1° giugno 2011, è cominciato in quel preciso giorno l’incubo di Beppe Signori. Ha preso vita alla fine di una gloriosa carriera sportiva e all’inizio di una possibile nuova vita, negatagli forse dal destino, sicuramente non da colpe. Beppe Signori, il diamante del sorprendente Foggia di Zeman, capitano della Lazio, simbolo del Bologna, vice campione del mondo nel ’94 con Sacchi, si ritrova come di colpo invischiato in una vicenda di calcioscommesse. Da eroe diventa – per procure e media – il capo dei capi di un associazione a delinquere che trucca i risultati delle partite. Non hanno prove su di lui, solo un foglietto di carta che doveva finire in lavatrice, invece che sul comò della camera da letto, dove, in effetti, non c’è scritto nulla di compromettente.
Perché di nulla di compromettente si è macchiato Beppe Signori. Mai nessun testimone lo accuserà, mai nessuna intercettazione lo coglierà in fallo, mai il suo viso sarà riconosciuto durante incontri incriminati, mai il suo nome verrà fuori. Eppure Beppe Signori finisce in una vera e propria persecuzione giudiziaria lunga dieci anni – dal 1° giugno 2011 al 1° giugno 2021 – che oscurerà i suoi successi e i suoi ricordi.
La storia finisce con un’assoluzione, ottenuta da un uomo consapevole di aver pagato un prezzo troppo caro per la propria libertà, un libertà strappatagli senza giusta causa. Un uomo che ha voluto raccontare i suoi tormenti nel libro “Fuorigioco – Perde solo chi si arrende”, presentato ieri alla rassegna “Varcautori” tenutasi al lido Varca d’oro (Varcaturo) e curata da Vincenzo Imperatore.
Noi abbiamo avuto il piacere di intervistarlo in esclusiva.
Beppe, partiamo da un’estratto che mi ha colpito molto. In una recente intervista hai detto che quando è scoppiata la vicenda che ti ha coinvolto, tu eri l’unico nome importante del calcio italiano a non essere tesserato. Questo ha fatto si che fossi perfetto per dare clamore mediatico alla questione. Credi davvero possa essere stato così?
Sono convinto. Avevo l’identikit perfetto in quel momento. Un giocatore abbastanza conosciuto in giro per l’Italia e per il mondo, al quale piaceva scommettere – caratteristica da non sottovalutare – e non tesserato da alcuna società. Non davo fastidio a nessuno. L’identikit perfetto di un uomo che può portare avanti una vicenda mediatica per tanti anni. Non voglio sminuire gli altri. Si sono sentiti tanti nomi negli anni, ad esempio quello di Antonio Conte. Sono spariti tutti. Sono rimasto da solo nella vicenda. Anche perché Doni ha confessato, Gervasoni ha confessato, l’hanno fatto tutti.
Da innocente ti sei ritrovato nell’incubo di essere un indagato. Hai mai pensato che da innocente potessi finire anche per essere condannato?
No. Io ho deciso di non accettare il patteggiamento offerto dal pm, né tutto il resto. E l’ho fatto per un motivo, innanzitutto, perché mi sento e mi sentivo innocente. Poi volevo dare una risposta ai miei figli. Il sorriso che veniva a mancare a loro è ciò che mi ha fatto stare più male e io volevo ridarglielo. Sono passati dall’avere un padre idolo delle tifoserie ad un padre delinquente, per loro non è stato facile. La grande nel 2011 aveva sedici anni, quindi frequentava la scuola, subiva cose non carine. Io glielo dovevo. Non potevo accettare nulla di quanto mi veniva offerto, perché qualsiasi cosa mi avrebbe tenuto per sempre nel grigiore. Ho voluto andare avanti.
Hai ottenuto la grazia dalla FIGC e hai tutte le carte in regola per ottenere un incarico come allenatore. È passato un anno dalla tua riabilitazione. È arrivata qualche chiamata? E, se no, è dovuto ad una presunzione di colpevolezza difficile da estirpare?
Mi è stata data la grazia, che suona brutto, perché la grazia viene data ai colpevoli. Ma è stato meglio così, perché altrimenti avrei dovuto seguire un altro iter. Avrei dovuto affrontare un altro processo sportivo e non mi andava. Avendo fatto nel 2010 il percorso a Coverciano posso allenare anche le Nazionali. Ma non mi è arrivata nessuna chiamata. C’è un po’ di tutto nel perché. C’è un po’ di paura, c’è qualcuno che non crede alla mia innocenza – non puoi convincere tutti -, e poi dieci anni lontano dal quel mondo, prenderebbero un debuttante. In questa situazione è ovvio che non è facile rientrare.
Hai detto che ti piacerebbe ripartire dai giovani…
Si. Questo periodo storico della nostra Nazionale, ci fa dire che dobbiamo ripartire dai settori giovanili, ed è così. Dal 2006 abbiamo perso tante generazioni di campioni. I risultati delle non qualificazioni confermano il problema. Partire dai giovani mi piacerebbe e non vorrei allenarli, vorrei insegnargli. Perché ai giovani bisogna insegnare.
Il corteo dei tifosi della Lazio che supplicano Cragnotti di non venderti, il rapporto indissolubile con la piazza bolognese, la petizione su Change.org che ha portato alla suddetta grazia. Il tuo nome che finisce senza un motivo valido ma per “abitudini” in un’inchiesta dalla quale sei estraneo. Tutto il bene e tutto il male che hai ricevuto nella tua vita sembra venire da un tuo modo di vivere che possiamo definire spontaneo?
Si. Soprattuto per quanto riguarda le scommesse. Basta che prendi uno qualsiasi che ha giocato in squadra con me e ti direbbe “Beppe scommetteva su tutto, anche di buttare una cosa per terra senza farla rompere”. Erano scommesse fini a se stesse. Non scommettevo per fare i milioni. Ma io pago, ad esempio, la mia dichiarazione di essere uno scommettitore. Non ti nascondo che io essendo un cittadino libero – e mi piace scommettere sulle partite – potevo farlo, non davo fastidio a nessuno.
Chiudendo sull’inchiesta, prima di passare al calcio, hai detto che il procuratore che ti ha tirato dentro la vicenda non ha mai voluto sedersi faccia a faccia con te, non ti ha mai voluto parlare. Forse, ricordando la fine che facevano i portieri faccia a faccia con te, ha avuto paura che tu lo spiazzassi…
Non lo so (ride ndr). Può darsi. So che ha resistito tre minuti, poi è andato via, dicendo “vado via, vista l’inutilità di questo interrogatorio”. Però giocava sporco. Lui è andato in pre-pensione e ha lasciato cadere tutto in prescrizione. Secondo me quando si è reso conto di aver scoperchiato qualcosa che non c’era si è arreso, si è defilato. Ma ha giocato con la vita delle persone. Dieci anni sono una vita.
Tornando al calcio. Prima hai parlato di Mondiale, lo abbiamo mancato per l’ennesima volta, anche per una evidente sterilità offensiva. Uno come te ci sarebbe servito. Uno come te, però, c’è? Ti rivedi, ad esempio, in Raspadori?
Guarda, io con Sacchi in Nazionale non giocavo da attaccante (ride ndr), per lui non ero l’attaccante ideale. In Raspadori, si, mi rivedo, anche se lui tante volte può giocare da prima punta e io da prima ho giocato poco. Se non gioca Scamacca lui va in mezzo, però mi rivedo nella sua qualità. Mi rivedo anche in Dybala, perché è un giocatore mancino. Mi rivedevo nel primo Giuseppe Rossi – quando stava bene. Forse per il ruolo che avevo a Foggia anche Insigne può assomigliarmi, anche se lui segna molto meno, perché ama giocare largo. Io entravo da largo e poi mi sono accentrato, perché alla Lazio giocavo da seconda punta.
Ci lasciamo con una domanda che ci avvicina alla nostra realtà. Come testata trattiamo prevalentemente le squadre del sud, della Campania. Hai mai avuto dei contatti col Napoli, con la Salernitana, con altre squadre che ti avrebbero permesso di giocare qui.
No. Purtroppo no. Mi sarebbe piaciuto. Mia moglie è originaria della provincia di Avellino, quindi conosco molto bene la Campania. Dalla Costiera Amalfitana a Salerno. Sono felice che i granata si siano salvati. Ho una grandissima stima di Sabatini, un conoscitore del calcio come ce ne sono pochi. Era a Bologna e venuto qui e ha fatto un miracolo insieme a Nicola. Per loro bisogna alzare le mani e tanto di cappello. Mi ha ricordato l’impresa della Danimarca quando non doveva partecipare agli Europei e poi l’ha vinto. Sono quelle cose che rimarranno nella storia, soprattuto per i pochi punti fatti nel girone d’andata e poi per i tanti in poco tempo. Poi, ha dell’incredibile quello che è successo durante l’ultima giornata. Ti aspettavi la vittoria, invece è arrivata la peggior sconfitta. Il destino voleva che restassero in A, ma il destino se lo sono guadagnati.
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