Andrea Esposito, dalla serie D alla massima divisione

Dalla serie D alla grande doppietta contro la Roma: la, seppur breve e sfortunata, storia di Andrea Esposito.

Articolo di Davide Morgera16/04/2022

© “ESPOSITO, ESULTANZA DOPO IL SECONDO GOL ALLA ROMA” – ARCHIVIO PERSONALE DI DAVIDE MORGERA

Non si chiamava Ciro, nemmeno Gennaro o Salvatore. Si chiamava Andrea, l’Esposito che spezzò le reni alla Roma il 12 dicembre del 1971, in una gara che esaltò il fu “Derby del sole” e da cui i giallorossi uscirono a pezzi. Era nato a Sant’Arcangelo, nei pressi di Potenza, e lì si è spento esattamente quattro anni fa, dimenticato da tutti. Si era, però, messo in luce nel Policoro con 18 reti in 34 partite, aveva sfondato reti e colpito pali, era diventato un potenziale crack dell’epoca. I due paesi della Basilicata distano poco più di mezz’ora l’uno dall’altro ma il calcio “vero” si faceva a Policoro, con una squadra che era in serie D e dove chi era bravo poteva mettersi in luce e sperare in un ingaggio dei grandi club. È ciò che successe proprio ad Andrea, occhi azzurri, basettoni alla George Best e capelli al vento. Quando iniziò a fare “bum bum bum” nelle reti avversarie il Napoli gli mise gli occhi addosso e non lo mollò finchè non ne acquistò il cartellino. Operazioni come quella di portare un giocatore dalla Serie D al San Paolo non si sono ripetute più nella storia del Napoli, eppure nell’estate del 1971 mister Chiappella puntò molto su quel ventunenne e giovane promessa del calcio italiano. Così si pensò di acquistarlo e farlo crescere dietro a dei mostri sacri come Altafini e Sormani, titolari quasi inamovibili, e a delle discrete riserve come Macchi e Manservisi. Insomma, in rosa, Andrea Esposito era il quinto attaccante. I tifosi giustamente si chiesero “E quando gioca questo qui?“. Non furono molto lontani dalla realtà poichè l’aitante ma sfortunato bomber collezionò solo 7 presenze ma con due gol. 

Ferlaino lo acquistò al mercatino di Viareggio facendo incavolare di brutto il presidente del Policoro. Infatti, da vecchia volpe quale era il Corrado, firmò prima un’opzione per venti milioni, poi fece aspettare il collega per tre giorni in un hotel con una serie di appuntamenti a cui non si presentava mai. Quando si rifece vivo mancavano dieci minuti alla chiusura del mercatino ed offrì solo cinque milioni per il cartellino dell’attaccante. Morale della favola, Ferlaino, che prese ugualmente Esposito, fu inseguito per tutto l’albergo dal presidente Montesano che gli tirò dietro perfino una macchina da scrivere. L’attaccante, il cui papà era amalfitano, debuttò a Napoli nello sfortunato derby di Coppa Italia col Sorrento e si mise subito in luce cercando il proprio spazio dietro i titolari. Col suo piede sinistro allenava Dino Zoff, il portiere si faceva bombardare da lui perchè diceva che Andrea calciava benissimo mentre correva, colpendo di collo piede. Insomma era utile per migliorare i suoi già buoni riflessi.

Figurina Panini di Andrea Esposito – Archivio personale di Davide Morgera

Due marcature storiche con la Roma, di quelle che ti fanno passare da meteora a giocatore fatto. Purtroppo dopo quei due unici gol con la maglia azzurra Esposito non ne fece più e quindi rimase nel libro delle “meteore“. Chiappella lo fece esordire nella partita precedente a quella coi giallorossi, buttandolo nella mischia nel 2 a 6 in casa del Vicenza, dove Altafini e Manservisi ridussero di poco lo “scuorno” di fronte alla mezza dozzina di volte che Zoff dovette raccogliere il pallone nella propria porta. Andrea giocò pochi minuti, al posto di Panzanato sul 2 a 3, forse la partita si poteva ancora recuperare, tanto per fargli capire che la serie A non era la serie D. Dopo la trasferta in Veneto, Chiappella lo tiene sulle spine per tutta la settimana, lo fa allenare a dovere, lo fa calciare in porta a ripetizione anche alla fine dell’allenamento, lo martella, si veste da Helenio Herrera (che quell’anno allenava la Roma) e gli dice “Tu sei forte, domenica ti faccio giocare contro la Roma, fammi un gol“. E la domenica successiva il buon Beppone, conoscendo il pubblico napoletano, sapendo che dopo la batosta di Vicenza ci poteva essere una reazione da parte del tifo organizzato, si gioca tutte le chance contro i capitolini. “O Roma o morte“, questo il grido di battaglia di una squadra che si presentò a trazione anteriore, al cospetto del suo pubblico. Improta trequartista, Sormani, Altafini col “dieci” e Andrea Esposito in attacco. Andate e toglieteci lo schiaffo di Vicenza dalla faccia. E la tattica garibaldina pagò. Il giovanotto arrivato dalla serie D fece un partitone, di quelli che ne parli per generazioni. Doppietta più rete di Pogliana e Josè Altafini e Roma annichilita, il Napoli aveva fatto come il Vicenza la settimana precedente. La partita perfetta. La prima rete la racconta il Guerin Sportivo: “Cross di Ripari, Altafini controlla e gira a rete, il portiere respinge, Esposito arriva in corsa e segna da posizione angolata “. Il secondo: “Capolavoro di Esposito che supera con un pallonetto Cappelli, resiste alla carica di Santarini e batte De Min con un pallone tagliato”. Voto in pagella 9. Gino Bramieri, comico di fama, ci fece una battuta in televisione “L’amaro lucano di Helenio Herrera”. 

I due gol alla Roma di Esposito – Archivio personale di Davide Morgera

Il foto immagine di quella partita parla chiaro. Andrea esce dal campo stravolto insieme ad Altafini, confuso e felice, gli occhi chiari che paiono due fari e un filo di barba.

Titolo del giornale dopo la partita contro la Roma – Archivio personale di Davide Morgera

Sembra Clint Eastwood dopo una sparatoria in “Per un pugno di dollari”. La pistola ancora fumante, quella con cui aveva steso la Roma, fu riposta nel taschino con la stelletta quando l’arbitro Giunti fischiò la fine, missione compiuta. Il giorno dopo il caos mediatico. “I giornali, la tv, quando segnai i due gol alla Roma non capii più niente. Dopo è andata come è andata” disse in un’intervista postuma. 

La sera della famosa partita tornò al paesello e, scendendo dalla macchina, sentì un dolore al ginocchio sinistro. Il martedì si fece visitare a Napoli. Era menisco. Nonostante questo, sull’onda della grande gara con i giallorossi, lo buttarono nella mischia anche nella successiva partita col Torino ma un pò per le botte di Mozzini, un pò per il dolore, Andrea si intristì. Uscì dal campo e disse a Ferlaino “Io così non continuo, faccio solo brutte figure. Voglio guarire e poi vedremo“. Il menisco era a pezzi, fu operato, Chiappella ne annunciò il ritorno in campo a marzo contro la Juve. Si allenava bene, faceva gol in partitella ma sentiva che qualcosa non funzionava come doveva. Un giorno si tolse la tuta, il ginocchio era proprio gonfio. All’epoca il calcio era così. Non c’erano le tecniche di oggi e forse anche più pressapochismo e superficialità, chissà. Così in campo non ci andò e i tifosi lo rividero, ma solo in televisione, nella finale di Coppa Italia col Milan dove giocò pochi minuti. 

In estate torna a S. Arcangelo, in spiaggia lo contata il Brindisi, lo chiede Vinicio, ne vuole fare il suo attaccante principe. Arriva, però, all’ultimo minuto la Reggina che gli offre di più e sta allestendo una squadra per lottare per il vertice. Va a Reggio Calabria. Vinicio se lo lega al dito e quando diventerà allenatore del Napoli e gli propongono di riprendere Esposito, che era rimasto di proprietà del Napoli, “O’ lione” dice “No, non lo voglio“. Giocherà poi con il Siracusa e la Juve Stabia e terminerà la carriera in Eccellenza, col Villa d’Agri. Aveva 44 anni. Quel giorno la squadra vinse 3 a 0 con un gol suo e due di Alfonso Esposito, suo figlio. Lo aveva promesso alla sua carriera sfortunata. “Smetterò quando giocherò e segnerò insieme a mio figlio“. E così fu.