Un calcio al Mondiale

Il mondiale ha lasciato molti segni, molti punti da discutere per uno nuovo e, speriamo, meno “parlato”.

Articolo di Innocenzo Calzone19/12/2022

©️ “MONDIALE” – FOTO MOSCA

Spesso, durante lo svolgimento del Mondiale in Qatar ci siamo ritrovati con un dubbio che ci pervadeva: ma stiamo assistendo a partite di calci al pallone oppure a una gara fatta di calci sulle gengive di qualcuno (espressione poco felice ma che rende l’idea per quanto denaro… è sceso in campo).

Tantissimi hanno guardato il mondiale distaccandosi dal manto erboso e facendone una questione sociale o antropologica. Ma è stata una gara fra squadre o fra razze? I francesi tutti ‘neri’ e l’Argentina o il Giappone, la Corea tutti dei colori di pelle delle proprie origini. Se ne trae qualcosa? Imperialismo? Comunismo? Difesa dei propri confini, ampliamento dei propri spazi? Allo stesso modo, con sguardi diversi si è ragionato anche da un punto di vista religioso. Ma è stata una lotta tra religioni o tra colori sociali. Tifare Marocco no perché sono musulmani, gli argentini sì perché sono cattolici; e poi il papa è argentino. I giapponesi si perché sono ambientalisti, puliscono gli spalti, gli spogliatoi; questo va bene. Tifare i tedeschi anche se antipatici perché hanno messo la mano davanti la bocca per difendere i diritti civili. Questo va bene. E allora è stata un mondiale vinto sul campo giocando a pallone o per vittoria in campo s’intendeva saper comunicare meglio le proprie idee?

E così fino alla fine quando si è discusso se era più scandaloso un gesto poco garbato del portiere dell’argentina o 6000 morti per la costruzione degli stadi. Oppure: fanno più scandalo le mazzette di Bruxelles o la bisht indossata da Messi?

Insomma sembra che si sia arrivati ad un punto in cui oltre le esternazioni sudamericaniste di Adani, non si sia più capaci di restare su un punto prettamente calcistico. C’è sempre qualcosa d’altro da raccontare. Sembra che per ogni partita sezionata (a piacimento) dalle telecamere, dal Var, dai commenti dei telecronisti non sia bastato parlare di schemi, di giocate, della bravura di singoli giocatori. Si è detto un gran bene su Messi, su Modric, su Mbappè.

Meritava forse qualcosa in più il Marocco, tra le poche squadre ad offrire un gioco di…squadra; una sorpresa (ma neanche tanto visto i giocatori che ha in rosa). «Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal numero 8 del Marocco. Non ricordo il suo nome, com’è che si chiama? Mamma mia, da dove viene quel ragazzo? Spettacolare. Non ha smesso di correre per un minuto, deve essere distrutto». Parla così Luis Enrique in conferenza stampa dopo l’eliminazione della sua Spagna per mano del Marocco. Ma chi è quel numero 8? Parliamo di Azzedine Ounahi, centrocampista classe 2000 dell’Angers. Avremmo gradito di più scoprire lui e le varie sorprese della Corea, del Senegal, degli Stati Uniti. Sicuramente gli osservatori delle diverse società avranno dato più di uno sguardo per cogliere le posizioni e le caratteristiche dei vari giocatori da poter inserire nelle proprie squadre. Molto rimane ignoto e solo a giugno, oppure già a gennaio, avremo il riscontro di tale lavoro.

Il mondiale ha lasciato molti segni, molti punti da discutere per uno nuovo e, speriamo, meno “parlato”. A noi restano comunque le situazioni più piacevoli di una finale straordinaria e le giuste riflessioni su un gioco (?) che attira sì molto denaro ma anche tanta spensieratezza e gioia oltre che tensioni. Non aver visto gli azzurri di Mancini in campo dovrà far riflettere (ma anche di questo si è parlato tanto). I nostri ce l’avrebbero fatta? Dove potevano arrivare? A Napoli si è vinto, gemellati come siamo con i biancocelesti. Che la mano di Dio ci sia sempre, questo è una certezza; che ci sia anche quella un po’ più umana del grande Diego, ci rende fiduciosi per un 2023 più roseo.