A tu per tu con Ruud Krol: Cruijff, l’Olanda e il calcio totale a Napoli
I primi giorni di primavera non sempre hanno il tocco della spensieratezza. Il 24 marzo 2016 ci lasciava Johan Cruijff. Per onorare al meglio il fuoriclasse olandese, Sport del Sud ha intervistato il pilastro della Rivoluzione Oranje, Ruud Krol. L'olandese volante che ha portato il calcio totale ai piedi del Vesuvio. E che, ironia della sorte, proprio oggi, festeggia i suoi 73 anni.

“Se per ribelle, va inteso qualcuno che nel calcio vuole cambiare le cose, allora sì, sono un ribelle“. Johannes Hendrik Cruijff.
Calciatore, allenatore, Profeta, come direbbe anche Sandro Ciotti, autore di uno dei più grandi documentari realizzati nel mondo del calcio. Se c’è una parola con cui potremmo definire Johan questa è totale. Scontato, ma non poi così tanto. Perché s’ispirava a Di Stefano, e chi più totale di lui. E, a Barcellona, quando si troverà a dover abbandonare la sua 14, prenderà proprio il numero di maglia del suo idolo, il nove. Totale anche come il calcio di cui è indiscusso cardine, con il suo Ajax e la sua Olanda.
Il giocatore che più di ogni altro rappresenta lo spartiacque del mondo del calcio, oggi, sei anni fa, ci ha lasciato. Ma, come sostiene anche Sandro Modeo nella sua opera “Barça”, tutte le avanguardie calcistiche contemporanee devono qualcosa a Rinus Michels, e quindi anche a Johan Cruijff, suo braccio destro in campo. Infatti, quando vediamo esterni diventare ali, un centrale costruire con i centrocampisti, oppure ogni qualvolta un attaccante retrocede e avanza il centrocampista, è grazie a loro.
Ciò non si sarebbe realizzato senza la generazione d’oro dell’Olanda degli anni settanta: le cosiddette arance meccaniche. Di quella squadra, se Johan Cruijff è stato la mente dalla metà campo in su, Ruud Krol fu il cervello della retroguardia.
Sembra così distante quel mondo. Lo stadio de Meer, gli automatismi oranje; Michels, Kovacs, Cruijff e il suo dominio nell’Europa e nel mondo. Eppure, c’è un filo, anzi un mito, a legare Napoli a quel calcio. Questo, è proprio Ruud Krol. Prestanza fisica di prim’ordine ma mai irruente nei suoi interventi. Nei suoi quattro anni in maglia azzurra, Krol ha dominato e stravolto l’immaginario collettivo di una città piegata dal dramma del terremoto. Un fulmine a ciel sereno all’ombra del Vesuvio. La dimostrazione che Napoli e il Napoli non instaura chimica soltanto con i giocatori latini.

Fascia di capitano al braccio, col pallone tra i piedi avviava e dirigeva tutte le azioni della squadra. Amava deliziare la platea con quei suoi lanci di 60/70 metri che, come per magia, finivano la loro corsa (sempre) sul piede degli estasiati compagni. In un Roma-Napoli, Niels Liedholm incaricò addirittura Pruzzo di marcarlo ad uomo ogni qualvolta entrasse in possesso della sfera. Un attaccante che marcava un difensore, più rivoluzione di così. Poi Ruud Krol era elegante, preciso, bello da vedere come una stella di Hollywood e protagonista di una delle saghe più affascinanti del calcio, quello totale, quello olandese.
Il suo Napoli fu la pietra miliare da cui prese le “mosse” il grande Napoli di Ferlaino, Ottavio Bianchi e Diego Armando Maradona. Ambidestro, Ruud seppe difendere e cucire il gioco come pochissimi altri al Mondo. Vederlo uscire palla al piede e a testa alta dalla propria area di rigore fu uno spettacolo unico per i nostri genitori e i nostri nonni.
Questo è il Krol che è stato ammirato in campo. Un giocatore unico nel suo genere, uno dei difensori più completi che la storia ci abbia mai regalato.
Vincitore di tre Champions League di fila, finalista dei due mondiali che hanno scandito gli anni ’70, Sport del Sud ha intervistato l’ex difensore olandese. Il mito di Johann Cruijff che (non solo) oggi ricordiamo, Napoli, il suo Napoli e la lotta scudetto, sono solo alcuni dei temi affrontati.
L’INTERVISTA
Ruud, partiamo dalla base: in tanti parlano di calcio totale, potresti raccontarlo tu?
“È stato un lavoro molto duro. Non si passa dall’oggi al domani dicendo “giochiamo il calcio totale“. Dopo la sconfitta contro il Milan a Madrid, Michels voleva un nuovo modo di giocare a calcio per vincere la Coppa. Per migliorare la trappola del fuorigioco, abbiamo giocato tantissime amichevoli. Sia chi partiva titolare, chi no; tutto questo per creare degli automatismi. Restando sempre in un 433, occupavamo ogni posizione in campo. Io potevo prendere la posizione di un’ala sinistra, e lui prendeva la mia. Se Cruijff veniva a metà campo, qualcuno occupava la sua posizione. Era un continuo cambio di questa. Restavamo sempre, però, nel nostro modulo. Questo è frutto anche della grandezza del nostro allenatore, Michels, e Johan era il suo braccio destro in campo”.
Hai un ricordo particolare legato a Cruijff?
“Ho un sacco di ricordi bellissimi con lui, non solo uno: dal trionfo con l’Ajax ai successi in nazionale. Uno dei più grandi giocatori del mondo. Un fuoriclasse. In campo ha dimostrato cose eccezionali. La sua personalità, la sua tecnica, non hanno eguali. Oltre la classe, aveva una mentalità vincente pazzesca. Questa, per vincere, è fondamentale“.
Hai giocato con Cruijff, e poi senza di lui, cosa hai avvertito in questo cambiamento?
“Con Haan, Cruijff, Neskens, Keiser, Mühren, avevamo qualità infinita. Con la qualità puoi fare qualsiasi cosa, ma è necessaria anche la mentalità vincente. Una squadra con meno qualità, ma con mentalità, può arrivare lontana. Noi avevamo sia tanta qualità, ma anche una mentalità vincente. Ed è stato questo a renderci grandi“.
Con il Napoli siete stati vicinissimi a vincere lo scudetto, stagione 80/81, se avessi potuto chiamare un tuo compagno dell’Ajax, chi avresti chiamato? Escluso, però, Johan Cruijff.
“Mah… In questo momento è difficile (ride, ndr). Siamo stati tutti incredibili. Però, avremmo potuto vincere lo scudetto anche senza uno di loro. Abbiamo giocato un calcio incredibile, a Napoli, i primi due anni. Se non fosse stato per quell’autogol contro il Perugia… potevamo vincere, ma questo è il calcio. Serve anche fortuna. Squadre forti possono non vincere lo scudetto, e possono farlo quelle meno forti“.
Giocare nell’Ajax, e con Cruijff, sicuramente segna il proprio modo di giocare. Quanto di Johan hai portato a Napoli?
“Sicuramente. Ho portato l’organizzazione. Giocavamo sempre in attacco, Marangon voleva sempre attaccare. Io organizzai, spiegai come difendersi al meglio dopo aver perso palla, e magari come recuperarla subito per colpire l’avversario in un momento in cui era fragile. In Italia, prima di me, il libero giocava dietro la difesa. Io invece giocavo davanti la difesa, e in questo modo creavo superiorità in mezzo al campo. È stata una novità per l’Italia. Al massimo ero in linea con Bruscolotti e Ferrario… Marangon invece era sempre avanti, difendevamo a tre (ride, ndr)“.
Che differenze vedi tra il calcio in cui hai giocato e quello attuale?
“Il calcio è totalmente cambiato. A partire dal regolamento. Giocatori di trent’anni fa non potrebbero giocare oggi. A me oggi piace il Napoli, molte altre non mi piacciono. Molte squadre giocano troppo laterale, troppo indietro. La nostra filosofia Ajax prevedeva sempre il pallone in avanti. Anche noi giocavamo laterale, ma ho visto squadre che fanno solo questo. Arrivano a 16 metri dalla porta, e passano a giocare palla al portiere, questo non mi piace“.
Il Napoli può vincere lo scudetto quest’anno?
“Il Napoli è la squadra più forte. Ha le qualità per vincere, anche se hanno perso contro squadre più deboli. Loro hanno la tecnica, questo è sicuro. Quest’anno, poi, con il covid arrivano brutte sorprese. Uno, due, tre, quattro giocatori positivi possono corrompere negativamente l’andatura di una squadra. Nonostante abbiano perso partite semplici, hanno le capacità per vincere“.
Oggi servirebbe un Krol nel Napoli?
“Secondo me no, giocano in modo diverso. Il calcio è cambiato, a partire dal regolamento. I difensori di oggi del Napoli sono comunque molto forti. È molto diverso per me“.
Però i tuoi lanci lunghi per la rapidità di Osimhen, sarebbero stati perfetti
“Sì. Questo sì. Sicuramente. Lui è molto veloce. Si sarebbe potuta creare una buona telepatia, come avevo con Cruijff. Mi conosceva, mi guardava, e partiva. Il nostro Osimhen era Pellegrini, anche se lui aveva meno qualità rispetto a Osimhen“.