La guerra ultras è un attentato alla storia
A testa in giù ed incendiato chi ha visto le lacrime di Francesco Totti, lo scudetto del 2001 ed il double in Coppa Italia: si è consumato un attentato alla storia.
Leggendo l’intervista a Sébastien Louis, storico e autore del libro Ultras, gli altri protagonisti del calcio, realizzata da l’Ultimo Uomo, si comprende – seppur in minima parte – l’essenza dell’essere ultras. È facile calarsi in quel mondo grazie alle sue sapienti parole: ti senti sullo stadio, a cantare con loro, seguendo il ritmo del capo branco con il megafono, che spesso la partita non la guarda neanche; ti passano davanti agli occhi mille colori, rimbombano in testa quei cori che non hai dimenticato, ricordi quando hai visto quella fiumana di gente entrare allo stadio mentre eri in fila con i tuoi amici per i distinti o la tribuna. Questo mondo, estremamente ermetico – come scrive Emanuele Atturo – è però molto più difficile di quanto sembra comprendere all’esterno, è una cultura a sé: ha le sue regole, segue dei codici, ma allo stesso momento è totalmente indipendente da tutto e da tutti.
Ciò che è chiaro dalle parole di Louis è l’importanza dei simboli, e spiega il legame con questi attraverso queste poche righe: “Nella cultura Ultras il furto di una bandiera o di uno striscione è il gesto simbolico più forte che si possa compiere contro il nemico. Mi spiego: è come se lo striscione fosse la bandiera, il vessillo, di un reparto militare che lo accompagna in tutta la sua vita operativa. Perdendolo, quindi, si perde l’onore. La cultura Ultras è piena di simboli e lo striscione è il simbolo più importante perché rappresenta il gruppo“.
Grazie alla settima arte è semplice capire il concetto, e ritorna in mente un film che a pochi dirà qualcosa, questo è Tifosi, diretto da Neri Parenti. A causa del DASPO comminatogli per essersi arrampicato in cima allo stadio Franchi, il capo ultras Zebrone – interpretato da Diego Abatantuono – è costretto a scegliere un erede, e nomina il giovane Zebrino. Non c’è passaggio di corona, tantomeno di scettro, e gli affida una sciarpa: “E con questa che ci dovrei fare?”, afferma il ragazzo. “Tu non capisci niente – risponde l’ormai ex re della curva -, qui dentro c’è la Juventus. Ci sono le lacrime di Michel Platini, i capelli di Roberto Baggio. Questa sciarpa intrinseca tutta la nostra storia”.
Per quanto il film voglia trasmettere, con leggerezza e allegria – ed infatti il dialogo termina con: “E il sudore delle ascelle di Cuccureddu” -, la passione che anima questi particolari tifosi, è chiara l’importanza che rivesta una sciarpa, un vessillo, uno striscione. E non serve essere romanista, laziale, interista o spezzino per capire che, in quello striscione bruciato da parte dei tifosi della Stella Rossa, c’era la storia recente della Roma. Lì c’erano le lacrime versate il giorno dell’addio di Francesco Totti, c’era la gioia dello scudetto e l’entusiasmo del bis-Coppa Italia (2006-2007/2007-2008) ad opera di Luciano Spalletti. E, per quanto negativo, anche il ricordo di quell’amaro boccone buttato giù il 19 marzo del ’96. È stata messa sotto sopra, e successivamente incendiata, la storia di uno dei più gloriosi club del calcio italiano. C’è chi gode, chi asseconda, sono gli stessi che nel calcio ci vedono soltanto competizione.
Si parla di guerra: ma il mondo ultras è il male del calcio?
Tale atto da parte dei tifosi serbi è secondo molti una palese dichiarazione di guerra, date le alleanze che legano Napoli e Stella Rossa. Ciò potrebbe portare delle conseguenze tutt’altro che pacifiche, dato che ad essere colpito è stato il più antico gruppo della curva sud romanista. Si concretizzeranno agguati per le strade, nei Palazzetti adibiti al Basket, sulla base di intese tra i vari gruppi a livello europeo. Insensata è la solita litania che ciò è contrario ai veri valori dello sport, basato invece sui sani principi del rispetto è dell’amicizia. Il mondo ultrà non è il male del calcio. Senza di loro si perderebbe quel tifo colorato che gestisce bandiere, coreografie, canti, senso della comunità. Il tifo non avrebbe più una sua dimensione concreta, non sarebbe più impossibile dare una forma all’amore verso la maglia. Ed allora? Qual è la soluzione?
Theodor Roosevelt diceva: “L’ingrediente più importante nella formula del successo è sapersi relazionare con le persone“