“L’avevamo detto”. Amara conferma
Finita la mistificazione di Luciano Spalletti, ora anche la stampa abbandona l'elogio per accodarsi ai fischi dello stadio, riconoscendone gli errori.
© “SPALLETTI” – FOTO MOSCA
Non è stato facile sopravvivere ad accuse dirette e laterali del tipo “Non capisci niente di calcio” o peggio “Ma che napoletano sei, per caso tifi per la Juve, per le milanesi, per la Roma?”, o le più raffinate “Il tuo disfattismo molto somiglia ad anticonformismo snobista”. Per ammortizzarle ha provveduto lui, “il migliore allenatore che il Napoli ha corteggiato e contrattualizzato con la benedizione di De Laurentiis e l’esecuzione corale di sperticate litanie dei media che dalla salute calcistica del Napoli ricavano forti incentivi alla fedeltà dei loro utenti” così presentato per alimentare l’illusione di rinnovare i fasti maradoniani.
Non ha fatto una piega l’incoronazione del Luciano livornese a direttore d’orchestra da Carnegie Hall, benché la sua lettura dello spartito non producesse musica di qualità. Il Napoli, tra alti e bassi del torneo d’élite di più infino livello degli ultimi dieci anni ha mascherato limiti di gioco, personalità zero, assenza di assetto tattico variabile in ordine alle diversità delle avversarie, bassa tensione dello standard atletico, sospetta frequenza di infortuni muscolari e grinta repressa, con sporadici exploit individuali di questo o quello. Incomprensibili l’accantonamento panchinaro di Dries Mertens, storico uomo partita, l’altalena irragionevole di fiducia e sfiducia in Lozano, Politano, l’appannamento di Zielinski, lo smarrimento di Fabian, il tempo infinito per capire le qualità di Lobotka, per non poco tempo meno apprezzato di Demme, le strane incertezze del monumentale Koulibaly, la brutta copia di Insigne, sballottolato in posizioni anomale.
Clou delle note stonate per difetto di direzione musicale i cambi, risorsa preziosa concessa agli allenatori per saltare su un altro binario con il treno in corsa e raddrizzare risultati insoddisfacenti. Nessuno ha spiegato a Spalletti le difficoltà di spedire in campo, quasi in zona Cesarini, i “panchinari” senza dar loro un tempo minimo di ambientamento e neppure lo sconcerto di chi deve lasciare il campo sapendo che la scelta dipende dal tilt di intelligenza tattica dell’allenatore. La svogliatezza seriale della squadra ha rivelato l’assenza di feeling con l’allenatore? Forse. La sintesi di questa analisi, sicuramente severa, sottolinea il tardivo risveglio primaverile di quanti raccontano le “cose” del Napoli.
Solo ora, esaurita dai fatti la sbronza onirica che ha mistificato la realtà e prodotto spot pubblicitari quotidiani del tipo “Spallé, nisciuno è meglio ’e te”, il giornalismo sportivo abbandona l’elogio della follia calcistica del successore di Gattuso, ma soprattutto di Sarri e si dispone in parallelo con i fischi dello stadio al termine di Napoli-Milan e ieri sera di Napoli-Roma e infine, con l’amaro in bocca di chi per fede incollabile e campanilismo illimitato, pronuncia a fatica il mitico “Forza Napoli sempre”, ma ora sa di meritare che il futuro agonistico degli azzurri godrà in regia (società-allenatore) di “bacchette” di direttori all’altezza e narratori svincolati da soggezione opportunista.