Esclusiva – La ex moglie ricorda Giuliano Giuliani: “Dimenticato dal calcio”

Sport del Sud ha voluto ricordare con la sua ex moglie, Raffaella Del Rosario, la tragica storia di Giuliano Giuliani, portiere del Napoli tra il 1988 e il 1990, morto nel 1996 di Aids.

Articolo di Luca Paesano14/03/2022

Non tutti gli eroi indossano una maschera. Alcuni, capita che indossino solamente dei guanti. C’è stato un eroe silenzioso in quel Napoli di fenomeni, capace di liberare un fuoco che in città ardeva da anni. Uno di quelli che passa inosservato alle spalle dei più altisonanti Maradona, Careca o Alemao. Eppure nelle sue mani fu riposta la salvaguardia di quel sogno, poi diventato realtà. Gli annali lo ricordano come uno dei più forti della sua generazione, con l’unica sfortuna di trovarsi davanti i più appariscenti Zenga e Tacconi. Ma c’era anche lui, in silenzio, senza disturbare.

Giuliano Giuliani aveva avuto l’incarico di difendere i pali del Napoli di Diego. Quello che rispondeva all’esigenza del riscatto di un popolo e che si sarebbe cucito sul petto nel ’90, per la seconda volta, il tricolore. Poi, la cessione all’Udinese appena due anni dopo e la tragica diagnosi dell’Aids. Si ritirò nel 1993, minato nel fisico e nello spirito da quella malattia che lo divorò lentamente dall’interno. In disparte, come lo era stato anche in campo, condusse i suoi ultimi anni di vita, fino a spegnersi il 14 novembre 1996 in seguito ad una crisi polmonare. Sport del Sud ha voluto ricordarlo in occasione dell’incontro tra Verona e Napoli, due squadre di cui è stato simbolo, ripercorrendo la sua vicenda con la ex moglie Raffaella Del Rosario. Il matrimonio tra i due durò solamente tre anni, ma l’amore li tenne legati fino agli ultimi istanti di vita del portiere.

A Napoli per “colpa” di Zenga

Giuliano era una persona estremamente riservata, molto pacata. Aveva pochi amici”, ci spiega Raffaella. “Era una persona molto chiusa, preferiva stare in disparte. E poi aveva molti hobby artistici, gli piaceva disegnare i suoi stessi guanti e si era aperto un negozio di abbigliamento”. Era arrivato a Napoli dal Verona nel 1988, a sostituzione di Garella, in una stagione che avrebbe dovuto riscattare la delusione dell’anno precedente, dove un finale disastroso regalò il tricolore al Milan. Un’etichetta lo bollava come l’unico portiere della storia ad aver parato due rigori al sinistro del Pibe de Oro, che evidentemente ne fu ben lieto di ritrovarselo al suo fianco piuttosto che contro.

E tra l’altro, Napoli non era proprio in cima alla lista di desideri del portiere, che all’epoca aveva in mente ben altri programmi. “Era stato praticamente acquistato dall’Inter, poi Zenga decise all’ultimo di rimanere e lui fu dirottato alla squadra di Ferlaino. Ad esser sincera lui a Napoli non voleva andarci, perché ormai si era messo in testa di andare a Milano. Devo ammettere che ci rimase un po’ male inizialmente, ma poi si convinse a provare questa avventura”.

La vita a Napoli

Fu così che Giuliano Giuliani divenne il nuovo portiere azzurro. Una scelta, col senno di poi, di cui certamente rimase soddisfatto, perché Napoli lo accolse come un figlio e perché sul campo i riconoscimenti non tardarono ad arrivare. In due anni mise in bacheca la Coppa Uefa del 1989 e lo scudetto del 1990, oltre a guadagnarsi la gloria eterna del popolo partenopeo. Prosegue Raffaella: “Conclusa la parentesi a Verona, tornammo a Bologna per sposarci, perché all’epoca eravamo ancora fidanzati. E poi mi mandò giù a Napoli a cercare casa mentre lui continuava ad allenarsi. La presi a Posillipo. Bellissima”.

Il primo impatto con la città non fu semplicissimo. D’altronde, come potrebbe esserlo per uno che fino a pochi giorni prima sognava di passeggiare in piazza Duomo e che d’un tratto si trova perso nell’abbraccio del golfo partenopeo? Napoli è complicata, si sa, e per apprezzarla veramente bisogna saperla comprendere, studiare, vivere e farla propria. Bisogna prenderla così com’è, con i propri mille colori ma anche con i propri mille problemi. “In pochi mesi se ne innamorò, – ci racconta – fu conquistato. Giuliano non la conosceva ed era partito un po’ prevenuto. Io invece ero contentissima perché ho sempre amato il Sud. C’è un affetto e un amore incredibile”.

Ad accoglierlo ci fu anche un gruppo eccezionale, vivace, di ragazzi giovani e meno giovani che condividevano lo stesso sogno e la stessa passione. Giuliano Giuliani e Raffaella Del Rosario seppero godersi la loro parentesi napoletana. “Con la squadra si trovò bene fin da subito, legando principalmente con i più tranquilli. Si era creato un bel gruppo con cui ci si vedeva la sera in compagnia, con qualche gioco da tavola e con Corradini che suonava la chitarra. Serate serene solitamente. Poi ogni tanto si andava anche a ballare. E infatti furono ripresi più volte. Sai, c’erano i più giovani che, comprensibilmente, facevano anche molto tardi. Noi figurati, eravamo anche sposati e avevamo altri orari (ride, ndr). Poi Napoli è una città divertente, c’è modo di intrattenersi”.

La scoperta della malattia

Giuliani mise i guanti sui successi del Napoli. Un biennio indimenticabile per i tifosi e probabilmente anche per il portiere, che nel 1990 preparò nuovamente le valigie per partire per una nuova avventura. Lo aspettava la porta dell’Udinese, ancora una volta succedendo a Garella, proprio come un paio di anni prima. Fu proprio in Friuli che una notizia giunse come fulmine a ciel sereno a sconquassare le vite di Giuliano e Raffaella. “Dopo Napoli ci trasferimmo a Udine e lì cominciarono i problemi, perché iniziò a fare degli esami e si scoprì della sua positività all’HIV. Io dovetti sottopormi a delle analisi per sei mesi per escludere ogni pericolo. È stato veramente un brutto momento. Ed è stato complicato anche perché nostra figlia Gessica aveva un anno e mezzo. Eravamo preoccupati soprattutto per lei”, ammette l’ex soubrette.

Giuliano Giuliani aveva l’AIDS. Come ammesso in altre interviste, fatale fu probabilmente un tradimento, l’unico della loro relazione, che si consumò nel novembre 1989 allo sfarzoso party di nozze di Diego Armando Maradona. Una festa sregolata, come molte dell’epoca, in cui sesso, droghe e alcool la facevano da padrone. Giuliani ci cascò, troppo ingenuo com’era, e per lui fu l’inizio di un calvario. “Lui inizialmente non lo aveva detto a nessuno. Poi la notizia ha iniziato a circolare nell’ambiente quando erano già passati un po’ di anni. Nel frattempo ci eravamo anche separati. Lui si era ritirato ed era tornato a vivere a Bologna, mentre io me ne tornai a Napoli da una mia cara amica. Ero molto giovane e avevo bisogno di sostegno”, ci racconta Raffaella, che all’epoca aveva solamente 24 anni.

Gli ultimi anni in solitudine

Giuliani andò incontro ad un lento declino. Nel 1993 appese i guanti al chiodo dopo tre stagioni in Friuli e si rifugiò a Bologna. Conferme pubbliche non ce ne erano mai state, ma nell’ambiente da qualche tempo la voce della sua malattia circolava e faceva paura a tutti. “Quando son venute fuori certe cose è rimasto molto isolato. D’un tratto sono scomparsi tutti”, commenta Raffaella delusa. Un attimo di pausa e poi prosegue. “Tutto era legato alla droga e all’omosessualità. Essere avvicinato a certi temi per un calciatore era un problema grosso. Avrebbero rischiato il posto in squadra, la reputazione e quant’altro. Giuliano non c’entrava niente né in un caso né nell’altro, ma chiaramente tutti presero le distanze”.

Giuliano Giuliani è volato in cielo il 14 novembre del 1996, a soli 38 anni. Fu solo allora che dopo anni di silenzi il suo nome tornò ad occupare le pagine di cronaca. Tenuto alla larga, emarginato, ignorato, per finire dimenticato da tutti. Possibile che non ci sia stato nessuno ad aver mostrato un minimo di vicinanza? Raffaella non fa in tempo a far terminare la domanda che ha già sputato fuori la risposta. Netta, definitiva, lapidaria. “No. Nessuno”. Poi aggiunge: “Il primo che ho sentito è stato Renica, ma solo qualche anno fa. Mi chiese scusa per non essersi più fatto vivo e si mise a disposizione. A parte lui, non ho sentito più nessuno. Dell’ambiente, dei compagni, dei suoi amici…nessuno. Tutti scomparsi”.

Il silenzio del Napoli

Nessuno ha fatto nulla per ricordare Giuliano Giuliani, uno dei migliori portieri italiani dell’epoca e uno che a Napoli aveva scritto pagine di storia. Non meritava certamente di scomparire così, come se nulla fosse mai successo. Come se su questa terra, su quei campi, in questa città, non ci fosse mai stato. E questo la sua ex moglie ancora non riesce a perdonarlo. “Dopo una tragedia così Napoli avrebbe potuto ricordarlo in qualche modo, magari con una partita. Sarebbe bastato anche un semplice evento, un piccolo gesto, mentre invece non è stato mai fatto niente”, commenta delusa. “Eppure, si tratta della morte di un ragazzo giovane, di 38 anni, che è stato protagonista del secondo scudetto e della Coppa Uefa. Trovo assurdo rimanere in silenzio di fronte ad una disgrazia simile”.

E non ce l’ha certamente con la gente di Napoli, con i tifosi che a modo loro le hanno sempre mostrato affetto e vicinanza. Di gioie calcistiche non è che se ne siano vissute in abbondanza dalle parti del Vesuvio. Come ci si potrebbe dimenticare di uno dei pochi eroi in grado di portare in alto il nome di questa squadra e, ancor di più, di questa città? “I tifosi mi sono stati sempre vicini. Loro sì. Ci sono tante persone, anche sconosciuti o amici virtuali, che sono sempre presenti e a distanza di anni mi dimostrano ancora tanto affetto. Io credo che anche il popolo di Napoli sarebbe stato ben felice di ricordarlo. Purtroppo, sono venuti meno proprio a livello istituzionale”, confermandoci che la società si mostrò sorda alle richieste di un momento di ricordo.

Il calcio ha ancora i propri tabù

Il calcio tace, passa avanti e rimuove. Ha ancora i propri tabù, temi scomodi e intoccabili di cui è meglio non parlare. Anzi, bisogna censurare e reprimere. Oggi, come all’epoca. Ce lo ha confermato Raffaella con il proprio racconto. La solitudine è stato il prezzo che ha dovuto pagare Giuliano Giuliani dopo tanti anni di onorata carriera.

Ci salutiamo con una riflessione che Raffaella ci affida, quasi come uno sfogo nei confronti di un sistema che è tutt’altro che democratico ed egualitario. “Il calcio è molto maschilista ed è molto indietro rispetto alle dinamiche sociali. Non vedo alcun progresso. Si tratta di un ambiente molto chiuso e non vedo spiragli di apertura. Basti pensare ad esempio al tema dell’omosessualità. Eppure, sarebbe fondamentale che qualcosa cambiasse, che il mondo del calcio si schierasse. Il calcio è lo sport più seguito in tutto il mondo e sarebbe in grado di fornire un’educazione a tutti i giovani appassionati. È inaccettabile che non si evolva. È necessario che qualcosa cambi”.