I risultati del gran bordello: Mancini «batte» Spalletti, ADL ai punti su Gravina
È ora di tirare le somme e fare chiarezza sulla situazione legata a Luciano Spalletti che, da poco, è diventato il nuovo mister dell'Italia.

©️ “SPALLETTI” – FOTO MOSCA
Ma sì, è il momento di tirare le somme, dopo che si sono scambiati – e sparati – di tutto, prima Roberto Mancini e Gabriele Gravina, poi Aurelio De Laurentiis, Luciano Spalletti e ancora Gravina. La scena del «crimine» è ben delineata, i detective sono al lavoro, bossoli ovunque, edicole in rianimazione, con la nazionale che torna nazione, la nazione campanile, il campanile tribù e la tribù tabù. Fuor di metafora: un gran bordello. Uno di quei postriboli che eccitano i nativi e annoiano i forestieri (uffa, la solita «serva Italia di dolore ostello»).
1) Malissimo il Mancio. Per i tempi e per la nebbia dei motivi. C’entra lo staff o c’entra il paragrafo, respinto, della grazia in caso di non qualificazione all’Europeo tedesco? Inoltre: immagino che gli avranno puntato una pistola alla tempia per confessare che Leonardo Bonucci e Gigi Buffon non andavano «inquisiti». Denunci i mandanti. Non vorrà mica sostenere che le nomine erano state concordate. Salvare la faccia di Madama: ma chi si crede di essere?
2) Male Spalletti. «Sono stanco morto, mi prendo un anno sabbatico». Parole sue. Il 4 maggio, a Udine, pittava lo scudetto. Il 4 giugno si esonerava dal Napoli e dal campionato. Stremato. Il 18 agosto era già bello e arzillo per tornare in panchina, Lazzaro volante. Un giorno all’improvviso: ct azzurro, addirittura. E questo, al netto di un rapporto aziendale ormai allo sbando e della famigerata carta concepita per assicurare, almeno, un rustico armistizio. Ah, il mio Boccaccio di Posillipo. Scucia ‘sti benedetti spiccioli e non se ne parli più. Perché sì, la firma è sua. E la responsabilità, idem.
3) De Laurentiis, tutto d’un pezzo (e d’un prezzo). Gli devo uno slogan («fino a quando si consentirà che la “regola” sia la “deroga”») che riecheggia da vicino uno dei motti a me più cari: «Gli italiani sposano le regole e vanno a letto con le eccezioni». Un onore. ADL è il classico padrone bravo ma geloso, gelosissimo. Da impresario del cinema, vorrebbe sempre entrare nei titoli e nelle trame, non solo nei botteghini. Ecco perché invidiò Maurizio Sarri e ha invidiato Spalletti. Un spin doctor avrebbe dovuto suggerirgli – a proposito di deroghe e cavilli – che la Federazione, e quindi lo stesso Gravina, aveva prorogato sino alla stagione 2028-2029 lo stop alle multi-proprietà, previsto per il 2024-2025. ADL, come si sa, è proprietario del Napoli campione d’Italia e del Bari in Serie B. Ho torchiato i colleghi napoletani: non risulta neppure a loro che quel «ritocchino» lo avesse messo di cattivo umore. Anzi, fece la ola: ha borbottato uno, dietro la garanzia dell’anonimato.
4) Gravina, Don Chisciotte della «Mancia» (sorriso, please). Un presidente federale deve avere periscopi e sensori in grado di segnalargli le «sfumature di grigio» che incombono. Non basta aver confermato Mancini nonostante la Macedonia. Scarso, dunque: ancorché meno colpevole di Mancini e Spalletti. E attenzione: mettersi contro un affiliato non è mai elegante.
5) Clausola. Ho chiesto se era possibile esaminarla nella sua interezza. Mi è stato risposto – cortesemente ma fermamente – che il documento «non può essere portato a conoscenza di alcuno, perché coperto da patto di riservatezza e oggetto di un contenzioso in essere. Trattasi di atto che passerà sicuramente alla storia del calcio». Sticazzi! (dallo slang redazionale di Giorgio Tosatti). Se è vero che non c’è scritto «avversaria», termine che libererebbe il concetto di «Nazionale» dalle manette della penale, se mai si andasse a un contenzioso forte, in sede civile, ADL vincerebbe per distacco. Oltre ogni ragionevole plusvalenza.