Il Napoli è un virus

In questi mesi abbiamo utilizzato tanti begli aggettivi per definire questo Napoli, sostantivi lusinghieri, ma forse quello che più gli si addice è “virus".

Articolo di carloiacono27/02/2023

©️ “NAPOLI” – FOTO MOSCA

982 sono i chilometri che dividono Empoli da Francoforte. Una distanza geograficamente importante, che il Napoli ha reso piccola, piccolissima sul campo. Sembrava attraversata dal Meno la cittadina toscana della Valdelsa, da una forza della natura di certo. E la 24esima giornata di campionato pareva una replica di quanto si era visto in Champions, con gli azzurri dominatori indiscussi e colonizzatori. Dove si stanzia mette le tende la banda Spalletti, lascia vessilli, seguita da proseliti, come a dire “qui siamo passati noi” durante la spedizione che ci porterà allo scudetto. “Vi resti negli occhi”.

Ed è diventata d’uso comune la parola “scudetto”, sono lontani gli anni in cui moriva in bocca, impronunciabile, per paura, scaramanzia e punizioni reali. Oggi la si urla e soprattutto la si cerca con insistenza, c’è la brama di farla propria. È tensione palpabile, quel desiderio irrefrenabile di chiudere i conti, lo stesso che ha guidato la mano di Lucianone nello scrivere sulla lavagna i nomi degli undici che sarebbero scesi in campo al Castellani.

Ci si scervellava sul turnover noi addetti ai lavori, vuoi per rinfrancare alcuni dalle fatiche europee, vuoi per preservare soldati coreani in diffida. Ragionava poco il tecnico circa energie e cartellini, c’è un discorso da chiudere facendo fede al detto “chi ha tempo non aspetti tempo”. Sono stati rispolverati i titolarissimi d’antan, squadra che vince non si cambia, o forse – ancora al dito – squadra che non vince (quella da Coppa con la Cremonese) non si ripete più. Ma come dargli torto, come fare a meno di quegli uomini lì.

Di quella coppia centrale doganale che rovista nei bagagli tecnici degli attaccanti e perquisisce gesta, del capitan terzino vintage, un po’ Lahm e un po’ Pupi, del tascabile prezzemolino Lobotka dal dono dell’ubiquità e della preveggenza, del Bud Anguissa Spencer, del suricillo assassino, della classe antica meroniana del ragazzo venuto dall’Est e di quell’uomo nero che rende insonne mezza Serie A e degli sceicchi che preparano degli “scec così”.

È così che Empoli è diventata una piccola Francoforte, per risultato, e soprattutto per quella sensazione che non ce n’è. Il Napoli non teme più niente e nessuno, non teme nemmeno più se stessa. Scende in campo come un impiegato va in ufficio per affrontare una normale, e forse noiosa, routine quotidiana. Gli avversari sono poco più che pratiche da bollare. Compiti. C’è quella convinzione italo-tedesca che gli azzurri sappiano mentalmente già come andrà a finire, aspettano solo che si realizzi, e tale impressione è condivisa dai dirimpettai di giornata.

L’Eintracht prima e l’Empoli poi, erano consci di perderla prima o poi. La gara non è più volta a fermare il Napoli, bensì a quanto durerà la resistenza. Un quarto d’ora, mezz’ora, al massimo sessanta minuti, poi le difese immunitarie si sgretolano. L’ondata azzurra non puoi arginarla, è frutto di una spinta continua e subdola, che provoca prima o dopo lo strappo. Si insinua. In questi mesi abbiamo utilizzato tanti begli aggettivi per definire questo Napoli, sostantivi lusinghieri, forse quello che più gli si addice però, ha un che di malefico, e attualmente non ci evoca ricordi piacevoli. Gli azzurri sono un virus.

Si propagano silenziosi, aggirano, ammalano. Sono contagiosi, al loro passaggio ogni piazza cambia colore. Bologna canta per Napoli, i dintorni del Mapei Stadium sanno di Fuorigrotta. Ammazzano non le persone, ma le competizioni alle quali partecipano. Ad ogni match si aggiornano i numeri, non delle vittime, ma dei record. I pallottolieri sono impazziti come una slot machine vincente. Così come le inseguitrici che si fanno male da sole, si consumano, nascondendosi dietro alla grande scusa di un campionato a parte degli altri, per non contemplare le proprie miserie. Non c’è vaccino, non c’è possibilità di debellarli. È rimasto un unico grande interrogativo, non se, ma quando?

La proiezione scudetto dice quota 103, si frantumerebbe un’altra storia, quella bianconera, quando con Conte si stabilì il tetto dei 102. Si ripeterà il passato, si festeggerà con la Viola tra le mura amiche, il 7 maggio? Forse no, forse si verrà già dai festeggiamenti. La curva epidemiologica al momento prevede il picco al 30 aprile, contro i cugini della Salernitana. Ma si sa i virus sono poco prevedibili, a questa velocità tutto può succedere.