Il modello organizzativo del Napoli è efficiente?
La risposta - spesso influenzata da pregiudizi - è negativa. Ma dei risultanti cosi brillanti ci parlano di un oculato modello organizzativo.
© “DE LAURENTIIS” – FOTO MOSCA
Quale modello organizzativo è più efficiente per una società sportiva? Quello che funziona e porta risultati con il minor dispendio di energie. Ecco la risposta che, dopo anni di studi ed esperienze sul campo, mi sento di dover dare ogniqualvolta mi viene posta la domanda susseguente una analisi organizzativa di una azienda.
I modelli organizzativi basici
Dobbiamo, in questo caso, cercare di essere equidistanti dalle elaborazioni teoriche così come dall’eccessivo pragmatismo. Pertanto, cercando di sintetizzare dottrina e praticità, possiamo affermare che nel mondo del calcio professionistico (non solo italiano) sono rintracciabili almeno tre modelli organizzativi basici della azienda calcistica:
- Classico-tradizionale;
- Basato su dinastie imprenditoriali;
- Innovativo.
Ovviamente la riduzione teorica di queste classificazioni non ci deve assolutamente ingannare perché tante sono le strutture organizzative che hanno alcune caratteristiche dell’uno come dell’altro dei tre modelli basici e rappresentano quindi un esemplare ad hoc. Né più né meno, dunque, che in qualsiasi altro settore dove diversi assetti organizzativi, assicurano alle imprese il raggiungimento dei risultati economici positivi paragonabili, in termini sportivi, alla permanenza in serie A oppure alla vittoria del campionato.
Le società calcistiche tradizionali
Le aziende calcistiche tradizionali sono radicate localmente, basano la propria supremazia sui risultati maturati sul campo, prevedono una scarsa commercializzazione del loro spettacolo sportivo e non hanno ancora sviluppato, tranne rare eccezioni, le sinergie organizzative appropriate per poter cogliere le opportunità offerte loro dall’evoluzione del settore. Sono destinate, dunque, a subire la concorrenza delle altre società.
Le società fondate sulle dinastie imprenditoriali
Le società di calcio fondate sulle dinastie imprenditoriali, invece, basano il proprio successo su una gestione improntata al mecenatismo piuttosto che a un’organizzazione efficiente guidata da un management capace di sviluppare meccanismi organizzativi e politiche aziendali innovative. Queste società, oltre a sfruttare poco le potenzialità derivanti dai diritti televisivi, dalle sponsorizzazioni e dal merchandising, non presentano nemmeno una struttura patrimoniale solida e politiche di bilancio accorte, precludendo soprattutto la possibilità di accedere al mercato borsistico e di promuovere altre iniziative profittevoli.
Non tutte le società appartenenti a illustri famiglie di imprenditori appaiono, tuttavia, caratterizzate da questi elementi, come dimostra la Juventus che, prima di tutti in Italia, si è prefissata di coniugare i risultati calcistici con quelli economici, svincolandosi definitivamente da una gestione familiare per intraprendere una gestione manageriale. E gli esiti incerti (eufemismo) sono sotto gli occhi di tutti.
Le organizzazioni innovative
Sarà però la traslazione dei concetti e degli strumenti tipici della gestione aziendale (non calcistica), e più in particolare di quelli organizzativi, il fattore vincente che vedrà appunto prevalere le imprese calcistiche che sapranno trasformarsi in organizzazioni innovative, con una struttura fondata sul primato della comunicazione (interna ed esterna) e su espliciti richiami alla missione aziendale: la squadra diverrà, quindi, parte integrante di una strategia del gruppo dirigente, il quale interverrà nella gestione tramite un continuo apporto di competenze e valori.
È inevitabile pensare che molte società del settore debbano adottare il modello innovativo, nonostante anche gli altri possano continuare ad assicurare buoni risultati anche se di portata più limitata.
Il fattore critico di successo del futuro sarà indubbiamente dato, quindi, da una strutturazione della dimensione organizzativa che dovrà essere in grado non solo di adattarsi e di trasformarsi con successo di fronte alle nuove sfide della concorrenza, ma anche di anticiparle e di generare continui cambiamenti e innovazioni all’interno del mercato calcistico.
Flessibilità e competenze specifiche
Ecco dove risiede l’elemento interpretativo del successo del nostro caro Napoli: la snellezza e la flessibilità organizzativa basata su competenze specifiche.
Ma quali sono i pilastri procedurali ed organizzativi che una azienda calcio come il Napoli deve necessariamente possedere per rispettare quel fattore critico di successo?
Non si può prescindere dal fatto che queste società dovranno fondare la propria azione su:
- Assoluta preminenza della comunicazione nel disegno organizzativo;
- Istituzionalizzazione dei diversi ruoli (ed esperienze) che concorrono a disegnare il network organizzativo;
- Progressiva strutturazione di una vasta rete organizzativa.
Il sistema comunicativo
Il sistema comunicativo ricopre un ruolo centrale all’interno del nuovo modello organizzativo poiché permette di gestire in modo differenziato e specifico i diversi pubblici interni ed esterni: la produzione e la gestione delle informazioni interne ed esterne e dell’immagine societaria deve essere affidata all’alta direzione che, a sua volta, si avvale della sistemica consulenza di esperti per impiegare tecniche comunicative e di marketing sempre più specializzate e sofisticate.
In questo modo, si assiste a una divisione dei compiti e a una vera e propria specializzazione delle unità organizzative che porta il vertice aziendale a occuparsi delle strategie comunicative, gli esperti a controllare costantemente la domanda per avvicinare sempre più i messaggi e i prodotti aziendali alle esigenze della clientela e le aree funzionali a gestire operativamente i diversi pubblici. Anche nel calcio quindi i manager tuttologi producono solo disastri; occorrono specializzazioni e competenze.
Non dobbiamo meravigliarci se a livello mediatico il Napoli è come la Cuba castrista. Tanto si parla e sparla di Napoli città e dei napoletani, quanto poco si sa del Napoli calcio. Una formidabile idea, completamente controtendenza (e pertanto innovativa) che permette di controllare e gestire voci, polemiche e gossip su una squadra tifata da circa 6 milioni di persone nel mondo e quindi facilmente “infiammabili” se pilotati dai media.
Il presidente, oltre ad essere un efficiente (ripeto l’aggettivo per mero tuziorismo) presidente, è, contrariamente a quanto si possa pensare, un eccellente comunicatore. Tralaltro non potrebbe essere altrimenti per uno che lavora nel mondo del cinema da una vita. La sua comunicazione, al netto di qualche scivolone, si basa su un assunto, indirettamente più volte ribadito: l’Italia ed il mondo del calcio in particolare sono molto provinciali. In tal caso ci sono due strade da seguire: o centralizzare la gestione delle informazioni (strategia attuale del Napoli) o costruire una narrazione coerente con la natura popolare dello sport e del brand (ma di questo parleremo prossimamente)
L’istituzionalizzazione
L’elemento dell’istituzionalizzazione risulta necessario in quanto «rappresenta il passaggio decisivo ai fini della legittimazione di una leadership aziendale assolutamente inedita rispetto al tradizionale modello dinastico-industriale». Grazie all’enfasi posta sulla missione e all’implementazione di forti elementi simbolici quali lo spirito di squadra e il carisma del leader si corre infatti il rischio di configurare la società calcistica secondo l’archetipo organizzativo del clan. Non e’ il caso del Napoli.
La società azzurra ha strutturato una duratura rete organizzativa articolata su pochi livelli, specializzati e interdipendenti tra di loro, tutti dipendenti da un centro costituito dal vertice aziendale.
Nessuno puo’ mettere in discussione le competenze di chi gestisce e redige il bilancio del Napoli (tra i migliori in Europa), nessuno puo’ dubitare della qualità della struttura legal del Napoli (i contratti redatti dal Napoli ormai fanno scuola), nessuno può diffidare delle capacità commerciali e di marketing dei dirigenti del Napoli (basti pensare all’accordo con EA7 ed Amazon). Se poi tutto questa efficienza (repetita juvant) passa per un processo decisionale verticistico (chi decide è sempre LUI), come detto all’inizio dell’articolo, poco importa: basta che funzioni e conduca ai risultati programmati.
Con chi comunica una società?
La struttura organizzativa coerente con il nuovo prodotto calcistico deve essere, quindi, funzionale alla rilevanza attribuita ai flussi comunicativi con i pochi efficienti livelli organizzativi della azienda.
In altri termini con chi comunica la società? Con le diverse categorie di dipendenti, calciatori, tecnici, dirigenti, con i procuratori, con i tifosi-clienti, con gli sponsor, con altre imprese calcistiche e, in alcune circostanze, con gli organismi nazionali e internazionali e dalle emittenti televisive.
Voi ritenete che il Napoli non abbia saputo comunicare con questi stakeholder? Forse qualcosa occorre ancora fare per migliorare il rapporto con i tifosi ma per il resto rappresenta una eccellenza nel panorama italiano.
Il padre-padrone nel calcio italiano
Storicamente nella maggior parte dei club italiani la figura del presidente è stata (ed è) spesso ricoperta dallo stesso proprietario mentre le imprese che stanno compiendo il percorso verso il modello innovativo hanno iniziato a diminuire il coinvolgimento delle dinastie proprietarie investendo di tale ruolo persone di loro fiducia. In questo modo si evita una presenza incombente da parte della proprietà che spesso è portata a intervenire in maniera eccessiva nella gestione aziendale e, talvolta, addirittura nelle scelte tecniche operate dall’allenatore: questo atteggiamento deriva in gran parte dalla paura di perdere il controllo dell’azienda e non tiene conto del fatto che, proprio delegando ad altri, l’imprenditore libera tempo ed energie per sviluppare nuove aree d’affari.
Inoltre, molto spesso il presidente-proprietario non dispone del tempo e delle informazioni necessarie per vagliare tutte le alternative e finisce per circondarsi di una folta schiera di consiglieri-yes man con effetti deleteri per le sorti dell’azienda e della squadra. Il ruolo del presidente, in tal caso, è proprio quello di favorire il rapporto tra la proprietà e il management e la figura che lo ricopre deve essere caratterizzata da una forte valenza simbolica per costituire il punto di riferimento e di unificazione di tutti i destinatari dei flussi comunicativi aziendali.
Dunque che pensare del Napoli?
E allora chiediamoci: il nostro Napoli è organizzato in tal modo?
Se la risposta è, spesso influenzata da pregiudizi, negativa dobbiamo porci un’altra domanda: allora come mai i brillanti risultati di gestione sono così duraturi?
Attorno al presidente-imprenditore De Laurentis non ci sono solo, convinzione consolidata nell’immaginario collettivo, degli executive funzionali. Esiste “un gruppo dirigente” la cui costituzione ha richiesto tempo, energie e capacità. Altrimenti il presidente alla Robinson Crusoe non sarebbe riuscito ad arginare lo tsunami che si sta per abbattere sull’isola calcio.