Intervista a Daniele Pagani: quando il fùtbol non è solo retorica
Intervista a Daniele "el Flaco" Pagani, per parlare in maniera disincantata di un angolo di mondo spesso travisato per banale stereotipo.
© FOTO D’ARCHIVIO DI DANIELE PAGANI
A cinque anni dal principiare del nuovo millennio, Eduardo Galeano, una delle personalità più autorevoli e stimate della letteratura latinoamericana, pubblica il suo nuovo libro “Splendori e miserie del gioco del calcio”. In un passaggio cruciale del suo capolavoro, dribblando qualsiasi forma di retorica, Galeano cerca di rispondere alla domanda “cosa rappresenta il calcio per i sudamericani?”, sostenendo che “ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste nemmeno uno senza un campo da calcio“. Proprio – e solo – in questo caso credo che parlare solamente della terra di “Ordem et Progresso” sia una menzione a puro titolo d’esempio. Di certo, in Uruguay e Argentina, come in Colombia e Venezuela, la tendenza alla passionalità sfrenata per il Gioco non cambia. Al contrario, resta saldamente radicata nel terreno molliccio dei potreros. Il rapido innamoramento per il fútbol – o futebol, giusto per rimarcare l’accezione brasiliana – ha dribblato le Sheffield Rules con un barrilete cósmico degno di quello sciorinato da Diego agli inglesi, in quel caldo pomeriggio del 1986 allo stadio Azteca: ha dato vita a una rivoluzione, a “La Nuestra”, un modo diverso di intendere il gioco che presto diventerà il punto cardinale di una rivendicazione nazionale mirata a porre le solide basi dell’edificio del calcio moderno; la commistione di eleganza e rapidità contro la dura filosofia britannica del “Long ball”.
Ai giorni nostri, eccetto qualche sporadica attenzione puramente mainstream concessa ai Superclásicos tra Boca e River, il fùtbol sudamericano – le sue squadre, i suoi record, la sua importanza nella dimensione sociale e politica – è stato declassato al ruolo di banale multiverso fiabesco. Come detto da Daniele “el Flaco” Pagani – autore e opinionista esperto di calcio sudamericano, oggi nostro ospite per la rubrica “Sport del Sud del mondo” – «l’utilizzo smodato della retorica nella narrazione del calcio sudamericano è l’unico strumento a disposizione di coloro che del calcio sudamericano non riescono a comprendere le reali dinamiche: sociali, politiche, economiche, del gioco in sé. Si tratta di un’abitudine consolidata e cancrenosa, nella quale l’informazione vera, costruttiva e arricchente viene sovrastata dalla produzione di storie monotematiche che sembrano prodotte in serie sulla catena di montaggio. Per una manciata di consensi in più sui social e una collettiva masturbazione intellettuale – se intellettuale possiamo definirla – che si nutre di poca logica e fin troppo sensazionalismo».
Quest’oggi, insieme a Daniele, allora, punteremo il mirino sui giocatori sudamericani che in un modo o nell’altro stanno lasciando e hanno lasciato il segno nel calcio del Sud: la porzione geografica del nostro paese più simile, per molti aspetti, al subcontinente latino.
Bentrovato Daniele, grazie di essere qui. Per cominciare vorrei domandarti, anche per una mia curiosità personale, com’è nata la tua passione per il calcio sudamericano?
Arduo a dirsi. Ma è come se ci sia stata da sempre una sorta di connessione istintiva, viscerale. Quando giocavo a FIFA da bambino ero totalmente ammaliato dalla figura statuaria di Martín Palermo, ragione per la quale ho sempre nutrito simpatia per il Boca, nonostante il mio idolo d’infanzia sia stato senza alcun termine di paragone all’altezza Pablo Aimar. Poi, considerando la mia educazione interista fin dall’infanzia era impossibile non restare ammaliati dal plotone di sudamericani passati dalla San Siro nerazzurra: Zanetti e Cambiasso, Cruz e Crespo, Samuel e Verón, Júlio César e Maicon, Recoba e Adriano. Ci vorrebbe una giornata intera per riuscire a elencarli tutti (ride, ndr).
Partiamo dal Napoli: attualmente i partenopei vantano la miglior difesa d’Europa, una parte di questo traguardo va attribuita al rendimento di David Ospina. Commetteremmo un errore di ponderazione, o di eccessiva infatuazione, a definire il colombiano il miglior portiere in attività del contesto sudamericano?
Probabilmente c’è Emiliano Martínez che avrebbe qualcosa da ridire (ride ancora, ndr) dopo l’ultima Copa América. Ad ogni modo, Ospina rimane comunque un ottimo portiere. Penso sia un dato di fatto. Non credo sia eccessiva infatuazione, ma con lo step compiuto da Musso trasferendosi dall’Udinese all’Atalanta e con il duo brasiliano Ederson–Allison, nonostante qualche ostacolo di percorso di quest’ultimo, penso che sia una lotta piuttosto intensa quella per aggiudicarsi la palma di miglior portiere del continente sudamericano. A mio avviso, per dire, Allison doveva vincere il Pallone d’Oro, dopo la Champions League e la Copa América vinte con il Liverpool e il Brasile.
Consideri Juan Jesus un colpo valido per quelli che oggi sono gli obiettivi ai quali aspira questo Napoli?
Considerando l’attuale classifica mi verrebbe spontaneo dire che servirebbe qualcosa di più di Juan Jesus. Al netto dei problemi fisici che stanno tormentando Manolas e della futura assenza di Koulibaly in vista della Coppa d’Africa, sarebbe il caso di implementare un ulteriore innesto nel pacchetto difensivo a disposizione di Spalletti.
Se nel mese di gennaio dovesse arrivare un altro colpo in quel reparto, magari un altro sudamericano, magari un giovane talento, su chi punteresti le tue fiches?
Sto seguendo con grande interesse il percorso di crescita di Óscar Haret Ortega del Toluca: sta facendo intravedere grandi potenzialità e enormi margini di miglioramento in questo Torneo di Apertura della Liga MX (Messico, ndr). Invece, quest’estate, anche alla luce delle prestazioni convincenti sfoderate in Copa América con l’Ecuador, avrei sborsato un bell’assegno per Piero Hincapié. Peccato che se lo sia assicurato il Bayer Leverkusen, risaputamente bottega cara in sede di trattativa.
Capitolo Lozano. Come da canovaccio, permane un alone di stereotipo sulla mancanza di continuità dei fantasisti latini. A quale fattore sostieni sia dovuto questo rendimento altalenante del messicano? Inoltre, considerando la probabile assenza di Osimhen per via della Coppa d’Africa e lo status di forma non ottimale di Mertens, pensi che Hirving possa sostenere il peso del reparto offensivo di Spalletti come centravanti puro, in vista di gennaio?
Da calciatori del calibro di Lozano ci si aspetta sempre qualcosa in più in termini di incisività. Da un lato penso sia anche giusto, considerando puramente le potenzialità e il campionario di magie che fanno parte del suo repertorio. Immancabilmente, da un alto coefficiente di talento derivano maggiori aspettative, non importa quanto inflazionate, e una minore predisposizione da parte di chi osserva a fornire attenuanti in caso di prestazioni non considerate all’altezza: è questo l’assiomatico risvolto negativo della medaglia. A luglio ha subito un grave infortunio al collo e alla testa, mentre era impegnato con il Messico contro Trinidad e Tobago. E dire grave è un eufemismo.
Il Napoli ha un attacco ben munito, per guadagnarsi un posto da titolare fisso la lotta è serrata e il tasso di concorrenza è a livelli altissimi. In assenza di Osimhen, penso che Spalletti cercherà di arrangiarsi con le risorse che ha a disposizione. Le soluzioni, da Lozano a Mertens senza dimenticarsi di Petagna, non gli mancano di sicuro. Il campionato è fatto anche di momenti ed episodi. Dipende tutto da come la squadra affronta i suddetti momenti. Qualora ritrovasse uno stato di forma ottimale, rimango fermamente convinto che Lozano potrà essere ancora una pedina importante per i partenopei.
Passiamo alla Salernitana. Nella scorsa sessione di mercato diversi talenti sudamericani sono stati accostati ai granata: Pablo Galdames, Emiliano Martínez (da non confondere con il portiere argentino), Santiago Ramírez… Giusto per citarne alcuni. Che tipo di calciatori sono? Con la loro garra sarebbero potuti essere utili alla causa della squadra in questo momento complicato? Raccontaci qualcosa sul loro conto…
La forbice del divario tecnico tra Serie A e Serie B è oramai aumentata a dismisura e per ottenere una salvezza in piena tranquillità non basta semplicemente qualche giocatore di categoria alla Bonazzoli. E se è per questo, nemmeno un coup de théâtre come Franck Ribéry, per quanto sia stato un evento meraviglioso. È necessario progettare con grande meticolosità, con costanza e totale dedizione. Tra i tre nomi che hai enunciato, sicuramente Emiliano Martínez è quello che mi piace maggiormente: è un centrocampista molto duttile, intelligente e rapido nel pensiero. Santiago Ramírez è un gioiellino, ma non penso sia ancora pronto per un eventuale salto verso l’Europa. Ha ancora molto da dimostrare per raggiungere una prima consacrazione in patria e le tempistiche non mi sembrano ancora mature per poter parlare di exploit.
Indubbiamente si sta facendo notare in questo Torneo di Clausura con il Nacional. Ligüera sembra nutrire molta stima nei suoi mezzi. Su Galdames sono abbastanza curioso. Arriva da una famiglia che vive di calcio: suo padre Pablo era un difensore piuttosto tignoso, ha fatto parte della Selección cilena di Salas e Zamorano, ha giocato parecchi anni in Argentina e molti da quelle parti lo ricordano per una rissa sfiorata con Ariel Ortega a margine di una partita tra il suo Quilmes e il Newell’s.
Invece, i due fratelli minori, Thomas e Benjamín (1997 e 2001, ndr), giocano fianco a fianco in patria nell’Unión Española. Tornando a discorsi più concreti e meno aneddotici, comunque, il Genoa ha preso Pablo a parametro zero: il ché è un bene, anche se il fatto di restare svincolato dal Vélez a ventiquattro anni potrebbe inevitabilmente far storcere il naso ai più prevenuti. Al netto di appena quattro presenze in rossoblù, ora spetta aŠevčenko il compito di guidarlo e di ritagliargli una dimensione in cui poter maturare con la giusta tranquillità.
Un nome di grande spessore presente in Serie B è Gianluca Lapadula, autore sin qui di un ottimo campionato con il Benevento: come giudichi nel complesso le sue prestazioni in Copa América con il Perù?
In Copa América con la blanquirroja ha fatto le fiamme. È riuscito concretamente ad essere un valore aggiunto, l’uomo in più di Ricardo Gareca. In questo inizio di campionato col Benevento sta riuscendo a dare una soluzione di continuità a quanto di buono ha fatto vedere in estate su un palcoscenico di prestigio. La cosa non mi sorprende, comunque: in cadetteria Gianluca è un calciatore che potrebbe tranquillamente far la differenza in qualsiasi squadra impegnata nella lotta per la promozione in Serie A.
Ti dico una sola parola: meteora. Pensando ai talenti sudamericani passati dal Napoli, oramai desaparecidos, dimenticati, qual è il primo nome che ti viene in mente?
La nostalgia non è mai stata e molto probabilmente non sarà mai un sentimento remunerativo nel mondo del calcio. Comunque, se devo spendere un nome in particolare dico Edu Vargas: la sua rapidità di gamba, il suo funambolismo e il suo killer istinct erano almeno all’apparenza il cloridrato di un futuro fuoriclasse. L’hype generato dal suo approdo al Napoli, uscito vincitore da una bagarre di mercato estenuante con l’Inter, non era inferiore per certi versi a quello che la platea nerazzurra ha riservato a Lautaro Martínez quando arrivò dal Racing Avellaneda tre anni fa. Ricordo che De Laurentiis ne rese noto l’acquisto nove giorni dopo la doppia finale di Copa Sudamericana (23 dicembre 2011, ndr) tra la Universidad de Chile e la LDU, nella quale asfaltò praticamente da solo gli ecuadoriani con una rete decisiva all’andata e una doppietta al ritorno.
Peraltro, in quella edizione, segnò undici gol: è un record ancora oggi imbattuto. Solo Agustín Álvarez è riuscito a impensierirlo realizzandone uno in meno quest’anno, prima che il Peñarol venisse eliminato in semifinale dall’Athletico Paranaense. Di lui, probabilmente, resta solo il ricordo sbiadito di quella fulminante tripletta contro l’AIK in Europa League in azzurro. Per il resto tutta cenere bagnata: oggi gioca nell’Atlético Mineiro e fa comunque la sua parte a prescindere dalla presenza di Hulk e Diego Costa. Ha sfiorato una finale di Copa Libertadores uscendo contro un Palmeiras molto più quadrato e molto più europeizzato in termini di gioco e di approccio alla partita. A posteriori la sua dimensione forse è sempre stata questa anche al netto di alcune ottime apparizioni con la Selección cilena. Una “felice” Spoon River.
La piazza partenopea si è rivelata molto spesso un habitat ideale per numerosi calciatori provenienti da quell’angolo di mondo: da fuoriclasse del calibro di Maradona e Sívori, fino ai recenti splendori di Lavezzi, Cavani e Gonzalo Higuaín. In particolar modo, il confronto tra questi ultimi due nomi crea sempre discussioni tra i tifosi azzurri più affezionati. Tra i due, chi ti piace di più?
Trattandosi di un confronto tra due fuoriclasse assoluti, la risposta implica un altissimo grado di conclusività secca e risoluta: dico Cavani perché come attaccante ha sempre suscitato in me un senso di maggiore trasporto, alle volte di onnipotenza assoluta. Questo non toglie di sicuro meriti a Higuaín, che ha fatto cose paranormali nel calcio italiano. In tal senso, l’exploit che sta vivendo Julián Álvarez in questo campionato di Primera División argentina con il River Plate è molto simile in termini evocativi a quello di Gonzalo prima che approdasse al Real Madrid nel duemilasette. Intravedo alcune similitudini di percorso, tuttavia si tratta di due attaccanti con caratteristiche totalmente diverse.
Invece al di là del Río de la Plata, sulla sponda uruguaiana, intravedi un degno erede di Cavani?
Andandoci sempre coi piedi di piombo (ride, ndr), visto e considerato che il gioco dei paragoni è spesso pericoloso, direi Darwin Núñez del Benfica. Il ragazzo si sta facendo in Portogallo. Ha buone qualità tecniche unite a un dinamismo atletico indubbiamente esaltante. Con le dovute proporzioni può ricordare il primo Cavani, l’embrione del fuoriclasse che abbiamo imparato a conoscere al Palermo ancor prima che a Napoli.
Va comunque detto che l’impatto di Núñez in Champions League, con la doppietta rifilata al Barcellona e il gol al Bayern, non è roba da uno qualunque. In Uruguay sta crescendo molto rapidamente un’ottima generazione di attaccanti. Agustín Álvarez del Peñarol e Matías Arezo del River Plate de Montevideo sono senza dubbio i due profili più gettonati, ma ce ne sarebbero parecchi di nomi su cui spendere due paroline…