© “LUIS ENRIQUE” – FOTO MOSCA
Dopo l’intensa luce di un tramonto, il buio totale. Il calcio sexy di Luciano Spalletti probabilmente sta giungendo ai titoli di coda a Napoli, e come lui stesso ha affermato c’è soltanto da annunciare la decisione presa. Adesso tiene banco il cosiddetto toto-allenatore, e di successori del tecnico di Certaldo sembrano essercene davvero tanti. Grandi nomi riempiono le bocche dei tifosi a lavoro, fuori un bar, a cena fuori con gli amici: si parla del supponente Nagelsmann, l’innovativo De Zerbi, un ritorno di Benítez o l’approdo degli “antipatici” Gasperini e Conte. A questi se ne aggiunge un altro, l’intransigente Luis Enrique. Ed è proprio lui, secondo chi scrive, la chiave di volta non solo di questa vicenda, ma anche di tale articolo. Non sarà previsto un lavoro solitario alla guida del Napoli, ma avrà il saggio supporto di un connazionale che recentemente ha dichiarato di essersi aggiornato ed è pronto ad una sfida nuova, ed è proprio l’ex azzurro Rafa. Ricapitoliamo, quindi: Luis Enrique allenatore, Benítez direttore tecnico. Perché proprio loro? Spieghiamolo subito.
Luis Enrique, o “Padrique”
Perché proprio Luis Enrique? Non perché è chiamato anche Lucho, che suona come Luciano, e neanche perché dopo una sconfitta incassata ogni dichiarazione è un potenziale titolo da prima pagina, ma per il suo modo d’intendere il calcio, per il suo ricco patrimonio d’idee, perché preferire Enrique vuol dire prima fare una scelta culturale, poi proseguire il disegno tecnico del club. E, poi, chi più di un uomo con tre soprannomi è adatto alla folkloristica città di Napoli? Lucho, ad esempio, che sembra un tenero vezzeggiativo a primo impatto, è l’esatto contrario di un nomignolo: Luis Enrique in conferenza stampa disse “Chiamatemi Lucho“, ma cosa vuol dire? È la prima persona del verbo luchar, lottare. Lui che non ha l’ambizione di cambiare il calcio, ma che va in battaglia ogni domenica con le armi della coerenza, dell’integrità morale e della schiettezza. La trasparenza, inoltre, è anche uno dei pregi (o difetti?) che ha voluto evidenziare Daniele De Rossi qualche anno fa.
Oltre questo grido per rimarcare il suo spirito, altri due soprannomi accompagnano la vita di Enrique: “El Hombre Vertical” e “Padrique“. Il primo, più riconosciuto a livello internazionale, sta a definire la sua coerenza, le sue convinzioni, il suo modo di vivere. Il secondo invece è frutto di un meme, ma non per questo è meno utilizzato, anzi. Padrique si riferisce ad un gioco di parole in cui si combina il nome del tecnico con un’espressione molto utilizzata sui social da parte dei ragazzi, ossia “padreada” – che letteralmente significa “è mio padre”, ma che viene interpretato anche come “un grande”; praticamente dire “è mio padre” rimarca l’ottimo lavoro che si sta svolgendo. Tale soprannome è nato a seguito del raggiungimento della semifinale ad Euro 2020, ed ha avuto rapida proliferazione anche per l’ottimo atteggiamento che ha verso i nuovi mezzi di comunicazione. Lui, infatti, è molto attivo sui social, soprattutto su Twitch.
Luis Enrique, comunque, è un fiume in piena. È schifosamente spontaneo, gli piacciono i rapporti diretti, è teatrale. E, ritornando al discorso su Napoli, come un allenatore teatrale non potrebbe non essere l’ideale nella città del Vesuvio? Non è freddo, emana passione. S’infuria in panchina e non risparmia un richiamo. Forse anche perché, recentemente, si è trovato a dover gestire un bel gruppo di giovanissimi nella selezione spagnola. E, tra questi, figura anche Gavi, diventato il calciatore più giovane ad esordire con la maglia della Spagna a 17 anni da poco compiuti. Perché Luis Enrique è questo, un uomo da decisioni forti e divisive che sono frutto del suo carattere e del suo modo di gestire i calciatori. Del suo stile di gioco, invece, sotto un punto di vista squisitamente tattico, ne abbiamo ampiamente discusso qui. Ma non abbiamo smesso di spiegare il suo calcio e la sua persona, ne parleremo nelle prossime righe.
Rafa Benítez, né una minestra riscaldata né un’ottima ribollita
Il Napoli del terzo scudetto ha dimostrato come per vincere è necessario avere dei fuoriclasse non solo in campo, ma anche dietro la scrivania. E, se dev’essere rivoluzione, così sia. Si è diffusa recentemente la voce di un ritorno di Benítez, a prescindere dal suo ruolo, che sia allenatore o direttore tecnico. I tifosi lo amano, ma siamo sicuri di non commettere un peccato d’amore a rivolerlo seduto in panchina? Prendendo per certa la scelta su Luis Enrique, ben più adatto alla guida del Napoli, non sarebbe molto più congeniale agli interessi della società un ruolo da DT? D’altronde per provare a intuire il futuro bisogna inevitabilmente tornare sul passato, ed in quello di Benítez, dopo il Napoli, c’è il buio. Real Madrid, Newcastle, Dalian Professional, Everton, poche, pochissime gioie. Addirittura esoneri.
Indiscutibili, comunque, restano le sue qualità nel fiutare il talento. Questa è la vera costante della sua carriera dopo l’esperienza al Napoli. Pensiamo ad Ødegaard, selezionato da lui per il Real e cresciuto lì, adesso pedina chiave nello scacchiere dell’Arsenal. A lui si aggiungono altri esempi rilevanti come quello di Casemiro o Marcos Llorente al Real, ma anche Miguel Almiron, Tom Davies, Calvert-Lewin e Richarlison. E se la nuova sfida di cui parla Benítez è proprio questo ruolo per lui inedito? Si creerebbe, così, un tandem iberico che può regalare tante, tante gioie. Un salto di qualità dirigenziale non indifferente. Per di più, con due nomi così pesanti, ed uno scudetto cucito in petto, non è per niente da escludere una fila di grandi calciatori che voglia firmare per il Napoli, nonostante gli stipendi più contenuti rispetto ad altre grandi squadre.
Napoli del futuro e Champions League entro il 2026: non è un’odissea nella fantasia
Portiere e difesa
Ogni tifoso sogna ad occhi aperti di poter essere, anche se solo per un giorno, il presidente della propria squadra del cuore e avere la possibilità di mettere le mani sul mercato e, con una coppia come quella descritta, nulla è impossibile. Tanti tasselli del Napoli di questa stagione sono richiesti da mezza Europa, ed alcuni sono già più fuori che dentro – come Kim, ad esempio. Dunque proviamo a ipotizzare un possibile Napoli di Enrique e Benítez, restando il più fedeli possibili alla realtà nella quale ci troviamo, ma senza comprimere ingiustamente i sogni e, perché no, le aspirazioni. Procediamo in ordine, partendo dall’estremo difensore: nel Napoli del futuro c’è Pierluigi Gollini. L’ex Atalanta è un’ottima intuizione, e far partire Meret per una buona proposta permette di accrescere il gruzzolo per alcuni acquisti.
È il momento della difesa, che deve essere ideata sulla base del gioco di Enrique. I difensori centrali, ad esempio, secondo le sue idee, devono partecipare alla costruzione dell’azione. Dunque sono necessari calciatori tecnicamente validi e che, allo stesso tempo, siano fisicamente pronti per difendere nella metà campo avversaria. Rrahmani ha dimostrato un miglioramento non indifferente sotto la guida di Spalletti, lui è sicuramente confermato. Così come il capitano Giovanni Di Lorenzo. Ricordiamo che l’esistenza di un nucleo storico all’interno di una qualsiasi squadra è fondamentale, in campo e nello spogliatoio. L’altro centrale è un difensore che conosce bene Luis Enrique, ossia Pau Torres, difensore del Villareal con il contratto in scadenza il prossimo anno. L’arrivo non sarebbe chissà quanto oneroso, tenendo presente soprattutto le entrate derivanti dalla clausola rescissoria di Kim Min-jae (58 milioni di euro).
Come terzino sinistro forniamo due profili, interessanti in modo diverso. Il primo è Raphael Guerreiro, portoghese del Borussia Dortmund finito nella lista dei calciatori bellissimi da vedere del club tedesco. Si sposa con il calcio di Enrique per quanto riguarda tecnica, esplosività, velocità e intensità. Quest’anno ha confezionato 14 assist e segnato 5 gol. 19 gol portano la sua firma, non male per essere un terzino. L’altro è il meno conosciuto Milos Kerkez, diciannovenne dell’Az Alkmaar. I due giocatori hanno ben dieci anni di differenza, ed assolverebbero a due esigenze ben differenti. Il portoghese alzerebbe l’asticella della qualità della rosa, l’ungherese sarebbe quasi una scommessa. Ma, nonostante questo, il suo identikit è perfetto per lo “stile Napoli“. Il calcio in Ungheria è in fase di sviluppo, come visto anche agli ultimi Europei, ed ormai il modus operandi di De Laurentiis è chiaro a tutti: pescare quei calciatori di paesi non ancora al centro della geografia calcistica. Per di più, l’agenzia che cura gli interessi e la carriera di Kerkez è spagnola. Questo sarebbe un acquisto molto coerente con le strategie del club, attenzione a sottovalutare questa pista.
Centrocampo
Nella fede incrollabile di Luis Enrique, il 4-3-3 prevede un centrocampo da baricentro basso. Non servono muscoli, occorrono professori del ruolo. Ecco perché, al Napoli, può arrivare a governare il centrocampo, insieme a Lobotka, Thiago Alcantara. I due possono coesistere nella zona nevralgica del campo? Ma certo! E ciò lo dimostra proprio la carriera di Thiago, nonché le sue attitudini. Lo spagnolo intende perfettamente il calcio nella sua essenza di tempo-spazio-inganno. Lui è la dimostrazione vivente di come la multidimensionalità debba essere una delle caratteristiche principali del centrocampista moderno: regista, mezzala, trequartista, Thiago padroneggia perfettamente la sua zona di competenza. Come scrive anche l’Ultimo Uomo, l’ex Barcellona è capace di piegare ogni circostanza alla sua volontà, di manipolare ogni azione a suo piacimento. La sua sensibilità tattica è impressionante, pensa ad una velocità irreale riuscendo a capire come si evolverà l’azione ancor prima di ricevere la sfera, e quando gli arriva lascia spazio alla creatività.
Se Enrique punta a scandire i tempi della partita con scambi rapidi e imbucate, Thiago può benissimo assolvere il ruolo di mezz’ala di regia, stesso ruolo che ricopriva un colosso del calcio, Andrés Iniesta. Concluderebbe il trittico un Campione del Mondo con l’Argentina, Rodrigo De Paul. Il nativo di Sarandì riesce a concentrare tecnica e potenza grazie ad un fisico scolpito e una sana dose di huevos. L’ex Udinese si è definitivamente consacrato sotto la guida di Diego Simeone, diventando suo pretoriano. Quello di De Paul, però, non è l’unico profilo interessante. Ci sono altri due nomi molto interessanti: il primo risponde presente al nome di Carlos Alcaraz, centrocampista del Southampton, il secondo invece milita con il Crystal Palace ed ha disputato una stagione da 39 presenze senza alcuna coppa europea, Eberechi Eze. I due centrocampista hanno rispettivamente 20 e 24 anni, e sono molto apprezzati in Inghilterra. Difficile pareggiare offerte e stipendio che avrebbero altrove, ma come abbiamo evidenziato all’inizio, non avremmo piegato la fantasia e i sogni costruendo questa squadra.
In più, offriamo un nome molto interessante direttamente dalla Primavera del Napoli, quello di Antonio Vergara. Conquistare una maglia da titolare in una squadra del genere è un po’ utopia, ma fargli macinare qualche minuto di partita in partita ed allenarsi stabilmente con grandi campioni può sicuramente velocizzare il suo processo di crescita. Vergara (qui un nostro focus su di lui) cresce come trequartista, ma nel corso della sua carriera ha ricoperto anche il ruolo di mezzala o di interno di centrocampo ed ha come punto di riferimento Piotr Zielinski. Mancino naturale, è specializzato in verticalizzazioni visionarie per gli inserimenti dei compagni. Un pizzico di napoletana “cazzimma” fa di lui un centrocampista completo e con grande personalità. Adesso è in prestito alla Pro Vercelli, dove non solo è stato molto apprezzato dai tifosi, ma col tempo è diventato anche un titolare fisso; a giugno tornerà a vestire l’azzurro, e dargli la possibilità di crescere con grandi campioni è una scelta che di certo può giovare al Napoli.

Attacco
Messi-Suarez-Neymar, neanche nei più bei sogni Luis Enrique avrebbe immaginato di poter allenare il trio più forte della storia. Ricomporre questo trio è impossibile, ma possiamo comunque divertirci immaginando un trio che può portare a Napoli la Champions League nel giro di qualche anno. Cristiano Giuntoli ha scoperto Khvicha Kvaratskhelia, anche lui membro del nucleo storico su cui si scriveva nei precedenti paragrafi. Lui, volendo citare Galeano, è il buon calcio che si manifesta, è la bellezza che s’incarna e diviene calciatore. La città lo ama e lui ama la città. Per il georgiano bisogna controllarsi difronte a qualsiasi cifra, è (anche) lui il futuro del grande Napoli. La fascia sinistra, quindi, è una garanzia. Diversa è quella di destra, dove ci sono diversi nomi interessanti. De Laurentiis vorrebbe uno statunitense, ed il nome più papabile è quello di Christian Pulisic, ma è troppo scontato rifugiarsi dietro questa scelta, quindi offriamo qualche nome diverso: Yeremi Pino del Villareal e il giovane giapponese Kubo della Real Sociedad.
Salutato il partente Lozano, uno dei due summenzionati si alternerebbe con Matteo Politano, che ha dimostrato non solo in questa stagione di avere le giuste capacità per spaccare le partite anche contro le difese più arroccate. Kubo e Yeremi Pino sono entrambi fondamentali nello scacchiere di Real Sociedad e Villareal, e difficilmente se ne priveranno. Sotto questo punto di vista, con la possibilità puntare delle fiches su uno dei due, chi scrive lo farebbe sullo spagnolo. In una sera d’ottobre, a San Siro, ha fatto stropicciare gli occhi a mezza Italia nella gara di Nations League. Lui conosce molto bene Luis Enrique, e il tecnico ha molta considerazione di lui al punto di lanciarlo sempre anche nelle gare più importanti. In Spagna è molto difficile vincere dati i tre colossi che albergano costantemente sul podio: continuare la carriera a Napoli può essere ottimo per puntare alla Serie A e giocarsi le proprie carte in Champions League.
Ultimo tassello del puzzle, la punta di diamante della squadra. Non è Osimhen, partito per una cifra supersonica direzione Premier League. È anche lui argentino, Campione del Mondo come De Paul e da poco anche d’Inghilterra. È il giocatore perfetto per Luis Enrique. Nel suo repertorio c’è l’esplosività nei movimenti, la rapidità d’esecuzione, il killer istinct: insomma, è un talento adamantino. Gioca nel Manchester City e Guardiola lo ama, nonostante abbia molte meno presenze del cyborg norvegese Haaland. Parliamo de “La Araña”, Julián Álvarez. È senza ombra di dubbio il calciatore più costoso dell’intera rosa, ma con i soldi incassati per Osimhen ingaggiare l’argentino non è impossibile, soprattutto se con l’intenzione di farlo diventare il nuovo idolo della piazza. Tessa la tela, t’imprigiona, t’imbriglia, e non vede l’ora di far conoscere la potenza letale della sua morsa. E poi, un argentino a Napoli, c’è bisogno di aggiungere altro? Come sua riserva, invece, ci sarebbe Giacomo Raspadori, calciatore che da falso 9 renderebbe al massimo delle sue capacità.
Di seguito la formazione costruita, in campo!

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