Ipotesi: se fosse bianca la vittima sacrificale
Il tema del razzismo continua ad essere protagonista nel mondo del pallone. Ma se si invertisse il punto di vista?
© “KOULIBALY” – FOTO MOSCA
Per capire e non ridurre a sfogo estemporaneo la giusta rabbia di Koulibaly e di tutti gli atleti con la pelle diversa dal bianco, di personaggi pubblici noti, della politica, dello spettacolo, dell’arte, di uomini e donne ‘normali’, che abitano mezzo pianeta e offrono all’umanità valori aggiunti di intelligenza, capacità, operosità, un buon test consiglia di riflettersi nello specchio dell’anima, che custodisce opportunità di giudizio non di parte e riflette immagini solo teoricamente inverosimili. Si invertirebbe così la percezione dello lo status di africani, asiatici, di ‘neri’, ‘gialli’ e lo ribalterebbe, eleggendolo a rappresentanza dominante del pianeta.
La conseguenza si abbatterebbe sulla razza ‘bianca’, sul suo declassamento a umanità inferiore, perciò vittima designata di insulti del tipo ‘ariano di m…a’. Questo si sentirebbe, appunto sulla pelle: l’insulto di un bullo ‘di colore’ mentre regali divertimento, piacere, con le acrobazie atletiche di un tiro da tre, dalla lunga distanza, concluso con il canestro di un cestista eccelso qual è stato il ‘bianco’ Larry Bird, con un ubriacante dribling del ‘bianco’ Messi, o le magie tennistiche del bianco Djokovic.
Koulibaly e tutti i neri, i gialli, gli africani, gli indiani, i cinesi, se protestano e non ancora con la piena capacità di contestare il razzismo di cui dispongono, provano a ficcare idee e convinzioni condivise nella testa dei balordi, che in presenza di regimi nazifascisti (ma poi anche in aree più vaste del razzismo), osarono immaginare interventi genetici in condizione di far procreare solo esseri umani con la pelle chiara, gli occhi azzurri e i capelli biondi.
Per fortuna è andata proprio male a Hitler e ai suoi maledetti medici genetisti, ma purtroppo non si è estinta la malapianta del suprematismo bianco. Tocca a Koulibaly, ai suoi simili, protestare, ma soprattutto ottenere punizioni esemplari dei razzisti, come deterrente definitivo.
Nessuno, considerati gli interessi che gravitano intorno al business del pallone osa infliggere dieci giornate di partite a porte chiuse alle società che non riescono o non vogliono liberarsi della teppaglia che inquina gli stadi con cori e striscioni del tipo ‘Koulibaly scimmia’ o ‘Vesuvio, Etna, pensaci tu’. Ecco il problema.