Il rinascimento italiano delle coppe: perché non siamo più le ruote di scorta
L’Europa delle coppe comunica con capriccio - se non con raccapriccio - che abbiamo prodotto cinque semifinaliste italiane, ma non è il caso di stappare champagne.
©️ “EUROPA-LEAGUE” – FOTO MOSCA
Italia forza, onde evitare spiacevoli equivoci di classe e di polo. L’Europa delle coppe comunica con capriccio – se non con raccapriccio – che abbiamo prodotto cinque semifinaliste (su dodici), record nazional-popolare. Mai successo. Proprio noi, gli italianuzzi dediti a ogni genere di lazzi e intrallazzi, dalle plusleghe alle plusbeghe. E comunque, sia detto per amor di giustizia, non i soli, non gli unici. Il problema è che punzecchiare Florentino Perez, padrone del Real, imporrebbe un coraggio che a Nyon pochi sventolano. Lupo con gli Agnelli, agnello con il Lupo: mica fesso, Sua ambiguità Aleksander Ceferin.
Il rinascimento coincide con il risveglio del calcio del campionato italiano, non già, e giammai, del calcio nazionale, inteso come Nazionale, visto il muro di stranieri che li separa. Milan-Inter semifinale di Champions, con vista su Istanbul (e il Napoli eliminato dal «fuoco amico» del Diavolo con molti se e molti ma); Juventus e Roma in Europa League; Fiorentina in Conference League.
Per la cronaca, e per la storia, non vinciamo la Champions dal 2010 (l’Inter del triplete); la Coppa Uefa/Europa League dal 1999 (il Parma di Alberto Malesani); la Conference, alla seconda edizione, da un maggio fa (la Roma di José Mourinho). In teoria, potremmo fare piazza pulita come nel 1990: Coppa dei Campioni al Milan; Coppa delle Coppe alla Sampdoria; Coppa Uefa alla Juventus. Calma: non è il caso di stappare champagne. Non ancora.
Por qué, si chiederebbe Mou, por qué questo improvviso pugno sul tavolo da parte di un sistema fradicio? Provo a rispondere.
- 1) I sorteggi. Una gran botta di sedere. Prendete la Champions: nei quarti l’urna ci ha regalato Manchester City-Bayern e Real Madrid-Chelsea. Incroci che ci hanno tolto di mezzo due squali.
- 2) Il tetto si è abbassato, mentre noi ci siamo alzati. Per tetto mi riferisco al livello tecnico che geni dell’idea come Leo Messi, e del corpo come Cristiano Ronaldo, avevano sospinto su cime impraticabili per la media delle nostre cordate. A mo’ di esempio vi giro il Barcellona guardiolesco del tiki taka: attorno alla Pulce, ruotavano e brillavano Andrés Iniesta, Xavi, Sergio Busquets, Gerard Piqué, Dani Alves. What else?
- 3) La Juventus dei nove scudetti e delle due finali di Champions (2015, 1-3 a Berlino con il Barça; 2017, 1-4 a Cardiff con il Real) non esiste più. Implosa, nelle ultime tre stagioni, per il delirio di onnipotenza di Andrea Agnelli. In quel periodo, era ingiocabile. E non solo per il bidone di spazzatura che le procure sospettano nascondesse al posto del core (business). Come ricordava spesso Mario Sconcerti sulle colonne del «Corriere della Sera», ci si scannava per il podio e la zona Champions, più ancora che per il titolo. E così i mercati venivano tarati, al netto delle relative risorse economiche, su ambizioni più contenute, più caste. Con Madama alle corde, ecco la Liberazione e la riscossa dell’opposizione. Inter campione nel 2021, Milan nel 2022, Napoli (preparate lo champagne) nel 2023. All’epoca di Antonio Conte, nel 2020, l’Inter si qualificò per l’epilogo dell’Europa League, perso a Colonia con i collezionisti del Siviglia (2-3). Una sconfitta, oh yes, ma anche una piccola orma.
- 4) La Fiorentina, il Milan e la Roma americani; l’Inter cinese. Di proprietà italica, resiste la Juventus, che il 24 luglio celebrerà – come e dove non si sa – i 100 anni della famiglia Agnelli (cento meno dodici, 1935-1947, ma quando la leggenda diventa realtà, si stampa la leggenda). Banale coincidenza o no, il contributo della globalizzazione comincia a influire. Fu vera gloria? Godiamoci il momento. E’ un consiglio, non una minaccia.