Tennis, che sarà, sarà
Che ne sarà del tennis? Non è facile prevedere l’evoluzione di uno sport che sembra aver toccato il massimo della potenza, della resistenza alla fatica, della concentrazione.
Tutto cambia, è quasi un dogma laico. Lo raccontano le tracce dell’evoluzione che la Terra ha consegnato a storici, archeologi, predatori dell’arca perduta, specialisti che decriptano segni e disegni rupestri, geroglifici.
La scienza che indaga le tipologie dell’aspetto umano (un noto antesignano è Lombroso), pronostica per un futuro non molto lontano la scomparsa delle capigliature fulve, rosso carota, ramate.
Gli scugnizzi napoletani del tremila non avranno più spunti per ironizzare recitando la strofetta “’o russo quanno vede ’a rossa le vene ’a tosse. L’editore di quel tempo dovrà eliminare dal catalogo il libro di Verga che ha come protagonista ’rosso malpelo’. I nostri pronipoti, uomini e donne, saranno alti come i watussi.
E il tennis? Che ne sarà del tennis se già ora, relegati nel dimenticatoio l’eleganza di tocco di Laver, la fantasia-estro armonico di McEnroe, la classe di Federer, i superman come Nadal, Djokovic, Tsitsipas, Zverev, del neo fenomeno Alcazar, più che rinviare la palla oltre la rete sparano missili, operano scatti da centometristi, contorsioni da ginnasti dinoccolati, recuperi, funambolismi come i colpi, schiena alla rete, alla palla che viaggia tra le gambe, nel campo dell’avversario.
Non è facile prevedere l’evoluzione di uno sport che sembra aver toccato il massimo della potenza, della resistenza alla fatica, della concentrazione. Come immaginarlo?
Ecco due o tre cose che piacerebbe a molti se rientrassero nella pronosticabile trasformazione del tennis: per esempio la fatica supplementare dei giocatori, che privati della ‘servitù’ dei poveri ragazzini costretti a scatti fulminei per raccogliere le palle e ritirarsi a bordo campo, se le raccolgano da soli; partite concluse in un solo set, vinto o perso (le maratone televisive sono sfibranti anche per chi assiste); conseguente abolizione dei match ‘tre su cinque’ (permangono per il singolare maschile dei Grand Slam o nel doppio maschile di Wimbledon); divieto per i genitori di assistere agli incontri dei figli, giovani’ talenti, con urla di incoraggiamento e ‘bravo, bene, bis’, a ogni, punto conquistato); interruzione delle partite se il tifo per i propri beniamini assume sonorità e invadenza da stadio di calcio.
Detto questo, che fenomeno Nole Djokovic. Reduce da disavventure comportamentali e pause di preparazione, affronta in finale l’emergente greco Tsitsipas, lo annichilisce con un primo set liquidato con un 6 a 0, si smarrisce per larga parte del secondo round, poi ricorda di essere the number one del mondo e conquista la partita al tie breck, ridiventa il re degli internazionali d’Italia.
L’intervista del vincitore è un capolavoro di diplomazia. Cattura l’endorsement del pubblico che aveva tifato per il greco, sfoggiando un buon italiano è commuove con la testimonianza di amore paterno del serbo, con un pensiero tenero al figlioletto impegnato per l’esordio di mini tennista.