La lotta alla Sla: dalle Molinette di Torino un «gol» di speranza

Forse ci siamo. Forse. E comunque meglio «forse» che mai. «Sla, la prima cura che permette di sperare». Non è «una» notizia: è «la» notizia.

Articolo di Roberto Beccantini26/09/2022

Forse ci siamo. Forse. E comunque meglio «forse» che mai. Da «La Stampa» di venerdì 23 settembre: «Sla, la prima cura che permette di sperare». Non è «una» notizia: è «la» notizia. Perché il soggetto è la Sclerosi laterale amiotrofica, detta morbo di Gehrig da Lou Gehrig, il giocatore statunitense di baseball che ne morì nel 1941, a New York, dopo aver giocato per 2.130 partite consecutive. Ripeto: duemilacentotrenta. Stefano Borgonovo, che ne è stato vittima come Gianluca Signorini (O capitano! Mio capitano!), la chiamava, con orgogliosa isteria, «la stronza».
La Sla è bastarda perché neurodegenerativa: ti consuma tutto lasciandoti lucido. Il massimo della tortura. Coloro che ne restano colpiti, sono costretti a sofisticate e costose apparecchiature.

Ne conobbi uno, si chiamava Michele Riva, abitava a Beinasco, nel torinese. Era tifoso granata, sognava un derby (fra titolari) per incrementare la ricerca, la caccia a qualcosa che alleviasse un dolore così disumano, singolo e, dato il coinvolgimento dei familiari, collettivo. Lo ebbe, il derby, anche se fra vecchie glorie. Si mobilitò l’associazione di Massimo Mauro e Gianluca Vialli, la Juventus, il Toro, la città di Torino. Schegge di solidarietà, frammenti di illusione. Michele riposa in pace: ha combattuto come il ramarro del romanzo che il coraggio gli ispirò.

A suo tempo, si scomodò persino Raffaele Guariniello, il magistrato al quale si deve il processo alla Juventus per abuso di farmaci. I suoi esperti verificarono che, sì, nel mondo del calcio il picco di mortalità, 43 decessi su 30 mila «campioni», risultava decisamente superiore alla media nazionale «attestatasi, dal 1963 al 2008, attorno ai 2 casi ogni 100 mila abitanti». Non fu però possibile arrivare, scientificamente, a un mandante, a una causa precisa e scatenante. Tra le ipotesi ventilate, l’eccesso di sostanze dopanti, i pesticidi impiegati per curare l’erba dei campi, il logorio della carriera. Niente. Si continuava a brancolare nel buio.

Nell’ambito di una lotta senza quartiere, le Molinette di Torino sono sempre state all’avanguardia. E come spiega il professor Adriano Chiò, direttore del Centro regionale esperto per la Sla della suddetta struttura, nonché membro del dipartimento di Neuroscienze «Rita Levi Montalcini» dell’Università di Torino, proprio l’unità sabauda è stata l’unica nel Paese – e una delle poche al mondo – a essere stata coinvolta nella fase sperimentale. Nonostante il Covid.

In casi del genere – così delicati, così drammatici – pensare alto e volare basso costituisce la rampa dell’indirizzo filosofico, non solo o non tanto delle abitudini. Nell’intervista concessa ad Alessandro Mondo, il professor Chiò ha posto l’accento sulla «scoperta» di un farmaco che, in alcuni pazienti, avrebbe prodotto addirittura il blocco della malattia, e in altri, la maggioranza, «lievi miglioramenti». Naturalmente, si tratta di «un percorso lungo e complesso». Nessun dubbio, però, che questa scoperta segni una «pietra miliare» sul fronte della ricerca e a livello terapeutico.

La guerra alla Sla ha mobilitato molti cuori e poche tasche. Colpisce un numero esiguo di «sudditi» e, per questo, non ha mai eccitato i boss di Big Pharma. Eppur si muove. Eppur ci commuove. Giornalista e scrittrice torinese, Gabriella Serravalle le ha dedicato un toccante libro: «Un calcio alla Sla. Marco Scelza: la mia storia» (Ananke edizioni, 2013). Non bisogna arrendersi. Non bisogna chiudersi. E’ sempre lì vicino a noi, anche quando sembra più morta della morte che sorteggia, lotteria triste, solitaria y letal. Ecco perché l’annuncio di Torino assomiglia a una scossa. Cara «stronza», ti siamo addosso. Sempre. Per sempre.

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