Iran, se le donne mettono in fuorigioco gli ayatollah
L'Iran del terzo millennio si aggrappa ancora al retaggio komeinista, ma deve fare i conti con le nuove generazioni dalla mentalità aperta e progressista.
L’Iran del terzo millennio si aggrappa ancora al retaggio komeinista, ma deve fare i conti con le nuove generazioni dalla mentalità aperta e progressista. La rivoluzione anti-velo di queste ultime settimane è un chiaro segnale di cambiamento.
Ricordo nel 1999 una piacevole chiacchierata in una tenda berbera, nel deserto a ridosso di Dubai, con Andranik, un ragazzo iraniano originario di Tabriz, nel nord del Paese. Tra una minestra di fave e della deliziosa carne d’agnello parlammo della sfida di calcio ai mondiali francesi dell’anno prima tra Iran e Stati Uniti.
Una partita che, almeno dal mio punto di vista, andava oltre la sfera di cuoio che rotola sul manto erboso, per sconfinare nel terreno degli interessi politici, ambientati in uno scacchiere internazionale nel quale noi siamo piccole e insignificanti pedine.
E così mentre io in quei giorni scrivevo da Lione, la città che avrebbe ospitato l’atteso evento, pagine sul significato politico di quella gara, lui faceva spallucce, pensando solo al risultato e alle probabilità che la nazionale di calcio avesse di proseguire il cammino nel torneo iridato.
Fin troppo scrupoloso io o indifferente lui? Di sicuro la rivoluzione in atto nell’Iran sta poco alla volta sbriciolando il concetto di modello di repubblica islamica.
Lo si può facilmente comprendere raccontando le storie di Erstes e Sima. Entrambe originarie di Teheran, più o meno della stessa età, appassionate di pallone.
Erstes è di fatto un nome convenzionale utilizzato dal regista Jafar Panahi per raccontare la storia di tutte quelle ragazze che amano il calcio, ma che per assistere a una partita sono costrette a travestirsi da uomo per accedere allo stadio.
Accadeva all’epoca, ma succede anche oggi. La pellicola si intitola Off Side e nel 2006 ha vinto il premio della giuria al Festival del Cinema di Berlino. L’ambientazione è lo stadio Azadi di Teheran, dove si sta giocando Iran-Bahrain, partita decisiva per le qualificazioni alla Coppa del Mondo.
Quando al cancello di ingresso si avvicina uno scricciolo imbacuccato in maniera sospetta la guardia capisce l’inganno e la conduce dentro una guardiola dove ci sono altre donne che hanno tentato di guadagnarsi l’ingresso all’Azadi con il medesimo stratagemma.
Erstes e le sue compagne di sventura sono così costrette ad ascoltare la partita alla radio, dimostrando di conoscere bene il calcio, le tattiche di gioco, forse addirittura meglio degli uomini, con un linguaggio piuttosto colorito, mettendo in evidenza l’assurdità di una discriminazione a dir poco anacronistica.
Nella guardiola viene celebrata la classe del capitano, l’eterno Ali Daei, l’avvenenza del portiere Mirzapour, l’idolo delle teenegers, ma si parla soprattutto di Mehdi Mahdavikia, la stella più luminosa del calcio iraniano dell’epoca. Meglio ala destra o rifinitore a ridosso delle punte? Si domandano le ragazze. Mehdi è uno che ha sfondato. Ha lasciato Teheran nel 1998 per diventare professionista in Germania, prima nel Bochum, poi con i colori del glorioso Amburgo.
È un musulmano osservante e la Bild, quotidiano tedesco, ha pensato bene di pubblicare la notizia della sua poligamia. Il calciatore dell’Amburgo si è sposato parecchi anni fa con Sepideh, dalla quale ha avuto anche una figlia, poi è convolato a nuove nozze con Samira.
Nessun problema, almeno all’apparenza, visto che la poligamia è accettata dall’Islam. Riconosciuta anche se, vale la pena ricordarlo, non è stata certamente istituita da Maometto. Già nel Vecchio Testamento infatti Dio attribuiva la possibilità agli uomini di avere più mogli, e la maggior parte dei profeti ha provveduto a costruirsi il proprio harem. I problemi per Mehdi sono sorti tra le mura domestiche, perché Sepideh ha scoperto la tresca leggendo l’articolo apparso sul giornale.
Per tutta risposta ha chiesto chiarimenti e poco dopo la separazione. Mehdi ha provato ad abbozzare una mezza giustificazione, Sepideh gli ha rifilato due sonori ceffoni, come qualsiasi altra donna tradita.
Eravamo nel 1998, è trascorso quasi un quarto di secolo, ed è aumentato a dismisura il desiderio di emancipazione e di riscatto delle donne. Queste ragazze, senza sparare un colpo, a mani nude, stanno facendo barcollare l’immondo regime degli ayatollah, fanatici e antisemiti che cercano di reprimere nel sangue le proteste.
L’Iran rischia per queste ragioni, ma anche per aver fornito le armi a Putin per l’Operazione Speciale in Ucraina, l’estromissione dai Mondiali in Qatar.
Giusto? Sbagliato? Sarebbe corretto sbattere fuori gli iraniani per l’atteggiamento estremista e abietto dei suoi governanti. Ma sarebbe triste per i milioni di tifosi che vedono proprio nello sport, e in particolare nel calcio, lo strumento per accendere un mutamento sociale che l’Iran necessita quasi quanto l’ossigeno.