Napoli: tutti malati di nikefobia

È un dato oggettivo: i calciatori del Napoli, soprattutto quelli del nucleo storico, soffrono di nikefobia (si pronuncia nichefobia).

Napoli
Articolo di Vincenzo Imperatore19/04/2022

© “NAPOLI” – FOTO MOSCA

È un dato oggettivo: i calciatori del Napoli, soprattutto quelli del nucleo storico, soffrono di nikefobia (si pronuncia nichefobia).

Ai malati cronici (Koulibaly, Mertens, Insigne, ecc) si è aggiunto un fantastico allenatore nichefobico.

La nikefobia è la paura di vincere.

Nel gergo tennistico si chiama “braccino”, quella sensazione che assale il giocatore non ancora affermato, di avere il braccio molle nel momento in cui deve piazzare il colpo vincente di fronte al campione su cui sta prevalendo.

È ovvio che si tratti di una fobia che non riguarda solo gli sportivi ma anche i manager e gli imprenditori, gli studenti e comunque qualsiasi persona si ponga un obiettivo ambizioso da raggiungere o stia affrontando una sfida.

Anche le persone che hanno un appuntamento importante possono provare questa paura. Per vittoria si intende in senso lato, infatti, il raggiungimento di un obiettivo.

Per quanto riguarda specificatamente lo sport, la nikefobia è un fenomeno per cui un atleta (di qualsiasi ambiente e livello sportivo), seppur dotato di grandi potenzialità, non raggiunge mai livelli elevati di prestazione sportiva a causa di propri comportamenti specifici che assumono le sembianze di un vero e proprio “auto-sabotaggio”. Studi specifici al riguardo hanno individuato una percentuale che va dal 20 al 30% il numero di atleti che, in maniera più o meno evidente, ne soffre.

Il Napoli da circa dieci anni ha dimostrato di andarli a cercare con il lanternino.

Esistono alcuni indicatori che evidenziano i comportamenti di un atleta che ha paura di vincere, ad esempio: rendere di più in allenamento che in gara, mancare regolarmente gli appuntamenti sportivi più importanti, fallire ad un passo dal successo ormai sicuro e/o essere l’eterno secondo.

Ma può un atleta, visto che lo sport è agonismo, avere paura di vincere? Quali sono le cause che fanno scattare questo blocco mentale?

Gli psicologi hanno identificato tre macro-fonti di alimentazione della nikefobia.

Innanzitutto sottesa alla paura della vittoria c’è spesso la convinzione che il successo richieda delle abilità che si ritiene di non possedere. Se un atleta è considerato forte e talentuoso, ma lui non si percepisce tale, può scattare la paura di non essere all’altezza delle aspettative delle figure di riferimento (compagni, allenatore, familiari) o del pubblico, innescando il meccanismo di rinvio dell’attesa vittoria e procrastinando all’infinito l’espressione del proprio valore.

Non penso che si tratti della fattispecie che interessi il Napoli perchè, come già ripetuto su queste colonne, la società, negli ultimi dieci anni, ha messo a disposizione della banda dei “fantastici perdenti” diversi stili di leadership (calma, aggressiva, rassicurante, velenosa, volgare, saggia) per convincerli, invano, di essere dei campioni.

In secondo luogo, la nikefobia può colpire l’atleta a seguito di un suo successo inaspettato e repentino, che lo “strappa” dalle proprie abitudini, dal proprio ambiente, dal proprio ruolo nel mondo, e da tutto ciò che per lui prima era rassicurante, familiare e prevedibile: in questa situazione l’atleta può attuare comportamenti tali da permettergli di tornare alla situazione precedente, rifiutando i benefici della vittoria.

E qui siamo certi che non possa essere la motivazione principale che blocchi i calciatori del Napoli visto che ormai da dieci anni lottano per il vertice, vincono qualche trofeo e, caso unico e raro, sono l’unico gruppo che per ben due volte, pur avendo traguardato l’effimero risultato di campione d’inverno (alla fine del girone di andata), non è poi riuscito a vincere il campionato. Quindi sono abituati a stare lassù, solo che quando vedono il cartello “ultimo chilometro forano.

Infine l’atleta può temere che conseguire importanti vittorie lo sottoponga a una nuova e inaccettabile responsabilità come quella di dover mantenere il livello che si conseguirebbe qualora si vincesse una certa competizione. La paura di non riuscire a mantenere uno standard di prestazioni alto, la paura di deludere le nuove aspettative che si creerebbero, il timore di affrontare avversari sempre più forti, sono tutti fattori che possono portare al blocco delle prestazioni agonistiche.

In questo caso l’atleta si porta dietro un’immagine di sé adolescenziale, piena di ideali e magari di tante qualità, ma senza esserne consapevole e capace di legittimarle.

Siamo di fronte a degli eterni “bamboccioni” perché vincere, affermarsi, significa diventare adulti e porta con sé la responsabilità di confermarsi poi a quel livello. La “paura di vincere” esprime dunque il rifiuto inconscio, per insicurezza e per timore del giudizio, di una dimensione più matura di sé.

In questo caso “l’ambiente”, inteso come contesto nel quale vivono ed operano i calciatori, così come ripeteva Ottavio Bianchi, può influire ma non essere determinante.

La responsabilità, in questo caso, è di chi (chi?) gestisce la selezione del personale nella squadra del Napoli in occasione delle campagne acquisti-cessioni, che sembra non avere le competenze o gli strumenti per fare una valutazione complessiva del potenziale psicologico dei calciatori.

Alla banda dei “fantastici perdenti” si è aggiunto un fantastico allenatore perdente! Un virus che si cura solo in un modo.

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