Panzanato e Boninsegna, duello da uomini veri
La “tentata decapitazione di Boninsegna" da parte di Dino Panzanato resta una delle immagini più iconiche di un calcio duro e selvaggio.
©️ FOTO ARCHIVIO PERSONALE – DAVIDE MORGERA
Il fatto
Ci sono immagini che restano impresse nella memoria collettiva e non le togli più dalla mente e dagli occhi. Una di queste è quella passata alla storia del calcio italiano come la “tentata decapitazione di Boninsegna” da parte di Dino Panzanato, allora atletico, arcigno e focoso difensore del Napoli. Se la rovesciata di Parola negli anni ’50 diventò l’icona delle future Figurine Panini, l’immagine del difensore azzurro che sembra staccare la testa di un altro combattente come Boninsegna resta tra quelle che si giocano il secondo posto in questa ipotetica classifica delle foto iconiche di una certa epoca.
Cinquanta anni sono trascorsi da quell’Inter-Napoli e due anni dalla morte di questo gigante buono che ancora oggi è ricordato come uno dei migliori stopper (oggi si dice “difensore centrale”) nella storia della società azzurra. Ma cosa accadde veramente quel 21 marzo del 1971 a Milano, con un Napoli che minacciava di prendersi per la prima volta uno storico scudetto? La vigilia fu già molto calda e il duello rusticano tra i due giocatori fu presentato come uno dei leitmotiv di quella partita. Se Panzanato avesse fermato Boninsegna, il centravanti della Nazionale e partner in attacco di un certo Gigi Riva, il Napoli avrebbe avuto ottime chance di lasciare imbattuto San Siro. Questi i pronostici dei soloni dell’epoca.
Panzanato e Boninsegna, uno in difesa ed uno all’attacco, sono stati l’emblema di un certo calcio maschio, virile e vero. Combattenti nati, la forza ed il coraggio, l’atletismo e la fisicità, la tecnica e l’astuzia, sono tutte concentrate proprio in quella foto storica, quella che ritrae il centravanti nerazzurro colpire di testa e Panzanato che allunga la gamba cercando di deviarne la traiettoria.
E’ il famoso Inter-Napoli di cui sopra. La cena delle beffe, scherzi e burle del destino. Gli azzurri vincevano meritatamente alla fine del primo tempo con gol di Altafini. Nell’intervallo, una “delegazione” di interisti, capitanati da Mazzola, va negli spogliatoi dell’arbitro Gonella. Parlano, intimano qualcosa, i giornalisti in tribuna, primo fra tutti Peppino Pacileo, senza sapere di questa “incursione”, profetizzano: “Alla prima azione in area del Napoli l’arbitro darà un rigore“: E così fu. Gonella si inventò un penalty che non aveva visto nemmeno il più accanito tifoso dell’Inter. Batte Boninsegna e fa pareggio. Poi ancora lui, il nano (come lo chiamava Brera) che saltava più in alto di tutti, segna di testa e Zoff fa una mezza papera.
Due a uno per l’Inter. È qui, nel raddoppio interista, che Panzanato tentò di contrastare in tutti i modi l’avversario ma non lo toccò sebbene le foto della partita sembrano mostrare tutt’altro. La verità è che Boninsegna segnò un gol impossibile, si buttò di testa nonostante Panzanato entrasse a gamba alta, anticipandolo di un soffio. Lì il Napoli perse davvero l’occasione del suo primo scudetto.
L’ANTEFATTO
Col “senno di poi”, Panzanato e Boninsegna si sarebbero giocati una strana leadership sul filo di lana, quella del giocatore italiano con più giornate di squalifica. Alla fine fu perfetta parità, nove per parte, nessun vincitore, nessun vinto. Dino Panzanato da Venezia e Roberto Boninsegna da Mantova sono i due italiani che comandano ancora una classifica strana e particolare, quella delle squalifiche ricevute dopo comportamenti scorretti in campo. Una graduatoria che non viene aggiornata da 50 anni perché nessuno è riuscito ad “emularli”.
Sono loro che, con la loro condotta, restano i primatisti assoluti di un record e difficilmente saranno scalzati. Primato eterno, primato eterno mio, come farebbe il calcio d’oggi a rinverdire i “fasti and furious” degli anni ’60 e ’70? Anni in cui i giocatori erano selvaggi e sentimentali, si picchiavano in tutte le zone del campo, si dicevano paroline cari e dolci ( ? ) nelle orecchie e non stavano a guardare il fallo in più o la spinta poco fuori dell’area.
Accorgimenti che oggi si fanno ancora ma, in virtù della presenza di televisioni e telecamere ovunque, squadra di arbitri e V.A.R. compreso, in misura molto minore. Vuoi mettere quando non c’erano decine di occhi a guardare e a riprendere? Brutti, sporchi e cattivi, sembra un film di Sergio Leone. Sì, erano così, quei giocatori e ci mettevano l’anima, sbroccavano, bestemmiavano nel loro dialetto, talvolta andavano fuori di testa come se giocassero nelle serie minori. Invece erano atleti del massimo campionato italiano.
Dino Panzanato, detto “Titta” per la balbuzie che lo contraddistingueva e che lo faceva apparire come un timido giocatore quando parlava coi compagni ed in pubblico. In realtà era un leone in campo, uno che martellava forte il centravanti avversario, uno che si trasformava come un personaggio dei fumetti. Stagione 1968-69, 1 dicembre, fuori monta la bufera, gli studenti sono in rivolta, la società sta cambiando. Il pallone racconta che sarà l’ultima di Sivori da giocatore in Italia. È Napoli- Juventus al San Paolo e El Cabezon viene continuamente insultato e provocato dai suoi ex compagni bianconeri. Ad un certo punto si scatena una maxi rissa e Panzanato, a cui i “marron glaces” erano girati parecchio per il comportamento dei bianconeri in campo, si butta dentro a capofitto e inizia a colpire l’avversario Favalli che sta simulando a terra da almeno un paio di minuti.
Quando gli avversari stanno provando ad alzare le mani lui ha già sferrato i primi colpi. Cazzotti in campo ma non finisce qui. “Titta” aspetta Sandro Salvadore, il libero della Juve, sulla scaletta che porta agli spogliatoi e gli molla un altro cazzotto in pieno viso. Un uragano, ecco cosa fu Dino Panzanato in quella partita. Risultato? 9 giornate di squalifica. La cosa curiosa è che il difensore veneto non era nuovo a queste cose. Si racconta che una volta, durante un Vicenza- Padova, lui giocava coi biancorossi “mangiagatti”, Crippa gli mette le mani in faccia. Lui reagisce, lo morde e l’avversario deve andare all’ospedale di Vicenza per farsi medicare la mano sanguinante.
Un’altra volta, col Napoli, durante un’amichevole in Germania, fu espulso e uscendo dal campo prese a calci un cavallo della polizia tedesca. Eppure Dino non era un selvaggio ma, se perdeva le staffe, era un animale feroce. Tutti i suoi compagni hanno raccontato che, come la coperta di Linus, lui viaggiava con un cuscino personale senza il quale non riusciva a dormire. Si sentiva al sicuro solo col ‘suo’ guanciale, lì, nel buio della notte. Perché, fatto giorno, ci pensava lui a rendere dura la vita agli avversari.
Roberto Boninsegna, detto “Bonimba” perchè sotto porta era esplosivo e preciso, uno che in carriera ha segnato 280 gol, ha fatto due Mondiali, vinto tre campionati, capocannoniere con 24 reti in un torneo a 16 squadre, è stato un’icona dell’Inter ma la maxi squalifica la beccò quando era ancora nel Cagliari, due anni prima che passasse al Biscione nerazzurro. Era il 31 dicembre del 1967 ed i rossoblù sardi, la squadra dove giocava all’epoca in coppia con Riva, andarono a giocare a Varese. Un difensore deviò di pugno un suo colpo di testa ma l’arbitro Bernardis assegnò un semplice calcio d’angolo. Allora a Boninsegna caddero tutti i freni inibitori e iniziò a dirne di tutti i colori alla giacchetta nera, spintonandolo a più riprese. Insultò, dunque, pesantemente prima il direttore di gara e poi il guardalinee e fu logicamente espulso. Risultato? 11 giornate di squalifica, poi ridotte a 9.
LA CONCLUSIONE
Oggi Dino Panzanato non c’è più ma, fino a poco prima della morte, quando gli ricordavano Napoli iniziava a lacrimare come una Madonnina. Alla città sul Golfo era legato da bellissimi ricordi, in primis il matrimonio. Si sposò nella chiesa di Santo Antonio a Posillipo e nella nostra città ha avuto i due gemelli, Elena e Cristiano, che gli hanno impegnato la vita coi nipoti a cui tanto era attaccato. Nonno Dino oggi dorme sonni tranquilli e chissà se ogni tanto sogna di dire a Boninsegna: “Ti aspetto qui, tra 100 anni, per la rivincita. Però non ti faccio fare gol!” .