando il discorso, gli improperi rivolti a Conte all’indomani della bocciatura internazionale. Ricordo, a primavera, gli sputi diventati baci. Conte, lo scudetto e nient’altro. Inzaghi, tutto (l’umanamente possibile) meno lo scudetto.

E comunque, al di là dei troppi pesi e delle troppe misure che ognuno calibra in base al proprio tifo e alla propria competenza, non si scappa dalla legge del campo. Che ovunque, ma soprattutto da noi, significa classifica, corto muso, vaffa, tiè. Nel calcio non esiste, come nello sci, la combinata, che è «somma» di gare. Peccato. E allora, viva il dibattito. L’ultima zattera per abbandonare il Titanic dei luoghi comuni.

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