Vi piacerebbe Simeone al Napoli?
Premessa, Simeone oggi è l'allenatore più pagato al mondo. Da solo, guadagna più di quanto percepiscono insieme i dieci allenatori più pagati della Serie A. Solo questo rende impensabile un suo arrivo a Napoli. Se volessimo esulare, però, dal piano economico, cosa sarebbe Diego Simeone per il Napoli?
Premessa, Simeone oggi è l’allenatore più pagato al mondo. Da solo, guadagna più di quanto percepiscono insieme i dieci allenatori più pagati della Serie A. Solo questo rende impensabile un suo arrivo a Napoli. Se volessimo esulare, però, dal piano economico, cosa sarebbe Diego Simeone per il Napoli?
Il Cholo, un vincente nato
Eliminato da Pep Guardiola ieri sera, ma comunque un vincente nel DNA. Lo è stato da calciatore, continua ad esserlo da allenatore. Non puoi non essere un vincente se sei cardine di una filosofia, di un pensiero, di un movimento calcistico e culturale che ha impregnato l’ultimo decennio. Così come non puoi essere che un vincente se hai spezzato l’egemonia di Barcellona e Real Madrid dopo tredici anni prima, e sette poi.
Nella stagione 2003/2004 il Valencia vince il suo sesto campionato spagnolo, nel segno del suo allenatore, Rafael Benítez, e del suo fuoriclasse, Pablo “El payito” Aimar. Da quel momento, il titolo sarà conteso o dai blancos, o dai rivali di sempre, i blaugrana. Nel primo decennio del duemila l’Atletico Madrid è poco più di una comparsa nella massima divisione spagnola. I colori Rojinblancos non permeano le zone alte della classifica, e lasciano il posto al bianco e blu del Deportivo La Coruña, il giallo del Villareal o il mix di colori che fanno da sfondo al pipistrello simbolo del Valencia.
Presidente da più di dieci anni, Enrique Cerezo decide che a Madrid bisogna iniziare a dar fastidio ai cugini nelle zone alte: esonerato Gregorio Manzano, nel 2011 arriva Diego Simeone. Il passaggio di testimone più importante della storia dei colchoneros. Sembra più una scommessa: un campionato d’apertura con l’Estudiantes nel 2006, e uno di clausura con il River Plate nel 2008. Nient’altro recita il suo palmares d’allenatore.
S’instaura una chimica mai vista prima: trascinato dai gol di Radamel Falcao, conquista l’Europa League, diventando il primo allenatore argentino a vincere la competizione. Questo sarà solo l’inizio di uno dei cicli più gloriosi che il calcio abbia conosciuto. Macina trofei anno dopo anno e, il 17 maggio 2014, in casa del Barcellona delle superstar, vince il campionato spagnolo difronte centomila catalani. All’ultima giornata. Un’impresa che sembrava quasi impronunciabile. Così come posizionarsi davanti ai team di Messi e Cristiano Ronaldo. Oltre ad una serie di successi nazionali, l’Atlético di Simeone riuscirà a godersi anche la magica sensazione di una finale di Champions, per ben due volte. Solo il fato, probabilmente, è stato ostile quelle due notti, la prima soprattutto.
Un argentino nella terra dell’argentino per eccellenza
Di dolci analogie ce ne sarebbero: un “vincente” argentino che sbarca a Napoli. Qui dove di vincenti, dopo Diego Armando Maradona, ne sono passati davvero pochi, tra calciatori e allenatori. Un altro Diego che spezzerebbe il dominio dei potenti: riportando non solo uno scudetto laddove manca da trent’anni, ma togliendolo dalle grinfie di chi, nel tempo, se ne è impadronito. Il biennio romano rappresenta, infatti, l’arco temporale più recente in cui non si sia aggiudicato il titolo un team di Torino o di Milano.
E poi, se ci volessimo staccare dal fascino di un ritorno dal gusto sudamericano, da quando patron della società, De Laurentiis ingaggia allenatori dotati di grande leadership, i quali gestiscono calciatori dotati prevalentemente di followership. Chi più leader di Diego Simeone?
Simeone-Napoli, cosa potrebbe nascere? Funzionerebbe? E, soprattutto, rinunciamo (sicuri?) al gioco pur di vincere?
Poco convenzionale e con “los huevos“, ciò che ha più volte dimostrato (e mostrato, quasi) di avere. Ciò che, a Napoli, spesso si ritiene non ci siano. Un allenatore dallo status europeo, abituato ai grandi palcoscenici e alle vittorie importanti. Una figura che non snobba l’Europa League, a differenza dell’intero movimento italiano, bensì che parte da quella per arrivare a conquistare la cima della montagna più alta. Carismatico e dalla personalità straboccante, travolgente, un leone in gabbia. Non piagnucolone ed alla costante ricerca del successo.
Uno di quegli allenatori che crea una forma mentis ai calciatori dalla quale non riusciranno più a staccarsi: un top player della panchina. Un dodicesimo uomo in campo. Quegli allenatori che i giorni antecedenti al match fanno pensare: “Domani gioco contro la squadra di Simeone“.
Napoli e i sudamericani: una grande storia d’amore. Da ‘O lione Vinicio a Maradona, da Pesaola a Canè. Emanuele Del Vecchio, Omar Sivori e Josè Altafini. Storie gloriose, da quelle del passato alle più recenti con Cavani e Lavezzi, Higuaín poi. Salvo questi ultimi tre, dal duemila ad oggi, la chimica sembra essersi affievolita. O, probabilmente, non si cerca più. L’atletismo africano sembra essere ormai favorito alla “garra charrúa” latina. Questo, poco fa piacere a Don Pablo. Il suo Atlético è forgiato da calciatori sudamericani, da quelli più talentosi a quelli più muscolosi: da Renan Lodi a De Paul, passando per Cunha e Luis Suárez.
Simeone è degno erede della scuola calcistica rioplatense, fatta di grinta e abnegazione totale, piuttosto che della scuola europea. Quella che attualmente pervade la nostra (noiosa) Serie A. Con lui in panchina potrebbe ritrovarsi una tradizione che, per quanto rinomata, si ha smesso di coltivare. Tant’è che, oggi, solo due calciatori provenienti dal Sudamericano militano nel Napoli. Tra questi, un portiere e un difensore centrale. E di profili interessanti, fidatevi, ce ne sono. Dunque, un ritrovamento di questa tradizione, sarebbe sicuramente una prima novità da aspettarsi.
Il gruppo, la fame, la cattiveria agonistica: tutto ciò che contraddistingue il suo Atlético, è stato ciò che ha permesso alla sua squadra di arrivare al successo dinanzi gli dei. Un granitico difensore come Koulibaly, la finissima classe di Fabián Ruiz, le sfrecciate di Lozano e le geometrie di Lobotka potrebbero senza dubbio essere degli ottimi ingredienti iniziali per preparare una ricetta vittoriosa.
Ai napoletani verrebbe dato pane per i loro denti. Un condottiero, un autentico trascinatore disposto a gettarsi nel fuoco per la sua squadra e la sua gente, a patto che questi facciano lo stesso per lui e le sue idee. Ed arriviamo ad un punto focale del ragionamento, le sue idee. Queste, sono compatibili con Napoli?
No, non è un catenaccio
A rendere questo davvero famoso nel mondo furono le grandi squadre italiane (dal Milan di Nereo Rocco all’Inter di HH), ma in particolare la penna di Gianni Brera, che lo santificò e lo inventò come parola, passata direttamente in italiano in tutte le lingue calcistiche. Per Brera, il catenaccio nasceva da un’inferiorità fisica degli italiani rispetto all’atletismo dei nord-europei: una buona ricetta con degli ingredienti poveri.
Il catenaccio era quindi strenua difesa della propria porta, fatta di costanti duelli individuali. Parlare di catenaccio non ha più senso forse già dalla fine degli anni ‘70, nelle innumerevoli reinterpretazioni, il catenaccio si è sempre associato a uno stile di gioco che prevede grande importanza della fase difensiva, con una difesa intensa della propria area e dalla presenza di singoli talenti in fase offensiva, in grado di risolvere le partite con giocate individuali.
Diventa difficile identificare un concetto moderno di catenaccio, ma è possibile dire che esistono squadre che pensano esclusivamente alla fase difensiva, affidandosi poi alla sorte o al talento individuale per tutto il resto. Nell’Atlético di Simeone, fase difensiva e offensiva si fondono completamente, allo stesso modo che per il Bayern di Guardiola, ma su posizioni filosofiche agli antipodi. L’Atlético di Simeone rientra nella categoria del catenaccio forse solo da un punto di vista della ricerca della disciplina massima, per tutto il resto, l’Atleti va a caccia della palla come un cinghiale delle ghiande.
I giocatori puntano alla superiorità numerica nella zona della palla, la difesa è rigorosamente a zona. Non un catenaccio, quindi, quello che andrebbe in scena al Maradona. Una filosofia volta ad attaccare difendendosi, che non rinuncia alle giocate dei singoli ma anzi le esalta. Qualcosa di speciale, mai visto prima in Italia. Perfetto per la città e la squadra nella quale si andrebbe a fondere, diventando tutt’uno.
“L’Atletico è la squadra del popolo. Il popolo normalmente prende come riferimento le persone che hanno bisogno di faticare e dare tutto per raggiungere dei risultati. Noi siamo la squadra del popolo, ed è per questo che la gente ci segue e ci rispetta”.
Se sostituissimo “Atlético” con “Napoli”, il senso della frase non muterebbe affatto. E allora, vorrei il Cholo a Napoli? La risposta è assolutamente si.