Un ‘cavallo pazzo’ tra Firenze e Napoli
Luciano Chiarugi, giocatore atipico, soprannominato per il suo estro “Cavallo Pazzo”, si prese gioco di Zoff dopo una rete messa a segno in un Fiorentina-Napoli, prima di segnare un 'mezzo gol', sempre al Franchi, durante la sua esperienza in maglia azzurra.
Il meglio di sé lo aveva dato prima alla Fiorentina e poi al Milan. Quando arrivò a Napoli la sua verve, il suo essere puledro di razza che scorrazzava nelle verdi praterie dei campi di calcio tra finte e contro finte, il suo essere anarchico del pallone con una capigliatura tra l’increspato ed i riccioli, era quasi al capolinea. Certo, colpa anche di qualche infortunio di troppo che lo lasciò fuori per diverso tempo. Il Chiarugi che abbiamo visto noi non era più il matto di Firenze, lo scapestrato di Milano che entrò in polemica con Rivera e l’ambiente rossonero.
Il toscanaccio di Ponsacco portò a compimento la strana rivoluzione in attacco dello splendido Napoli di Vinicio. L’anno prima Ferlaino sacrificò Clerici per avere Savoldi e l’anno dopo il presidente immolò Braglia per avere, appunto, Chiarugi. Puff, in due anni scomparsi “Clerici e Braglia, il Napoli è una mitraglia”, come diceva la canzone del popolo azzurro. Luciano “Lulù” Chiarugi aveva la velocità nel sangue, un notevole controllo di palla, una capacità innata di dribblare l’avversario, una visione della porta che lo faceva concludere facilmente a rete e il senso della profondità per l’ultimo passaggio per i compagni. Piccolo e sgusciante, calciava spesso ad effetto e beffava i portieri con traiettorie anche impossibili. Fu sempre considerato, per il suo estro, un giocatore atipico, tanto da essere soprannominato “Cavallo pazzo“. Insomma, uno che andava a briglie sciolte. Nonostante fosse un mancino naturale, veniva spesso utilizzato sulla fascia destra, come accadde anche nel Napoli. Prima dello specialista Palanca fu lui ad inventarsi i gol direttamente dalla battuta del calcio d’angolo.
Eppure, nella sua carriera, nonostante l’estro e la fantasia che lo contraddistingueva e l’ammirazione per alcune sue giocate e funambolici ‘numeri’, non mancarono polemiche. Al di là delle simulazioni in area di rigore (senza il VAR gli arbitri ci cascavano spesso!), la piccola ala non risultava simpatico anche per altri atteggiamenti in campo. Qualche anno fa il pacato e misurato Dino Zoff, che non ha mai fatto polemiche o detto una parola fuori posto, ebbe a scrivere, nella sua biografia “Dura solo un attimo, la gloria” : “Non sono mai riuscito a considerarlo un avversario. Mi veniva istintivo di pensarlo come un nemico. Sono due concetti molto diversi: l’avversario è uno come te, che gioca secondo i tuoi canoni sportivi. Il nemico, invece, è quello che va oltre le regole, scritte e non scritte, che cerca di fregare tutti non con la giocata, ma con la sceneggiata“. Stilettata dedicata a lui, Luciano Chiarugi. Ma perché? Da dove nasce tutto questo astio anche a distanza di tanti anni? Il ‘fattaccio’ viene fuori proprio dopo un gol che Chiarugi segnò al Napoli quando era alla Fiorentina. Dopo aver bucato Zoff, “Cavallo pazzo” fece una corsa sfrenata e scriteriata sotto la curva Ferrovia, da invasato, come se avesse segnato la rete decisiva nella finale dei Campionati del Mondo. Zoff, per questo, non lo ha mai perdonato anche se Chiarugi ha cercato, qualche anno fa, di attenuare i toni della polemica: “E’ vero, ero stravolto dalla gioia, se la Curva Fiesole fosse stata aperta sarei arrivato fino alla stazione di Campo di Marte, ma non c’era niente di irrispettoso. Quando si è giovani si possono commettere degli errori, in quel momento esplose la felicità pura, avevo fatto gol a un campione come Zoff e in questo c’era ancora più gusto”.
La partita incriminata è, appunto, Fiorentina Napoli del 10 marzo 1968. I viola finiranno quarti dietro al Napoli secondo ma quella ‘maledetta domenica’ schiacciano gli azzurri di Canè e Juliano, Sivori ed Altafini, con una doppietta di Maraschi e appunto una rete di Chiarugi che, proprio per quella corsa forsennata sotto la curva, iniziò ad essere chiamato “Cavallo pazzo”. Era un’ottima squadra quella Fiorentina, l’anno dopo avrebbe vinto lo scudetto con una ossatura che partiva da Albertosi e Ferrante in difesa, Bertini, Merlo e De Sisti a centrocampo e la coppia Chiarugi e Maraschi in attacco. Luciano il ‘riccioluto’ aveva solo 21 anni ma già si portava dietro quella fama che l’arbitro Michelotti più tardi fece diventare “chiarugismo” quando disse che era un cascatore, uno che in area si buttava, ci provava insomma. In effetti l’ala viola era uno rapido, anche se non aveva un grande fisico, e questa sua caratteristica lo faceva spesso ‘inciampare’ ( !? ) in area. Superava il difensore con la velocità della luce e al minimo contatto cadeva giù. Gli arbitri a volte ci cascavano e a volte no ma l’etichetta di ‘cascatore’ gli è rimasta. E Luciano non si è smentito anche a distanza di tempo dicendo : “Eh, sì, il profumo dell’erba mi è sempre piaciuto…”.
Il caso volle che Luciano Chiarugi, con l’ennesimo ribaltone napoletano che riportò Pesaola sulla panchina azzurra al posto di Vinicio nel 1976-7, fu acquistato dal Napoli. Ovviamente, regista dell’operazione il “Petisso” che già lo aveva avuto a Firenze nell’anno dello scudetto. Grandi progetti, la coccarda della Coppa Italia vinta l’estate precedente sulla maglietta, il tandem curioso con Savoldi, sempre più inserito, dopo i timori iniziali, nell’ambiente Napoli. Il progetto era molto chiaro. Il toscanaccio di Ponsacco doveva dribblare e fare i cross per la capuzzella di “Beppe-gol” con Speggiorin scalpitante alle spalle.
Se nel 1968, in maglia viola, aveva fatto gol a Zoff, nel suo primo anno con gli azzurri fece un ‘mezzo gol‘ proprio a Firenze al futuro azzurro Mattolini. Quindicesima di andata, campo di Marte, tira un vento boia, cielo coperto e terreno allentato, lo stadio registra quarantamila presenze. Chiarugi, con il numero undici sulle spalle, torna nella ‘sua’ Firenze, ha voglia di riscatto, di dimostrare di essere ancora un ottimo giocatore. Sarà, invece, una partita horror per due giocatori napoletani, qualcosa che raramente è successo su un campo da calcio. Lo stopper viola Della Martira fa doppietta di testa in due situazioni analoghe. In entrambi i casi anticipa Savoldi (diventato il suo marcatore!) e Carmignani, uscito a vanvera, e deposita la palla in rete. Due reti di un difensore con il centravanti che resta a guardare!
Pesaola, su tutte le furie, tira fuori Savoldi dal campo e lo sostituisce con Speggiorin al 64′. Il giorno dopo, tutti giornali sono concordi. Quattro in pagella a Savoldi e Carmignani, senza scampo, nessun appello per i due. Eppure la partita l’aveva raddrizzata proprio Chiarugi che al 42′ aveva pareggiato con un tiro, deviato leggermente da Pellegrini, alle spalle di Mattolini ( alcuni tabellini assegnano il gol direttamente all’attaccante napoletano). Ma al 5′ del secondo tempo Della Martira si spinge di nuovo in avanti, ci riprova di testa. E gli va bene. Vince la Fiorentina, il Napoli torna a casa a mani vuote. Negli spogliatoi Pesaola si trasforma in Pinocchio e dichiara : “Ho tolto Savoldi perché aveva svolto un lavoro massacrante. Era tornato indietro parecchie volte. Ho preferito sostituirlo con Speggiorin. Carmignani non ha colpe. E’ stato solo sfortunato”.
Chiarugi rimase due anni a Napoli mettendo a segno solo 7 reti e la società lo svendette alla Sampdoria da dove iniziò una parabola discendente. Ormai il meglio di sé lo aveva già dato, in poco più di dieci anni era stato “Cavallo pazzo”, aveva vinto uno scudetto con la Viola, si era preso gioco di Zoff, aveva fatto qualche comparsata in Nazionale, aveva litigato pesantemente con Rivera al Milan, aveva giocato una buona prima stagione al Napoli e poi il declino che lo portò a calcare i campi fino a 38 anni con la Massese in Serie C. Questa la sua parabola. Come quelle con cui calciava beffando i portieri avversari.