Cronaca di un giorno sacro: la domenica
Per chi alimenta il fuoco della passione per il calcio, c'è solo una domanda al termine dei 90 minuti di gioco: "Quando arriva domenica prossima?"

©️ “CALCIO” – FOTO MOSCA
Domenica pomeriggio invernale, qualsiasi campo d’Italia.
Fa freddo, anzi da molte parti freddissimo. Il clima non è però l’unico pensiero dei pazzi che animano quei cento metri di erba, per i più fortunati, di terra e sassi, per quelli ancora più fortunati. Da quelle parti, in quelle piccole società sparse per ogni angolo del Bel paese, si fa ancora calcio alla vecchia maniera, forse l’unica concepibile da chi ama davvero questo sport: con passione, gioia e spensieratezza.
I campi, come detto, non sono un granché. Anzi, a dirla tutta fanno pure un po’ schifo, tra righe tracciate male e ciuffi d’erba qua e là che non garantiscono un rimbalzo pulito della palla. Pazienza. Si riesce comunque a fare calcio, o qualcosa che gli somiglia vagamente.
I giocatori delle squadre arrivano in maniera spaiata. Qualcuno ha appena finito di lavorare, anche se è domenica. Qualcun altro invece arriva da un sabato sera particolarmente impegnativo, anche se cerca di nascondere il più possibile il fattaccio. Altri invece mostrano lo sguardo fiero e serioso, pronti a dar battaglia a qualsiasi cosa si muova per il campo.
È il giorno della partita, come si intuisce. E nonostante ognuno abbia un modo completamente diverso di viverlo, una cosa accomuna tutti: la passione. Perché se alla domenica pomeriggio, dopo una settimana o addirittura una mattinata di lavoro, preferisci mollare tutto per perderti per mezza provincia a giocare una partita di pallone, bè, la passione ce l’hai davvero.
Il riscaldamento, così come le quattro chiacchiere tra mister e giocatori nello spogliatoio, è cosa seria. Uno spazio temporale in cui il silenzio è scandito solo dal rumore del pallone che sbatte contro al piede. Non tutti però lo interpretano allo stesso modo, ed anche questo rende gradevole e poetico il momento: il dieci svolge il tutto in maniera blanda, il cinque scalda i tacchetti, il tre punta tutto sulla rottura prematura del fiato, ed il mister, ultimo ma non meno importante, cerca di stimolare i nervi di tutti. Da un angolo poi, perché è sempre così, il diciotto osserva tutti con una rabbia indecente: vorrebbe essere lì, tra i titolari.
Una rabbia che, fischiato il calcio d’inizio, si trasmette nel corpo di ogni componente della squadra, in quei novanta minuti che sono sfogo, battaglia, fantasia, estro e litigio. Tutto questo fino all’ultimo secondo, il più tragico. Quello che produce nell’aria il suono dei vincitori lasciando sul prato il corpo dei perdenti, assillati da una sola ed unica domanda:
“Quando arriva domenica prossima?”
Ecco perché amiamo da morire questo sport. Ecco perché ci mette in difficoltà davanti a tutto il resto. Ecco perché, ad ogni risentimento verso di noi, ridacchiando pensiamo: ma che ne sanno gli altri.