Il Napoli è virtuoso anche nella gestione della multiproprietà: Caprile e Cheddira sono aghi in un pagliaio
Se agli albori si sarebbe potuta ipotizzare per il Bari un’agile partnership tecnica con il Napoli, in realtà la collaborazione tra le due società non è mai stata realmente approfondita.
Prima di emettere sentenze e giudizi, seppur con toni “morbidi”, sulla direzione imprenditoriale di Aurelio De Laurentiis, è necessario conoscere dati e statistiche.
Dopo gli acquisti di Caprile e Cheddira dal Bari, prima che il fenomeno venga letto in maniera distorta, chiariamo che il modello delaurentiisiano, così come ribadito nel mio libro “A scuola da De Laurentiis (Edizione Ultra), gestisce con molta attenzione e correttezza anche i rischi derivanti dalla governance della multiproprietà (Napoli e Bari) nel calcio.
Lo stop alle multiproprietà, indipendentemente dalle categorie professionistiche di appartenenza, è stato prorogato alla stagione 2028-29. A meno che, così come stabilito al punto a) della norma transitoria dell’art. 16 bis delle Noif (Norme Organizzative Interne Figc), le due società professionistiche non militino nella stessa serie, nel qual caso la proroga non è ammessa.
Una norma che trova la sua ratio nel fatto che il sistema risente delle capacità elusive dell’istituto della multiproprietà per la società-madre e della posizione dominante della squadra satellite, il che non tutela la concorrenza nel campionato di appartenenza. E i motivi sono evidenti. Per la società madre, la possibilità di avere uno “sfogo” per determinate operazioni è un vantaggio tecnico, economico e finanziario. Se la società-madre acquista, ad esempio, un giocatore extra-comunitario, non avendo però più slot disponibili per questo tipo di operazioni, lo potrà girare alla società-satellite mantenendone la proprietà senza che l’operazione fallisca. Non solo: questo escamotage potrà, a seconda della situazione, portare anche a un abbattimento dei costi in bilancio della società-madre aggirando vincoli specifici, da quelli tributari fino a quelli, farseschi, del Fair Play Finanziario.
Viceversa, questo rappresenta un problema concorrenziale per le altre società iscritte allo stesso campionato della società-satellite: il fenomeno risulta evidente in determinati campionati, come la Serie B, che vengono affrontati con grosse difficoltà finanziare da parte dei club, e in cui avere “le spalle coperte” da una società più stabile e con una forza di spesa maggiore porta a una lotta impari che spesso uccide – sportivamente parlando – la competizione.
Ma pure nella gestione della multiproprietà, nei pericoli e rischi di cui, come visto, si è preoccupato anche il legislatore, il modello delaurentiisiano presenta una caratterizzazione specifica.
Secondo quanto rilevato nella ottantatreesima edizione del rapporto mensile del Cies Football Observatory che analizza le caratteristiche di 3.178 giocatori attualmente in prestito in 75 campionati di 57 Federazioni in tutto il mondo, si rileva che nel 63,5% dei casi le società in cui i giocatori vengono ceduti in prestito hanno un livello sportivo inferiore alle società proprietarie. Questo risultato indica che i prestiti servono principalmente gli interessi delle squadre più ricche, consentendo loro di controllare la carriera e lo sviluppo di più giocatori di quanti ne potrebbero avere in rosa. E la strategia dei club multiproprietari, sempre più utilizzata dalle squadre dominanti, non fa che rafforzare questo processo. Tra i club che mettono in prestito il maggior numero di giocatori nelle 75 leghe analizzate figurano molte squadre delle big-5 league. L’Arsenal è in testa alla lista con 25 calciatori ceduti in prestito, seguito dall’Atalanta. Nella top 10 anche Inter, Brighton & Hove Albion, Manchester City, Juventus, Chelsea e Wolverhampton. In generale, più un club è competitivo, più tende a prestare giocatori ad altre squadre.
Ma il Napoli non figura neppure tra le prime venti posizioni. Se pertanto agli albori si sarebbe potuta ipotizzare per il Bari un’agile partnership tecnica con la proprietà principe, in realtà la collaborazione tra le due società non è mai stata realmente approfondita. I rapporti tra i due club si sono indubbiamente intensificati negli ultimi cinque anni, da quando, cioè, c’è a capo la famiglia De Laurentiis. Dopo il Parma, il Bari è la squadra a cui gli azzurri hanno ceduto più calciatori in questo arco di tempo.
Sono in totale dieci le operazioni, di cui solamente due a titolo definitivo e otto in prestito (in ordine cronologico: Luigi D’Ignazio, Luigi Liguori, Davide Marfella, Filippo Costa, Eugenio D’Ursi, Franco Ferrari, Michael Folorunsho, Leonardo Candellone, Giuseppe Esposito, di nuovo Michael Folorunsho). Tuttavia, la tabella dei trasferimenti evidenzia come il Bari abbia man mano raggiunto un certo grado di indipendenza nei confronti del club partenopeo, che ha fornito i calciatori necessari a un primo assestamento per poi defilarsi con decisione. Delle dieci operazioni complessive, nove sono avvenute nel triennio tra Serie D e Serie C, mentre se ne è registrata solamente una nell’ultimo biennio: il ritorno di Michael Folorunsho nell’estate 2022. E ancora, a conferma dei binari separati su cui viaggiano le due società, il Napoli non ha scelto Bari come piazza per svezzare i propri giovani più talentuosi: Gaetano è cresciuto nella Cremonese, Ambrosino tra Como e Cittadella, Saco e Vergaranella Pro Vercelli. Una scelta che, in base alla lettura che si vuol dare, può celare anche la determinazione del progetto Bari e la volontà di non concedersi buchi nell’acqua con calciatori alle prime armi. Eccetto Marfella, ritornato nel 2021 in prima squadra, la tratta a parti invertite è stata percorsa solamente da giovani promesse del vivaio barese (Daniel Hysaj, Giovanni Mercurio, Moussa Mané, Claudio Turi, Francesco Lorusso) e ora da Caprile e Cheddira.
Aghi in un pagliaio