AAA. Centravanti cercasi
L'Italia si prepara ad un nuovo cammino, ma Mancini si accorge di essere senza un grande centravanti. Soluzione?
© “MANCINI” – FOTO MOSCA
Criticato perché criticabile, l’italexit del calcio azzurro dai mondiali è un vulnus mai sanato, forse insanabile, conseguenza di plurimi colpevoli, che si nascondono, nella a migliore tradizione in “non so, non c’ero, l’avevo detto” e in altre simili scappatoie. Invocati tutti gli alibi per il default dell’Italia, che tra l’altro costringe la Rai, depositaria dei diritti di rappresentazione televisiva della nazionale a rivoluzionare il suo storico feeling con il calcio, per dirottare risorse umane e materiali su altri sport (pallavolo, atletica, sci, nuoto), non rimarrebbe che una rivoluzione copernicana del calcio.
Il ct Mancini, dimissionario per un giorno dopo le figuracce dell’esclusione dai mondiali del Qatar, si arrampica faticosamente sugli specchi e con un selfie della prudenza mette le mani avanti, in previsione di altre debacle (Inghilterra venerdì, Budapest il 26). Il ‘mancho’ scopre con qualche ritardo (a voler essere innocentisti), che il calcio italiano non è da tempo gravido di centravanti del calibro di Lukaku, Benzema, Lewandowski, Osimhen e che il campionato di serie A è abitato da troppi strangers. Tutto vero, ma il nostro ct, prima di assumere la guida della nazionale è stato allenatore di squadre di club e senza ricorrere alla cronaca di quel tempo, si può immaginare che abbia partecipato, come tutti i suoi colleghi, all’interessata pressione sulle società di appartenenza per frequentare utilmente il ‘mercato’ e portare a casa ‘top ten’ del calcio mondiale.
Se il dio denaro non avesse causato la controrivoluzione del calcio multi milionario, che ha snaturato il gioco nato nel 1863 a dimensione dilettantistica, la contro-controrivoluzione, senza intaccare il diritto alla circolazione libera dei lavoratori, potrebbe sdoppiare il calcio italiano in due campionati paralleli, l’uno di soli calciatori italiani e l’altro, in nome della spettacolarità multietnica, di giocatori stranieri. A confortare l’ipotesi è utile citare la rivalità ad alta tensione del calcio a tutti i livelli, per partite della domenica su campi in terra battuta, tra scapoli e ammogliati, incontri di calciatori baby, sfide tra squadre di non professionisti, di campionati. Purtroppo è più facile che nulla cambi e anzi che tra non molto Napoli si trovi a tifare per una squadra di all strangers. Già oggi con un portiere africano, un terzino finlandese e un attaccante del Kurdistan, i partenopei con radici salde nella napoletanità si dovrebbero interrogare sul rapporto degli undici in campo con l’azzurro degli azzurri e l’azzurro del cielo che illumina il golfo più spettacolare del mondo.
Il risveglio dal sogno dell’improbabilità, smantella la folle idea. Svanisce il miraggio che eviterebbe a Mancini di lamentare la dura fatica di perseguire la competitività della nazionale “in mancanza di un super centravanti”. Ve l’immaginate la rivolta degli agenti che incassano parcelle milionarie dalla ‘compravendita’ (pardon per l’odiosa definizione) di giovani talenti e affermati assi del pallone? Come reagirebbero i club straricchi di suo o per partnership con emirati, nababbi americani, russi, tra non molto cinesi, che snobbano le ambizioni patriottiche di Mancini e in Italia investono cifre a molti zeri in cambio di cospicui ritorni pubblicitari? Come risponderebbero gli storici adoratori di Maradona e i recenti supporters di Kvaratskhelia? Con grande affetto per Insigne, Cannavaro, Ferrara, Mistone, Bruscolotti, ma con appassionata dipendenza da Osimhen, dal fenomeno georgiano e dall’asiatico Kim. Questo è, se ci pare.