Da Olimpia al Qatar
Le olimpiadi estive, nate come attività finalizzata al culto del corpo, oggi rappresentano l'estremizzazione del professionismo e dei guadagni.

Chi erano Agesidamo di Locri, lo spartano Cinisca, Eubota, il crotonese Isomaco, possono dirlo solo gli storici dei Giochi olimpici dell’antichità e comunque, sono i primi vincitori delle 292 celebrazioni atletiche e religiose ospitate ogni 4 anni dalla città di Olimpia dal 776 avanti Cristo al 393 dopo Cristo. Nella prima metà del II millennio a.C. si rileva una documentata, intensiva attività finalizzata al culto del corpo: ginnasticori, taa parallela (volteggio sopra i turocatapsia), lotta e pugilato.
La prima menzione dei giochi sportivi risale a Omero che descrive nel XXIII canto i giochi funebri dell’Iliade organizzati da Achille per onorare la memoria di Patroclo ucciso durante la guerra di Troia. Le specialità in competizione: Stadion, Diaulos, Dolichos (gare di corsa), Lotta libera, Pentathlon (salto in lungo, lancio del giavellotto, del disco), Pugilato, Corsa dei carri e dei cavalli, Pancrazio (mix di lotta e pugilato), Hoplitodromos (corsa con le armi.). Bei tempi andati… molto andati.
Le olimpiadi moderne, il via è datato 1896, merito di Pierre De Coubertin, che liberalizzò la partecipazione ad atleti di tutto il mondo, hanno progressivamente accresciuto il numero degli sport ammessi. Nel programma olimpico estivo sono ora presenti 37 sport diversi e 50 discipline, che assegnano 339 medaglie d’oro. Sono 5 le novità: karate, surf, baseball/softball, skateboard e arrampicata sportiva, oltre a basket 3×3 ed eventi misti. Cosa manca alla completezza rappresentative delle Olimpiadi? Ma sì, il ‘sotto al muro’ (vince chi accosta di più alla parete una moneta lanciata da una certa distanza), la corsa nei sacchi, ‘palla prigioniera’, il tiro della fune, il braccio di ferro, le bocce, lo sci d’acqua, lo ‘schiaffo del soldato’.
Niente paura, c’è tempo per integrarli nel serbatoio senza fondo della kermesse che muove cifre colossali a carico del Paese organizzatore, consapevole di investire e ‘a perdere’ finanziariamente, ma confortato dall’ampio ritorno di immagine, destinato a riverberarsi sull’economia del turismo. Chi trae il maggior profitto dai Giochi è senza alcun dubbio il pool di sponsor, che godono di una vetrina mondiale unica e i network televisivi, la stampa, che aumentano ascolti e lettori. Sull’etica delle Olimpiadi, nate per esaltare la purezza del dilettantismo, fanno ombra nel nostro tempo i successivi cedimenti all’intrusione del professionismo. Vi assistesse, storcerebbe il naso il barone De Coubertin: lo sport si è quasi totalmente omologato a mille altri comparti della vita collettiva che hanno come comune denominatore il profitto, la logica univoca del business.
Il culmine? Sport con giri d’affari miliardari come il calcio, sci, ciclismo, automobilismo, tennis. Domanda: ma è normalità, banale avvicendamento il chiacchierato export dei prossini mondiali di calcio nello straricco Qatar? Mai chiariti i dubbi sul sì della Fifa alla richiesta di disputare il top dello sport più popolare e ricco nel Paese che al tempo delle partite sarà un inferno di caldo. In chiusura di questa nota è giusto che sopravvenga un ‘errata corrige’: bocce e corsa nel sacco non diventeranno mai discipline olimpiche, a praticarle sono per lo più anziani pensionati e ragazzi degli oratori di periferia.