Dolore, solidarietà: lacrime amare

La complessità del dolore per infortunio provata da Matteo Berrettini, costretto a ritirarsi dalle ATP Finals.

Articolo di Luciano Scateni17/11/2021

Tutto quel che si vuole, inclusa la vita priva della spensieratezza, dell’allegria gioiosa degli anni della pubertà e della gioventù, sacrificati al massacrante lavoro propedeutico dell’accesso al tennis dei vip, in parte compensata dalla raggiunta popolarità, dall’accumulo di denaro elargito a piena mani dagli sponsor e integrato da premi sempre più consistenti riconosciuti dagli organizzatori dei grandi tornei, non meno da uno stile di vita che include nei privilegi del successo sportivo lusso e like dei fan.

Il ‘caso’ Berrettini, l’esito dolorosa della vulnerabilità fisica, che lo ha costretto alla resa nella fase iniziale della sfida al numero tre del mondo il russo-tedesco Zverev, mentre il tifo amico lo spingeva a dare il massimo: è quasi impossibile immaginare cosa ha inflitto al campione italiano lo stop traumatico che ha provocato il ritiro. Che non sia nulla di simile alla rabbia di chi inciampa in un selciato sconnesso e si sloga una caviglia è facile da capire. È invece impossibile condividere la complessità del dolore per infortunio, che sia una tibia fratturata, la lesione del crociato, il crac di un ginocchio, purtroppo non raro per i calciatori, o com’è accaduto a Berrettini per il guaio provocato dai muscoli addominali.

La sofferenza fisica del momento provoca sicuramente sconforto per l’inevitabile forfeit a match iniziato appena, ma va molto oltre. Nella fase immediatamente successiva, dal serbatoio della memoria Berrettini ha certamente selezionato gli slow motion della fatica impegnata nella preparazione del torneo, la lista delle privazioni imposte dall’importanza dell’impegno, la rinuncia ai privilegi consentiti dalla sua età, ogni cosa sacrificata all’obiettivo giustamente ambizioso di giocare al massimo del suo riconosciuto potenziale e oltre, per continuare la scalata al ranking mondiale che già lo vede nel gotha dei top ten.

Nei momenti più difficili dello stop, dopo le lacrime dei primi momenti, lo ha toccato profondamente il generoso conforto, l’abbraccio accorato di Zverev, e hanno probabilmente tacitato le imprecazioni contro la iella. Ora il tennista romano in crescita interrotta di qualità tecniche e mentali deve dare fondo alle riserve di energia positiva, di ragionevole ottimismo, per smarcarsi dallo stato di prostrazione da riposo forzato e metter in conto del futuro, che si spera prossimo, il duro di rieducazione, che l’aspetta per tornare pienamente competitivo.

Restano gli strascichi della propria immagine, del copro disteso sul parquet del palasport piemontese, ma le lacrime di Jannik Sinner, a conclusione dell’incontro vinto con il polacco Hurkacz, in sostituzione del compagno e amico infortunato, le parole pronunciate con comprensibile difficoltà emotiva per dedicargli il successo appena conquistato, non hanno il potere di cancellare la sfortuna che ha bussato alla porta del tennista romano, ma fanno sicuramente bene al suo morale.

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