Il Fair Play Finanziario è morto prima di nascere
Un viaggio nella storia del Fair Play Finanziario, regolamento UEFA che avrebbe dovuto rendere il calcio più competitivo.
Oggi i tifosi parlano e (soprattutto sui social) scrivono tanto dei bilanci delle società di calcio. Il motivo è sostanzialmente uno solo: il calciomercato!
Il tifoso vuol sapere se la propria società è in grado di comprare i campioni che lui sogna. Si dirà che è sempre stato così, tuttavia l’era dei Presidenti mecenati è finita, almeno in Italia, e il tifoso ha iniziato a domandarsi perché il proprio club non può più comprare i campioni. E ritorniamo all’ingiusto refrain (basato su ignoranza ed incompetenza): ““Pappo’ cacce ‘e sord”
Fair Play Finanziario in sintesi
In questo scenario, fino alla primavera scorsa era stato inserito il Regolamento del Fair Play Finanziario. Un progetto prodotto dal Comitato Esecutivo Uefa nel settembre 2009, che costringeva i club ad adottare una filosofia gestionale basata sull’autofinanziamento e quindi di prestare la massima attenzione ai ricavi e ai costi. Perché le società devono acquisire l’attitudine a durare nel tempo, basandosi sulle proprie forze.
In sintesi il FPF era stato studiato per far sì che il gioco fosse stato leale anche durante le campagne acquisti.
Il ricorso all’indebitamento eccessivo è equiparabile all’uso del doping che falsa le competizioni. La competizione deve svolgersi contando esclusivamente sulle proprie forze senza avvalersi di aiuti esterni di qualsiasi genere.
Le regole del FPF
Vediamo come si sono modificate negli anni le regole basiche del FPF.
Inizialmente le squadre che si qualificavano per le competizioni della Uefa dovevano dimostrare di non avere debiti insoluti verso altre società, giocatori e altre entità sociali e fiscali per tutta la stagione. Pagare gli stipendi, onorare i debiti, regolare le tasse dell’anno altrimenti incorrevi in sanzioni (dalle multe alle esclusioni dalle competizioni UEFA per club). Perfetto!
Nel 2013 i club erano tenuti a bilanciare le spese con i ricavi e ridurre i debiti. Per non imbattersi in penalità potevi spendere solo ciò che incassavi e se introitavi un euro in più di ciò che sborsavi, quell’euro doveva servire a ridurre i debiti pregressi. Molto bene!
Nel 2015 i limiti del Fair Play Finanziario sono stati poi modificati per incentivare gli investimenti: le spese per le costruzioni di stadi, di infrastrutture per gli allenamenti e per i settori giovanili e femminili sono state escluse dalla verifica dei bilanci. Sono chiamati “costi virtuosi” e qui qualche riflessione la farei sui rischi di falsificazione dei bilanci insiti nella gestione dei vivai.
Esisteva anche una particolare tolleranza nei confronti dei club che necessitavano di una ristrutturazione d’impresa, che affrontavano gravi problemi economici e che erano alle prese con problemi che dipendevano dalla loro regione di appartenenza.
Il rischio “figli e figliastri”
In questo caso, trattandosi di analisi soggettive, chi garantisce che non si sia attuata una politica di “figli e figliastri”?
Ad esempio privilegiando “politicamente” con il silenzio qualche club tedesco e invece stigmatizzando le sanzioni inflitte a squadre turche.
Il Galatasaray è stato escluso per un anno dalle coppe europee per non aver rispettato i parametri previsti dal Fair Play Finanziario e per non aver raggiunto gli obiettivi concordati con la Uefa dopo le prime sanzioni.
La deroga dei 5 milioni
Ad ogni modo ai club era stata concessa anche una deroga: poter spendere fino a 5 milioni di euro in più di quanto avevano guadagnato nel periodo di tre stagioni precedenti quella in corso. Non solo ma chi sforava i 5 milioni non incorreva in sanzioni se però rimaneva entro i trenta milioni (esclusi i “costi virtuosi”) di deficit e se successivamente la proprietà provvedeva a coprire i debiti.
Ops! Cosa significa “successivamente”? Occorre un termine preciso altrimenti 30 milioni da ricapitalizzare sono tanti! E poi è equo questo limite per l’intero movimento quando per un emiro o uno sceicco 30 milioni sono bruscolini?
Il debito calcistico e il pareggio di bilancio
Per avere, infatti, una idea del fenomeno, anche e soprattutto a seguito del Covid, dobbiamo far presente che gli ultimi dati analizzati attestano che il debito calcistico si aggira su 1,6 miliardi di euro e che è in crescita del 36%, mentre il 75% delle società non riesce a far pareggiare il bilancio!
Ecco perché la UEFA, nel giugno del 2020, ha adeguato il regolamento del FPF apportando una serie di modifiche ad alcune norme per evitare di soffocare i club già messi in crisi dalla pandemia, e con inevitabili rossi di bilancio all’orizzonte.
In particolare, per quanto riguarda il monitoraggio dei conti dei club, sono state adottate nuove norme sul pareggio di bilancio (break-even rule) per le stagioni 2020/21 e 2021/22.
Per agevolare i club colpiti dalla pandemia, la Federcalcio europea ha stabilito quindi che «il periodo di monitoraggio comprende due periodi di rendicontazione consecutivi (in luogo dei classici tre) per le licenze 2020/21 e quattro periodi di rendicontazione consecutivi per le licenze 2021/22».
La Federcalcio europea ha così limitato a due stagioni (2017/18 e 2018/19) l’analisi per il 2020/21, allargando a quattro stagioni l’analisi per il 2021/22, per evitare che il Covid facesse saltare il banco.
Per la stagione in corso, infatti, al fine di definire il rispetto della regola del pareggio di bilancio sono state prese nuovamente in considerazione le stagioni 2017/18 e 2018/19, alle quali si aggiungeranno quelle colpite dall’emergenza sanitaria (2019/20 e 2020/21), ma con un dettaglio importante.
In caso di disavanzo, i deficit al 30 giugno 2020 e al 30 giugno 2021 vengono sommati e successivamente divisi a metà, per alleggerire i club che possono in questo modo cercare di rientrare nei parametri in maniera più semplice.
Il Fair Play Finanziario esiste ma funziona?
I regolamenti dimostrano quindi che il Fair Play Finanziario esiste, e che la UEFA ha cercato di modularlo sulla base dell’emergenza straordinaria che si è venuta a creare.
Resta da capire, però, se l’organo di governo del calcio europeo sarà altrettanto scrupoloso nel monitorare le attività dei club, soprattutto di quelli che, come nel caso del Psg – grazie alla facilità con cui i qatarioti immettono liquidità per ricapitalizzare la società che presenta nell’ultimo bilancio una perdita netta di 175 milioni di euro – sembrano subire meno gli effetti della crisi.
Secondo il mio parere si farà ben poco al riguardo. Un po’ come avviene per la lotta alla evasione fiscale nel nostro paese: molti (la maggioranza degli italiani) la vogliono ma nessuno riesce mai a farla seriamente. Perché i pochi ricchi comandano.