Come Dante avrebbe cantato la «Commedia» del nostro calcio: ahi, serva Italia
«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!».

©️ “FAGIOLI” – FOTO MOSCA
«Nel mezzo del “casin” di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la dritta via era smarrita». E’ il Dante della Divina Commedia, ma anche il Dante contemporaneo, scosso dalla Commedia, latrina e non divina, di questo Paese, di questo sport, di questo calcio. Il suo «volgare fiorentino», diventato poi la lingua della nazione, scolpisce e scandisce il viaggio in un Inferno che di metaforico ha ben poco.
Dante fotografo di fronte alle macerie. Passaportopoli. Calciopoli. Doping. Le plusvalenze. I bilanci taroccati. Le rate di Scommessopoli, dal Totonero del 1980 alla ludopatia di Nicolò Fagioli e Sandro Tonali («Or incomincian le dolenti note a farmisi sentire; or son venuto là dove molto pianto mi percuote»). I costi di Milano-Cortina 2026 che lievitano, con la minaccia – mortificante – di dover spostare oltre confine la pista di bob, slittino e skeleton. Ci sono giornalisti che fanno in maniera infame un mestiere meraviglioso. Fabrizio Corona, viceversa, svolge in maniera meravigliosa un mestiere infame. C’è tutto. Lo sbandamento di un popolo, la crisi di una classe di dirigenti senza classe, la voglia libidinosa di una gola profonda che si sostituisca alla voce del potere. Coni d’ombra. Giovanni Malagò che si blinda dentro i mandati (quattro?); Gabriele Gravina che si aumenta lo stipendio. Ci soccorre il celeberrimo «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Virtute, conoscenza: sì, ma quali? e di chi? E allora non si scappa:
«Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!».
Sotto braccio a Virgilio come se la caverebbe, il sommo poeta, a descrivere la fuga araba di Roberto Mancini? Probabilmente così:
«Vidi e conobbi l’ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto».
Nessun dubbio che, il suo, sia stato un rifiuto. Quanto alla «viltade» ci sta se valutiamo l’alibi invocato: lo smantellamento dello staff (se non, addirittura, la nomina di Gigi Buffon a capo-delegazione) in barba all’offerta degli sceicchi di Riad, 30 milioni l’anno per tre anni. Ct dell’Arabia Saudita. Bastava dirlo, bastava non fingere.
Fingere, già. Eccoci a un altro memento, a un altro tormento. Coloro che barano. I simulatori. I cascatori. Quelli che millantano una laurea fantasma: sentirsi dare del «dottore» li eccita, li inebria. Il custode di uno stabile che, all’insaputa dei proprietari, vendeva fior di immobili. Tornando in ambito sportivo, spopolano i mendicanti di rigori, i cacciatori di frodo che persino gli sceriffi del Var faticano a smascherare. Qui Dante non è più il paparazzo della «serva Italia» al quale basta fissare l’obiettivo e fare clic. E’ l’inviato che adegua la sua malizia e la sua cultura alle esigenze mondane della Commedia post-moderna. Pensate ai simulatori seriali, alla scuola fiorentina del Novecento.
Non più, dunque, «Ed elli avea del cul fatto trombetta», ma:
«Ed elli avea del cul fatto piroetta».
Ci sono poi le stelle, metaforiche e no, le tre stelle della Juventus, le due rincorse da Inter e Milan, le stelle in campo: l’ultima, Jude Bellingham. Vent’anni di talento e di tritolo. Le stelle: degli altri, però. Come il giovanotto inglese. Come Kylian Mbappé. Come, sino a ieri, Cristiano Ronaldo e Leo Messi. I nostri cieli sono fermi, sono piatti, lontano dai soli e dalle lune della letteratura creativa. Non siamo più capaci di sognare. Prova ne sia la notte di Wembley. Impotenti, tutti: da Luciano Spalletti a Dante.
«E quindi uscimmo a riveder le stelle». Ciao, Bobby.