Barra a dritta, avanti tutta
Il Napoli, che divertimento, che spettacolo e che monito per il calcio catenacciaro della new philosophy ultra difensivista.
© “SPALLETTI” – FOTO MOSCA
Il fitto tic-tac dei blaugrana ha reso celebre Guardiola, mitico coach del Barcellona, al pari di mister Helenio Herrera, volpe del rettangolo verde, inventore del non prendere gol, “perché basta un gol in controfuga, per ipotecare il taglio del nastro tricolore a fine campionato”. Il calcio creativo, moderno, dello spagnolo esportato dalla Catalogna nella ‘perfida Albione’, ha vissuto di rendita e dell’interessata, iniziale curiosità britannica in cabina di regia del Manchester City, ma il tempo è tiranno e ha operato un drastico change’: il raffinato palleggio del Barça, perfetto prologo per percussioni vincenti nel pacchetto difensivo del ‘nemico’ spossato dal vano tentativo di interrompere il dai, dai e ridai dei catalani, ha conosciuto illustri imitatori (come Sarri), poi revisioni rispettose, accelerate dall’inedito tatticismo del ‘ponte levatoio alzato’ per conservare la verginità del propria rete e affidare alle lepri del contropiede di sverginare la porta avversaria, approfittando del suo pressing alto, sbilanciato in avanti.
Di qui lo sconvolgimento del classico 4-3-3, l’esasperato 5-4-1, ultra difensivista. La new philosophy ha rapidamente conquistato il favore della grande maggioranza di allenatori pagati a cottimo da finanziatori straricchi, petrolieri arabi, nababbi Usa, cinesi, che investono cifre blu in cambio di un ritorno d’immagine e pubblicitario tanto più consistente se la squadra finanziata, domenica e nei turni infrasettimanali, ma specialmente nelle sfide internazionali ricambia con la vittoria o almeno senza sconfitte. Un effetto collaterale del ‘terzo millennio’ è la noia per il ‘calcio di centrocampo’ di infiniti palleggi laterali, di retropassaggi che coinvolgono a più riprese le qualità di smistatori dei portieri chiamati in causa.
Non sorprende l’euforico delirio dello Stadio Maradona per la cinquina firmata Osimhen (doppo sigillo) Rrahmani, Kvaratskhelia, Elmas, inflitta una depressa Juventus, che ha provato vanamente a recitare il copione del ‘mi difendo e pungo in contropiede’, idea malamente ispirata alle otto partite senza incassare un gol. A scuotere Allegri e suoi nervosi juventini in campo è bastata l’intraprendenza grintosa degli azzurri, l’interpretazione rivisitata del dai, dai e ridai, velocizzata, non esasperata, aggressiva. Certo, agevolata dal genio pedatorio di Osimhen e Kvara, gemelli del gol, dalle proiezioni sulle fasce di Mario Rui (suoi gli invitanti cross), del capitano Di Lorenzo e di un centro campo intelligente (Lobotka), possente (Anguissa), creativo (Zielinski).
Permane in Spalletti la tendenza a offrire maggior vigore difensivo alla propria squadra in vantaggio, anche di un solo gol (è in parte la logica dei cambi abituali in questa direzione).
Non è una nota da segno blu sulla pagella di Spalletti e però, anche venerdì, sul due a zero, il Napoli ha smarrito la via maestra della concentrazione e ha rischiato di far rientrare in partita una Juventus evanescente.
Imparata (per fortuna rapidamente) la lezione. Il Napoli, che divertimento, che spettacolo e che monito per il calcio catenacciaro, noiosamente diffuso anche a dimensione mondiale (Qatar); che piacere per la spregiudicata freschezza del Marocco, del calcio africano ancora non contaminato completamente dal gioco asfittico del difensivismo.