Torna lo spareggio-scudetto: una botta di passato nel «Paese delle regole» (buona, questa)
Spareggio. Parola secca, dura, netta. Vocabolo che evoca plotoni di esecuzione. Soprattutto al singolare, incute ancora deferenza, come il panico che agita i sudditi di fronte alla lupara del padrino.

© “MILAN-NAPOLI” – FOTO MOSCA
Spareggio. Parola secca, dura, netta. Vocabolo che evoca plotoni di esecuzione. Soprattutto al singolare. Gli americani della Nba dicono playoffs. Al plurale: quattro su sette. Al singolare, spareggio fa ancora più paura, incute ancora più deferenza, come il panico che agita i sudditi di fronte alla lupara del padrino.
Tutto lì, in 90 minuti più eventuali supplementari e rigori. Come il pomeriggio del 7 giugno 1964 quando, allo stadio Olimpico di Roma, il Bologna di Fulvio Bernardini sconfisse per due a zero l’Inter di Helenio Herrera. L’unico in chiave scudetto dal battesimo dell’attuale Serie A (1929-’30).
Per sfoltire il calendario – quasi un ossimoro, se pensiamo a tutto ciò che è stato fatto per renderlo obeso – si decise di abolirlo, privilegiando i confronti diretti e poi, eventualmente, la differenza reti generale. Prendete l’ultimo campionato. In caso di arrivo alla pari il podio non sarebbe cambiato: primo Milan, seconda Inter. Sempre e comunque. E questo, per il bottino raccolto nei derby: 1-1, 2-1.
In attesa di verifica federale, la novità varata dal sinedrio della Lega coinvolge testa e coda (salvezza). Non, però, i piazzamenti legati alle coppe europee. Meglio un po’ che niente. Meglio tardi che mai. Vero, anche all’estero lo spareggio è stato abolito, prova ne sia la Premier del 2012, anno in cui, appaiati al traguardo, il Manchester City di Roberto Mancini beffò il Manchester United di sir Alex Ferguson: 89 punti a testa, ma + 64 a + 56 in materia di gol. E allora?
I paladini dell’ancien régime trovano sbagliato affidare una posta così cruciale alla roulette di una partita, una sola. Tanto vale, sostengono, barricarsi dietro le mappe convenzionali (38 gare in Francia, Inghilterra, Italia, Spagna; 34 in Germania) e, cavillo per cavillo, proteggere il fatturato offensivo: spalmato in un arco di tempo così lungo, smorza persino le (legittime) riserve che, di solito, incateniamo alla riffa degli episodi.
Il tema dei playoff scorta le nostre analisi da lustri. Il novennio della dittatura juventina lo aveva reso addirittura spasmodico. Evviva la goal line technology, evviva il Var, ma volete mettere la coda primaverile con i picchi della stagione regolare azzerati se non per offrire il vantaggio del fattore campo alle squadre più virtuose?
In Germania il Bayern è arrivato a 10 consecutivi; in Francia, il Paris Saint-Qatar a 8 su 10. In Premier, il rodeo più equilibrato, il Manchester City ha vinto quattro degli ultimi cinque. E in Spagna siamo sempre lì: Real o Barcellona, con l’intrusione saltuaria dell’Atletico.
Domanda: e se a pari punti ne finissero più di due? Patti chiari: si procede con i criteri vigenti (dalla classifica avulsa in giù) pur di isolare le due «migliori». In superficie, la «bella» sa di mano di poker, di giro di roulette, di gioco d’azzardo. Non, viceversa, se scaviamo in profondità.
L’idea stessa di ricorrere a quella sorta di lotteria, ammesso che sia il termine corretto, potrebbe ridurre l’appetito, declassando il numero dei gol ad ambigua cornice. Difficile che esistano formule o espedienti tali da spazzare la montagna di dubbi che la storia ci ha inflitto.
Se sono favorevole allo spareggio e contrario ai playoff, cosa sono? Un Gigietto Di Maio qualsiasi che lascia i 5Stelle ma resta ministro degli Esteri? Un volgare equilibrista che dice forza Ucraina ma nega l’invio di armi? Tutto e il contrario di tutto? Suvvia: con lo scudo della tecnologia si può tentare l’ordalia fulminante anche in una giungla d’asfalto e d’assalto come l’Italia. Una botta di passato nel «Paese delle regole» (buona, questa).